Gazebo Penguins a occhi chiusi contro un muro

Il battesimo live a Milano di "Quanto", ancora inedito disco della band, allontana gli echi natalizi per spremere le anime punk presenti: un'ora e un quarto di sfoghi terapeutici, una dedica speciale all'Ohibò, poche chiacchiere inutili e tanto, tantissimo pogo. Il nostro racconto

Gabriele "Capra" Malavasi - foto di Emanuele Tixi Palmieri per Circolo Magnolia
Gabriele "Capra" Malavasi - foto di Emanuele Tixi Palmieri per Circolo Magnolia

La serata gelida sul Circolo Magnolia ha un'atmosfera strana. Non sembra che stia per iniziare un concerto, tanto meno dei Gazebo Penguins. Tra lucine e birrette ai tavoli sembra una qualunque serata di dicembre, con lo spirito natalizio che echeggia in lontananza, o meglio incombe. Ma poco dopo le 21.30 chi stava bighellonando senza meta attorno al bar comincia a concentrarsi sotto il tendone davanti al palco invernale del Circolo, come guidato dal ronzio che arriva dalle casse.

E se il poco rumore del pubblico era una cosa strana, basta che la band di Correggio salga sul palco e, senza dire nulla, attacchi con Nubifragio, che qualcosa inizia a scomporsi. I Gazebo Penguins sono pronti a presentare nella loro data milanese il loro nuovo disco, in uscita il prossimo 16 dicembre. Le tracce di Quanto stanno prendendo vita per la prima volta in una cornice dal vivo, e questa modalità di anteprima sta diventando sempre più comune fortunatamente. Per quanto riguarda i pinguini la cosa ha forse un significato ancora più forte, visto il legame strettissimo che hanno col dannato rumore che sono soliti fare live.

Andrea
Andrea

Messe da parte Nubifragio e Cpr14, tracce già edite, il resto del disco suona come nulla di nuovo in realtà. Si tratta della giusta continuazione di Nebbia, perché tornano a gran voce le atmosfere drammatiche e dense del lavoro del 2017. Semplicemente sono passati più di 5 anni, Capra&co sono sopravvissuti a questo lustro che sa tanto di discesa negli inferi, e si sente. C'è voglia di suonare, di cantarsi in faccia, di ritrovare in una piccola parentesi anche i quattro quarti, ma c'è bisogno di rompere qualcosa col rumore. Molto più del solito la parentesi live di Quanto fa emergere la natura corale delle voci dei Gazebo Penguins. Sembra di assistere a un processo creativo in tempo reale, viste le incertezze, più che legittime, con cui scorrono alcuni passaggi dei brani, alcuni ingressi del cantato. Tutto esplicitato.

Dopo trenta minuti esatti basta una battuta, "Questo è quanto", per far capire a tutti che è il momento di sciogliere le riserve. La fronte può tornare rilassata, non c'è più bisogno di stare attenti come quando si assapora una novità. Finito il caffè inaugura la seconda parte del concerto, la voragine si apre e lo stuolo di pogatori è pronto per scontrarsi. La manciata di brani suonati nella prima parte di questo momento Greatest Hits scorre senza intoppi, col muro di suono prodotto dai quattro sul palco che si fa così massiccio da creare attrito coi corpi del pubblico. Non c'è molto tempo per pensare, quasi nemmeno per rendersi conto di quale brano si stia ascoltando. 

Quello che è strettamente necessario è cantare lasciandosi trasportare dal flusso di persone che corrono e spingono nervosamente in tutte le direzioni. Arriva però la sospensione, quando Capra ricorda il tour del 2019, quello dei quindici anni di carriera, chiusosi in un luogo che non esiste più. Cantare Atlantide per il Circolo Ohibò è un modo commovente con cui i Gazebo hanno trovato un legame simbolico con la città di Milano, e chi era presente a quel concerto ricorderà con esattezza lo stato d'animo, l'urgenza di spremersi fino a star male, col presentimento di essere sull'orlo di qualcosa di grave.

Dopo una versione particolarmente frenetica di Nevica il palco si svuota per qualche minuto, prima che le note di Bismantova inaugurino la parte finale del concerto. Oramai è una cantata tra amici, ma senza la spiaggia. Basterebbe un cavalcavia ghiacciato per animare i versi di Cinghiale, di Febbre, e di Correggio, il vero canto da stadio dei Gazebo Penguins. Dagli occhi di Capra e Sollo si intende che è stato bello, non c'è bisogno di dirlo nemmeno. La matrice radicale della comunicazione dei pinguini fa anche questo. Basta uno sguardo per capire che sta iniziando l'ultima, quella che mancava, la storia del gatto. Due minuti scarsi di Senza di te e chi si è visto si è visto.

Riccardo Rossi - foto di Emanuele Tixi Palmieri per Circolo Magnolia
Riccardo Rossi - foto di Emanuele Tixi Palmieri per Circolo Magnolia

Siamo usciti di casa affrontando malavoglia il grado e mezzo di temperatura, per assistere a 74 minuti di concerto. Proprio così. Chi era rinchiuso sotto il tendone del Magnolia c'era perché sa bene quanto sia importante non lasciarsi sfuggire i passaggi di questi tre signori dall'anima punk, dal cuore urgente, come avrebbe detto un maestro milanese. Chi era rinchiuso lì sotto ha sentito per la prima volta l'atto di liberazione di un disco nato in tempi cattivi, nato forse in cattività. Chi era rinchiuso lì sotto ha sentito, non ha visto. Perché i Gazebo Penguins sul palco si nascondono tra luci, fumo e suono, perché con loro non c'è nulla da vedere. A occhi chiusi contro un muro, avanti il prossimo.

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L'articolo Gazebo Penguins a occhi chiusi contro un muro di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2022-12-07 12:00:00

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