Brunori Sas: "Come un astronauta tornato a terra, ho messo le cose al loro posto"

Il suo quinto disco, "Cip", è quello della consapevolezza del proprio ruolo e dei limiti umani, del rifiuto di odio e divisioni, della musica che continua a suonare anche se la storia va da un'altra parte

Dario Brunori nelle foto di Leandro Emede
Dario Brunori nelle foto di Leandro Emede

Di solito quando ci si ripete per troppe volte che va tutto bene, c’è qualcosa che non va. Mathieu Kassovitz ha sublimato questo assunto nella scena più iconica del suo Odio. Antonio Albanese, su tutt'altri registri, lo ha fatto diventare il mantra del suo post-comunista in crisi di identità ed eterna psicanalisi. Dopo aver sentito ripetere la formula “va tutto bene” per almeno tre volte, declinata in varie forme, durante l’ascolto di Cip, il nuovo e quinto disco in studio di Brunori Sas, uscito a mezzanotte, la sensazione che Dario voglia in realtà chiedere aiuto è quindi forte.

“No, non vi dovete preoccupare”, ride l'artista calabrese, che incontriamo alla Casa degli Artisti di Milano, nuovo e splendido spazio in zona Garibaldi a Milano, dove è ospitato l’ascolto del suo ultimo lavoro. Poi torna sul concetto. “Ho voluto ripetere più volte il messaggio, come per interiorizzarlo”, prosegue. “Questo per motivi diversi: la ripetizione da un lato ha il significato proprio dell’auto-convincimento, dall’altro prende un po’ il senso del ‘basta che funzioni’ di Woody Allen. Di certo non volevo né lanciarmi in un ottimismo all’acqua di rose, né banalizzare tutto quanto con un pessimismo fuori luogo. Che è pure peggio, perché tremendamente infantile”. 

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Chiacchieriamo un po’ nella pausa tra una traccia e l’altra delle 11 che compongono Cip, disco volante e volatile che arriva, attesissimo, a tre anni dal trionfo mainstream di A casa tutti bene. Brunori mostra piacere nel parlare del senso profondo dell’album, della sua coerenza di pensiero. “Quando scrivo canzoni lo faccio anche per me stesso, per dirmi delle cose. Ma in realtà questo è un disco in cui, più che in tutti gli altri, la vicenda degli uomini non è cosi centrale. L’umanità c’è, ma rimane un po’ sullo sfondo”.

In apparente contrasto con un titolo semplice e canterino, Cip è “un lavoro che pende in maniera netta verso la mia tensione spirituale. Non parlo di confessioni religiose, chiamala religiosità laica o come vuoi, ma è un aspetto che nella mia vita, come in quelle di molti, c’è”.

Pronti via, si parte con Il mondo si divide, prima canzone del disco, in cui subito fa la sua prima apparizione (a livello di citazione, almeno) la mitologica Mammarella Sas. Un pezzo pubblico, quasi politico, a dispetto di quello che abbiamo appena detto. Un pezzo per esplicitare istantaneamente uno dei concetti chiave dell’album: si può urlare anche sottovoce (e Brunori si conferma maestro in questo), perché essere buoni è difficile, ma necessario (e se scegliete di essere cattivi vuol dire che siete un po’ stronzi, per quanto sia di moda).

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Sin dalla prima canzone Brunori si dichiara sempre più estraneo al qui e ora (che di questi tempi non è un granché) e rivendica l'ambizione di vivere sereni. “Le divisioni nel mondo e tra gli uomini ci sono da sempre, ma questo loro accentuarsi oggi non mi pare una forma di attrito vitale, quanto più di isolamento. Capisco le divisioni, ma non le amo”. Brunori, adagiato su un divanetto della sala di ascolto, continua a gettare occhiate al pianoforte accanto a lui. 

Il discorso torna a toccare vette parecchio alte, siderali diciamo. “Penso spesso alla cosidetta sindrome della visione di insieme, secondo cui gli astronauti, una volta tornati sulla Terra, cambiano completamente la propria prospettiva sul mondo e sulle cose umane. A modo mio, mi è successa una cosa simile”.

Un processo che, immaginiamo, parte da una dinamica di accettazione di sé e del proprio ruolo. Il suo in questi 10 anni è cambiato parecchio, trasformandolo da idolo di una piccola nicchia di sostenitori fino alla consacrazione (diteglielo, e sentirete la risata che si farà) a guida morale di una generazione, grazie a un pezzo come La verità. “L’artista lotta da sempre con il suo ego e la centralità nella vita di tutti, io con questo album mi ripeto che in fondo sono un nulla, e va bene così. Questa è la prospettiva d’insieme in cui mi sono mosso, anzitutto è un'indagine nei miei confronti”.

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E di autoironia, come sempre. “Be’, sì. Anche perché questa mia nuova accettazione di me stesso non è tragica, anzi mi fa vivere più felice. Per questo ho scelto un titolo come Cip e messo in copertina un pettirosso (disegnato da Robert Figlia, ndr): è un momento in cui mi sento fiero e leggero, come lui”. 

La musica accompagna il percorso verso la nuova dimensione, che è anche quella di un artista affermato che può permettersi (come probabilmente ha sempre sognato) un disco orchestrale, rifinito in ogni dettaglio da un punto di vista degli arrangiamenti, grazie al solito grande lavoro di Taketo Gohara. La produzione è ambiziosa e complessa (su tutte Fuori dal mondo), mentre archi e fiati giocano di intreccio con i momenti più pop e solari, e aprono la strada a qualche lampo di distorsione. 

In un mondo in cui si usano soprattutto campioni, noi rimaniamo romantici e suoniamo”, dice Dario, aprendo di nuovo un sorriso. Abbiamo appena terminato l’ascolto di Anche senza di noi, quarta traccia del disco, un altro brano in cui tornano i concetti del mondo che va avanti comunque e del “alla fine va tutto bene”. “Dal vivo realizzare i brani di Cip sarà un lavoraccio: nel disco ho usato parecchio archi e fiati e nel prossimo tour privilegerò questi strumenti, non potendo allargare all’infinito la formazione, come musicisti aggiunti, oltre alla band, che già è corposa di suo”.

I concerti, già che siamo in argomento. Si parte il 29 febbraio da Vigevano, e si va avanti, per ora, fino ai primi di aprile. Il gran finale a Reggio Calabria, in mezzo Roma, Assago e tutto quello che non può mancare. Quest’anno sono palazzetti, e non poteva essere altrimenti

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“Sentivo l’esigenza di recuperare un po’ lo spirito del passato", dice. "Perché io vengo dai club, anche se ho amato e amo il teatro canzone da sempre. E il palazzetto, oggi, è il luogo che più mi permette di ritrovare la dimensione del club, anche se sono un po’ preoccupato dal fatto che, essendo alcune di queste strutture delle specie di non luoghi, potremmo risentire un po’ per quanto riguarda l'atmosfera. Ma alla fine andrà tutto bene: ora sono nella fase in cui devo cercare di capire quali canzoni dei vecchi dischi a livello di mood stiano bene con le nuove”. 

Al di là dell’amore, il primo singolo estratto dal disco, Benedetto sei tu, Bello appare il mondo – “mi sono accorto a posteriori che ci sono parole, ad esempio mondo, che ritornano di continuo, ma non è in alcun modo una cosa studiata”, dice Brunori –: sentiamo una dopo l’altra le canzoni, da qualche ora patrimonio di tutti in streaming. 

Prima della chiusura con Quelli che arriveranno, la stanza si riempie con Per due che come noi, il singolo – “uscito il giorno di Santa Lucia” – che ha anticipato di qualche settimana Cip, trovando critiche un po’ più che entusiaste. Un pezzo in cui, sospesa sulle note del pianoforte, la poetica di Brunori dimostra di aver salito un nuovo gradino, proseguendo nel percorso di assimilazione e shakeramento dei vari Lucio Dalla (parecchio), De Gregori, Rino Gaetano (e ognuno aggiunga i suoi preferiti).

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“In questa canzone, come in generale nel disco, mi sono messo a nudo, anche in modo abbastanza spudorato. Soprattutto da un punto di vista del tono: in passato non me la sarei mai sentita di dire certe cose, come sentite in questo pezzo, o al massimo mi sarei coperto dietro l’ironia. Mi ero ripromesso di evitare un certo sentimentalismo del passato, in cui non mi ritrovavo più del tutto, e credo di essere riuscito a metterlo da parte. Ho deciso di non bluffare, parlare in modo diretto. Mi è costato, ma è stata una liberazione”.

Ci congediamo, uscendo in direzione Moscova. C’è persino il sole. Cerchiamo di sentire uccellini cinguettare, ma sarebbe chiedere davvero troppo. “Mi piace il titolo Cip anche perché si può vivere come un acronimo, e ognuno può dare il significato che vuole”, scherza Brunori. “Pensa che all’inizio il titolo doveva essere Prima persona plurale, perché, mentre in passato scrivevo per metà canzoni con me stesso protagonista e per metà pezzi in cui vestivo i panni di qualcun altro, qua comanda un io collettivo, un noi. Però, stando sempre nelle tre lettere, Cip suona meglio”. 

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L'articolo Brunori Sas: "Come un astronauta tornato a terra, ho messo le cose al loro posto" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-01-10 15:03:00

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