Tomas Milian e Venditti, da "Sora Rosa" al Folk Studio

Una nuova puntata di Retroterra, dedicata ad Antonello Venditti e Tomas Milian

La banda del gobbo, Tomas Milian
La banda del gobbo, Tomas Milian

Pensavo alle parole de ’na canzone, de un compositore che nun se batte, Antonello Venditti. ’A canzone si chiama Sora Rosa. Nell’ultima parte dice: “C’è una cosa sola vera / per chi spera / che forse, forse, un giorno chi magna troppo adesso / possa sputa’ le ossa che so’ sante”. Questo dice la canzone. Invece Marazzi Vincenzo, er Gobbo de Roma, dice: “Quelle ossa ve le voglio fa caga’. VE LE VOGLIO FA CAGA’!” Paura? Paura. Sta serva de ladri zozzi.

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Così Tomas Milian, nel film cult del 1977 "La banda del Gobbo". Non è l’unica canzone di Venditti che compare con un ruolo importante nella colonna sonora del film: c’è anche la celeberrima "Roma Capoccia", che fa da commento sonoro alla drammatica fuga in auto del protagonista nel finale del film. E lo fa in modo davvero inconsueto, dato che è la canzone che il protagonista, “Marazzi Vincenzo, conosciuto come Er Gobbo de Roma”, ascolta alla radio e canta. Allo stesso modo, "Sora Rosa" si sente quando il Gobbo, tradito dalla sua banda, riesce a tornare a casa dopo essere fuggito attraverso le fogne. La ascolta dall’LP e la canticchia Maria, la prostituta con cui fa coppia (interpretata da Isa Danieli) e, qualche minuto dopo nel film, il Gobbo stesso, che dopo essersi ripreso medita vendetta.
"Sora Rosa" fu fortissimamente voluta da Milian stesso, come l’attore ha ricordato il 18 marzo 2013 in un’intervista a Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano": "C'era una canzone di Antonello Venditti che adoravo. Una poesia che volli a tutti i costi mettere in alcune sequenze de La Banda del gobbo. Si intitola Sora Rosa. Parla di indignazione, rabbia e rivolta. Rubai due righe al testo e le misi in un lungo monologo al centro del film. Quasi un comizio politico. Il bandito di borgata sequestra i clienti di un night e prima di rapinarli e purgarli con il sale inglese gli propina una lezione su diritti, soprusi, ricchezza e povertà."

La lezione l’avete vista sopra. Non è casuale che la impartisca il Gobbo e che l’abbia fatto scegliendo una canzone di Venditti. Già, perché il personaggio del Gobbo era nato l’anno prima, nel film "Roma a mano armata", dove è l’antagonista del supercommissario braccio violento della legge Leonardo Tanzi, interpretato dal divo Maurizio Merli. In "Roma a mano armata", il Gobbo è un personaggio più spregevole di quanto non appaia in "La banda del Gobbo": tuttavia il modo in cui avviene il primo incontro tra i due personaggi (il Gobbo lavora al macello e, quando gli spettatori ancora non sanno che criminale sia, viene pestato e umiliato da Tanzi/Merli), nonché le sue origini e i suoi modi popolani, ne fecero un eroe proletario al punto che alla prima del film il pubblico applaudì Milian, ma fischiò e contestò Merli, che uscì dal cinema in lacrime. D’altro canto, il regista del film, l’anarchico Umberto Lenzi, aveva concepito il personaggio proprio così: ispirato in parte a un macellaio che il regista aveva conosciuto nell’infanzia, per altra parte si rifaceva al Gobbo del Quarticciolo, uno degli eroi della Resistenza a Roma.

Così il Gobbo di Tomas Milian finì per essere l’eroe del riscatto proletario, che dissacra la famiglia, i santi e le autorità, contro il commissario borghese e “fascista” (questa era la percezione all’epoca) di Merli. Lenzi dichiarò a Manlio Gomarasca di "Nocturno": “C'è sempre nei miei film qualcosa che va verso questa ideologia di ribaltamento e liberazione. Ci sono stati due film in cui ho cercato di dare questa dimensione di contestazione globale: Roma a mano armata e La banda del gobbo”. In quest’ultimo, Milian pigiò l’acceleratore sulla contestazione, andando perfino oltre le intenzioni di Lenzi, con cui litigò per questo (tutto sommato, a Lenzi andò meglio che a Merli, che nella scena finale di "Roma a mano armata" era stato pestato per davvero da Milian, anche se oggi quest’ultimo nega), inserendo il famoso monologo, i brani di Venditti e il riferimento esplicito a Sora Rosa.

Milian c’aveva visto giusto. "Sora Rosa" era nata come canzone di protesta antiborghese. Ma anche se era stata pubblicata cinque anni prima in "Theorius Campus", il disco d’esordio di Venditti in coppia con De Gregori (Theorius Campus era in realtà il nome del duo: “Francesco era «Theorius», io ero «Campus»”, ha raccontato Venditti nel 2009: uniti davano vita al personaggio fittizio di Alexis Theorius Campus, “un vecchio con la barba che quando suonava l’organo sfondava il cielo”; il nome sarebbe stato inventato da De Gregori), "Sora Rosa" era molto più vecchia: c’è chi dice che Venditti l’abbia composta a 14 anni nel 1963, chi a 16, nel 1965. Fatto sta che sarebbe stata la prima in assoluto a essere scritta dal cantautore romano, seguita pochissimo tempo dopo da "Roma Capoccia" (anch’essa finita in "Theorius Campus"), "Lontana è Milano" (compresa invece in "L’orso bruno", 1973) e "E li ponti ’so soli" (che si trova in "L’orso bruno" e "Le cose della vita", entrambi 1973).

Venditti non è mai stato un proletario: a 14 anni è un ragazzino dell’alta borghesia, afflitto da una nonna che gli prepara pranzetti ipercalorici che lo hanno reso obeso, un padre che appartiene all’“alta burocrazia nazionale” (fu vicequestore di Roma) e da “una professoressa-madre” di latino e greco (il quadretto familiare sarà descritto impietosamente in "Mio padre ha un buco in gola", 1973, in ""Le cose della vita). Come tanti della sua generazione, Venditti rinnega la sua classe sociale: non a caso le sue prime canzoni già fondono la lezione del folk e del rock americani ("Sora Rosa" ruota intorno a una variazione dello schema I/VIm/IV/V, molto usato nel soft rock e nel folk americano. Un esempio che unisce i due mondi? "If I had a Hammer" di Pete Seeger, che divenne una hit in Usa nel 1962 nell’interpretazione di Peter, Paul & Mary e da noi l’anno dopo nella versione italiana di Rita Pavone, "Datemi un martello") con il dialetto romanesco che non è altro che il riflesso linguistico di una scelta di campo sociale, umana ed esistenziale, prima che politica.
È palese l’influenza di Giuseppe Gioacchino Belli: nel sole che diventa un’arancia in "Roma capoccia", in questo stesso ultimo vocabolo che è il volgarizzamento/svilimento/ribaltamento di “caput mundi”; nel “mondo infame” che conclude la canzone più famosa di Venditti, ma soprattutto nella già citata immagine finale di "Sora Rosa" per cui “c'è solo questo de vero pe cchi spera, / che forze un giorno chi magna troppo adesso / possa sputà le ossa che ssò ssante” (con un senso barocco del macabro e del sacro tipicamente belliano).

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Fu proprio "Sora Rosa" ad aprire le prime porte a un giovanissimo Venditti che non ne voleva proprio sapere del futuro sognato per lui dalla madre, fatto di “pranzetti alle due del pomeriggio, una vita da impiegato”. Questa canzone, che parla della sua voglia disperata di abbandonare una città e un Paese, Roma – appunto -  e l’Italia, tragicamente imborghesiti, in cui cioè il valore della solidarietà ha lasciato il posto al carrierismo rampante e perbenista, è il suo lasciapassare per il Folkstudio, locale attivo già dal 1960, catalizzatore per gli ambienti dei musicisti impegnati e frequentato da gente come Mario Schifano, Gian Maria Volonté, Nanni Loy, Dacia Maraini e Alberto Moravia.
Ha raccontato l’amico di un tempo (e cantautore pure lui) Giorgio Lo Cascio circa l’ingresso di Venditti al Folkstudio, avvenuto a ottobre 1969: “Antonello fece la sua comparsa un pomeriggio con un montgomery… Aveva in mano un pezzo di carta con il testo di una canzone che aveva scritto: era Sora Rosa, e a noi piacque molto. Antonello suonava il piano in un modo che non avevamo mai sentito, ed aveva una voce veramente eccezionale”. Rievoca così l’evento lo stesso Venditti: “Era un martedì quando staccai il primo passo dentro al Folkstudio di via Garibaldi e trovai un tale Francesco De Gregori che alternava composizioni sue a traduzioni di brani di Leonard Cohen e Bob Dylan. Mi presentarono Giancarlo Cesaroni, ovvero l'uomo-censura, grande boss, diviso fra sigaro, Ballantine's e corse dei cavalli. A fare i provini c'era la fila, decideva lui a insindacabile giudizio. In un angolo addossato al muro, malmesso e di schiena al pubblico, c'era un pianoforte che veniva usato solo in caso di jazz. Quasi non esisteva come strumento nell'immaginario collettivo. Gli suonai Sora Rosa, Roma capoccia e Viva Mao e il capo sentenziò: "Puoi venire domenica". Lo spazio domenicale cominciava alle 14:30 e terminava quando noi decidevamo di far girare le chiavi. Ci chiamavamo poco fantasiosamente "I Giovani del Folk(studio)", ne facevamo parte io, De Gregori, Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano, i quattro ragazzi con la chitarra e il pianoforte sulla spalla finiti nella prima strofa di "Notte prima degli esami" (e che forse sono anche quelli ritratti in "Quattro cani" di De Gregori, ndr).

 (Folkstudio: Venditti al piano, De Gregori al basso, Edoardo e Stelio alle chitarre)

Saranno sempre gli stessi ingredienti – modo di suonare il piano, voce, "Sora Rosa" - a convincere Vincenzo Micocci, patron della IT, etichetta sussidiaria della RCA nata da poco, nel 1970, a dare una possibilità a Venditti, stavolta in coppia con De Gregori, facendogli incidere il debutto "Theorius Campus": “Mi convinse delle sue possibilità quando, dopo qualche giorno che lo conoscevo, ebbi l’occasione di guardarlo di spalle: entrai in studio mentre suonava al pianoforte […] Non si può dire che stesse “suonando” il pianoforte, ma piuttosto che avesse preso d’assalto lo strumento, sulla cui tastiera vibrava con tutto il corpo dei colpi con le mani, utilizzando le dita come veri e propri martelli, che riempiva della forza e dello sdegno che erano contenuti nelle mosse delle sue braccia, in una posizione del corpo come riversa sulla tastiera, con l’intenzione di fare male allo strumento. Fortunatamente capii che non voleva distruggere il pianoforte, ma piuttosto utilizzarlo completamente, per non perdere nemmeno un briciolo del suo entusiasmo di cantautore”.
Come ricorda nella sua autobiografia "Vincenzo, io ti ammazzerò(Coniglio, 2009), Micocci propone una bozza di contratto a Venditti e De Gregori, “sulla quale furono molto critici, e dissi loro: «Va bene, ragazzi, ci vediamo e buone cose». Tornarono poi separatamente, uno alla volta, e per primo firmò Venditti, che già frequentava il nostro studio per qualche provino, e poi perché aveva già dato una sua canzone a Edoardo [De Angelis] & Stelio [Gicca Palli]”. La canzone, manco a dirlo, era proprio "Sora Rosa", ed era uscita, con qualche minima seppur significativa differenza nel testo, nel loro esordio del 1971, "Il paese dove nascono i limoni".

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Così ricorda Venditti quei giorni: “La IT era un buon posto. Perché era un avamposto. Un posto di mediazione. Stavamo a valutare tutto quello che diceva Vincenzo, su una parola, un accordo, ma anche a non perdere la nostra originalità, il nostro linguaggio, il nostro impeto. Alla IT giravano personaggi straordinari, e poi c’erano i “coinquilini”… Infatti, mentre portavo Sora Rosa c’erano Edoardo Vianello e la Goich con Semo gente de borgata, Franco Califano, i Ricchi e Poveri nella Apollo, sullo stesso pianerottolo [la sede comune era al Villaggio Fleming, in via Guido Banti a Roma, ndR]. C’era anche la Delta con Paolo Dossena, Mario Simone, Lilli Greco e Richard Cocciante. Sai, un conto è crederci, un conto è darti i mezzi. E Vincenzo ce li ha dati”.

E i mezzi hanno un nome, un cognome e un curriculum: Lilli Greco, l’uomo dietro ai tanti successi della RCA canzonettara degli anni ’60 e ora da un po’ in cerca di qualcosa di nuovo. Greco ha solidi studi classici alle spalle, un’idea della musica leggera come prodotto di qualità. L’incontro con Venditti e De Gregori sarà di quelli che gli cambia la vita. È lui che decide far accompagnare i due, tra gli altri, da una bella fetta degli inglesi Godfather: Derek Wilson alla batteria (suona ancora con Venditti e con Zucchero), Mick Brill al basso, Douglas Meakin (ex leader dei Motowns) e Dave Sumner (ex Primitives) alle chitarre. Ed è lui a decidere di puntare su "Roma capoccia" invece che su "Sora Rosa": “Quel benedetto pomeriggio nell’ufficio della IT scattò una cosa importante: Roma capoccia era una imponente canzone romana che faceva impressione per diversi motivi. Sicuramente l’imprecazione finale, ma più in generale una sua forza naturale. Venditti la giudicava un po’ sempliciotta, lontana dai temi impegnati che lo interessavano in quel momento. Invece è un classico. Per quanto mi riguarda, il primo motivo che mi spinse a fare Theorius Campus è Roma Capoccia”. Venditti ci rimane male: “A Roma mi conoscevano soprattutto per Sora Rosa. Roma capoccia la consideravo una canzone turistica, non al livello del mio repertorio. Se potevo evitarla, ne ero ben contento. [Così] al momento di registrarla, mi rifiutai di suonare il pianoforte. Un po’ perché continuavo a non amarla in modo particolare, un po’ perché in sede di arrangiamento aveva subito qualche cambiamento. Nella tonalità, ad esempio. Di fronte al mio secco rifiuto, Lilli decise di eseguire lui la parte (in C’era una volta la RCA di Maurizio Becker, Coniglio, 2007).

 

(Foto di gruppo per la IT 1972)

La trasmissione di Radio Rai più attenta alla nuova musica, Supersonic, dopo la pubblicazione a maggio 1972 di "Theorius Campus", manda in onda "Roma capoccia" a ripetizione, che piace moltissimo. Ma Venditti non si convince. Così, quando la RCA decide di mandarlo a settembre alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, che se ne andava in Eurovisione, prende una decisione shock: “Pensavo che "Ciao uomo" fosse, come testo e come musica, molto più avanti di "Roma capoccia", che a sua volta era anche rivoluzionaria ma romana, anche se di una romanità più convinta… al punto da diventare un successo nazionale. Quando si è trattato di dire in Eurovisione «Venditti è questo qui», "Ciao uomo" mi è sembrato il pezzo giusto. Il romano di "Semo gente di borgata", di Lella di Edoardo e Stelio mi aveva un po’ condizionato… la stessa "Sora Rosa" era stata cantata da loro prima che da me…”. Ciao uomo vince la Gondola d’argento riservata al miglior esordiente, la RCA stampa il 45 relativo con Roma capoccia sul lato B, che arriverà al numero 17 in classifica a gennaio 1973, ma Venditti smette praticamente di scrivere in romanesco: anche quelle in "A Cristo" (in Quando verrà Natale, 1974) in realtà sono state composte negli anni ’60, rispettivamente nel 1965 e nel 1967.

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Eppure, la scelta di campo sociale e umana sottolineata dalla scelta del romanesco, pur se limitata a un pugno di canzoni che hanno in "Sora Rosa" la punta di diamante, rimane importante, allineata com’è, pur se politicamente più radicale, con quel processo di creazione di una nuova canzone romana di impegno sociale che vede attivi negli anni ’60 e nei primi ’70 nomi come Gabriella Ferri e i Vianella (giusto per citarne un paio e dei quali non a caso si ascoltano degli spezzoni in Roma a mano armata, nella scena del bar).

Sarà Tomas Milian a comprendere lucidamente la portata dirompente dei brani romaneschi di Venditti, riportandoli d’attualità con "La band del Gobbo" e inaugurando una liason sotterranea che non si è conclusa in breve tempo: nel 2011 ha interpretato "Roma nuda" insieme a Francesco Venditti, figlio di Antonello, e poco dopo ha preannunciato l’inizio delle riprese del seguito di "La banda del Gobbo", che dovrebbe intitolarsi "Roma Capoccia".
Amaramente, "Sora Rosa", scritta 50 anni fa, inquadra perfettamente la situazione dell’Italia di oggi. Lo ha ricordato lo stesso Venditti in un post sulla sua pagina Facebook per spiegare ad alcuni fan il proprio messaggio di benvenuto a Beppe Grillo nel giorno del comizio finale della campagna elettorale 2013: “Cari Amici, come è difficile farsi capire! Fate uno sforzo...  Sora Rosa, Campo de' fiori, Compagno di scuola, Lilly, Marta, Sara, Giulia, L'uomo falco, Nostra signora di Lourdes, Il telegiornale, Bomba o non bomba, Dolce Enrico, Penna a sfera, Sotto il segno dei pesci… fino ad arrivare a Che fantastica storia è la vita e Allora canta… La mia idea di democrazia e di libertà vola sulle cose della vita e vive nella mia storia, nella mia mente e nel mio cuore e non ci sarà mai nessun partito o movimento che potrà contenerla. Quindi Benvenuto Beppe, ti sono molto vicino.

Un post, come si vede, che traccia una precisa linea poetica (e politico-sociale) all’interno della produzione di Venditti, con capostipite proprio "Sora Rosa". Insomma, Tomas Milian c’aveva visto giusto. Ma che ve lo dico a fare?  

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L'articolo Tomas Milian e Venditti, da "Sora Rosa" al Folk Studio di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2013-09-04 23:08:00

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