Marco Castello + RBSN: tutti quanti voglion fare jazz, ma pochi lo fanno bene

Il jazz di RBSN e Marco Castello ha una sola regola: fare bene e fare stare bene. Con "Muro", prima uscita della romana ODD Clique, dimostrano che il jazz si può letteralmente fare in tutte le lingue del mondo. Se sei bravo come questi due

RBSN  e Marco Castello – foto di Federico Zanghi
RBSN e Marco Castello – foto di Federico Zanghi

A volte la musica è "solo" musica. Anzi, più secco. È solo musica. Magari tendiamo a pensarci con un’accezione negativa. È solo musica, e nient’altro. Come a dire: "Quella robetta lì". Ma "quella robetta lì" a volte non ha bisogno di travestirsi da altro – magari con grandi frasi poetiche – per essere un gran pezzo. Più ascolto Muro, il nuovo singolo di RBSN e Marco Castello più continua a ronzarmi in testa. È solo musica.

Il jazz è sempre stato solo musica ("solo" musica). Non c'era nulla da agghindare e spesso non servivano nemmeno parole. Gente che fino a poco prima aveva vissuto la schiavitù, di colpo iniziava a salire su dei palchi per suonare. Il figlio di un ex-schiavo africano che si esibiva in smoking durante la segregazione razziale in America era rivoluzionario. Anche quella era solo musica. Senza doppi fondi o significati reconditi da scomodare, ma solo musica così com'è. Il jazz ha sempre fatto così, non si è mai nascosto dietro a un presunto linguaggio poetico, anzi andava dritto al punto. Le cose si fanno bene e fare le cose bene è un gran messaggio. Il semplice fatto di stare sul palco era il significato, e tutt'ora è cambiato poco.

Oggi RBSN e Marco Castello pubblicano per Odd Clique – neonato collettivo romano che vuole spingere la scena locale – questo pezzone. È un brano pieno di rimandi agli altri lavori di Marco, con quella fusione tra sound casereccio e pulito, pop e funk-jazz acustico. Ma concentriamoci sui due protagonisti, ne vale la pena.

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RBSN è il nome d'arte di Alessandro Rebesani, chitarrista classe 1996, che dal conservatorio jazz a Roma è arrivato a Londra, dove ha vissuto e lavorato con l’etichetta Tight Lines e Tate Modern, tra le altre. Poi ha suonato con un po' di gente, tra cui il cantante australiano James Chatburn, allontanandosi dal jazz per esplorare il mondo alt pop. Da qui nasce il suo primo disco, Stranger Days, che segue quello stile. Ci sono dentro virtuosismi di chitarra ma anche voci rarefatte e cori elettronici, tutto confezionato sotto la produzione dell'etichetta newyorkese Ropeadope. A Roma viene invitato a un TEDx. A metà dell'esibizione si avvicina al microfono per spiegare il motivo per cui ha scritto Soul / Searching: "Noi persone siamo legate alla natura come una mela è legata a un albero". Dietro di lui scorrono immagini dell'impatto ambientale causato dall'espansione della città. Nessuno strano significato nascosto, quello che doveva far capire l'ha fatto capire così, senza mezzi termini. Suona per più di 15 minuti e usa il microfono solo per quei 30 secondi. È solo musica.

RBSN – foto di Agnese Zingaretti
RBSN – foto di Agnese Zingaretti

Di Marco Castello, vi parliamo da un po'. Anche lui è un jazzista serio, di quelli da conservatorio – sta volta a Milano – che si spezzano la schiena sugli strumenti (non che gli altri non lo facciano). Ha esordito nel 2021 con un disco pazzesco e il secondo del 2023 non poteva che finire in alto nella classificona di fine anno (anzi al numero uno!). Mescola italiano e dialetto siracusano, jazz e bossa nova, un pizzico di pop e ironia a palate. Sta facendo delle cose incredibili, il suo ultimo disco lo ha fatto tutto da solo, gira senza etichetta e senza booking e riempie tutte le venue. Sarà anche al prossimo MI AMI, vi consigliamo di non mancare. Non è roba da poco. Ma anche questa è solo musica. Tra le sue rime in dialetto e le armonie leggere non c'è il tuo nuovo motto da scovare cercando a fondo nelle canzoni. È lui, da solo con i suoi strumenti che canta in dialetto e suona pezzi eleganti e tecnicamente tutt'altro che semplici. Ma già questa è un'immagine potente.

I due si sono incontrati a Siracusa, e dalle varie jam session è uscita Muro. Due che ti sanno buttare giù un pezzaccio del genere senza bisogno di infiocchettarla sono tra i più veri. Sembra non gliene freghi nulla di cosa uscirà fuori, l'importante è come deve uscire: pesato in ogni dettaglio, senza nulla di tirato via. Ascoltare musica fatta in questo modo, con le dita consumate a forza di suonare e studiare, ha tutto un altro gusto. Sarà lo stile un po' alla George Benson, la chitarra classica lontana in sottofondo che ricorda il sound di João Gilberto. Oppure sarà che hanno fatto entrambi il conservatorio jazz e questo modo di fare musica lo conoscono, ma a me sembra che Muro sia solo musica.

È tutto già nel titolo, nelle foto e nel testo. Un muro di sassi con due amici che parlano senza capirsi, e allora si rispondono un po’ così, uno in siciliano e l’altro in inglese. E nel parlare ogni tanto una risposta pare azzeccata, come il famoso orologio che segna l’ora esatta due volte al giorno. Al primo verso in dialetto di Marco Castello, RBSN continua a cantare come niente fosse con un “Whatever you say”. Con questo gioco di parole però sospetto non c’entri la probabilità, ma il genio, lo stile. Ecco la parola.

RBSN  e Marco Castello – foto di Federico Zanghi
RBSN e Marco Castello – foto di Federico Zanghi

Muro è un pezzo stiloso. Dentro non c’è molto, ma è tutto orchestrato con una maestria che lascia senza fiato. Gli strumenti si accavallano, sghembi e saltellanti come la batteria, vellutati come il piano Rhode o sbarazzini come il basso (che mamma mia quanto mi ha preso). Non c’è da cercare chissà quali significati nascosti tra le pieghe di ogni nota o massime di vita tra i singoli versi. Suonare per suonare, ma farlo bene, non è per nulla banale o scontato. Perché se una canzone è fatta così, dire che è solo musica non la sminuisce, anzi.

Non è questione di freschezza, o di quanto spacchi un brano, ma di quanto vengono curati i dettagli. Gli incastri di voci, la chiusura sul "non ho più niente da dire" di RBSN, la struttura che è pop ma è anche divisa in due parti che si alternano come nei pezzi jazz contemporanei. Non sono cose che si sistemano al computer, sono di quelle che si imparano a furia di esercizi e dopo ore e ore (giorni e giorni) di prove. Sono due artisti che amano il jazz e lo dicono senza le parole – quelle parlano di altro – ma semplicemente facendolo, che è la cosa più spontanea e d'impatto che si possa fare. Il jazz è morto, lunga vita al jazz.

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L'articolo Marco Castello + RBSN: tutti quanti voglion fare jazz, ma pochi lo fanno bene di Martino Fiumi è apparso su Rockit.it il 2024-03-07 22:11:00

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