Senza la musica live non esistono le band

Se vieni da un paese della Campania, la tua carriera musicale potrebbe interrompersi dopo un centinaio di mail senza risposta. Ma il palco è un'altra cosa: se ci sono il talento e la botta giusta, qualcuno ti nota. Come è successo agli Yosh Whale

Gli Yosh Whale a Filagosto - foto Maria Laura Arturi
Gli Yosh Whale a Filagosto - foto Maria Laura Arturi
10/05/2020 - 17:40 Scritto da Yosh Whale Yosh Whale 3

Da soli siamo Vincenzo, Andrea, Ludovico e Sam, quattro persone completamente diverse, quattro musicisti con gusti e approcci molto distanti. Insieme siamo gli Yosh Whale, e questa famiglia ce l'ha donata il palco.

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All’inizio eravamo un duo, Vincenzo alla voce e Andrea all’elettronica e produzioni, nel 2017 abbiamo autoprodotto e pubblicato un primo ep YAWN, che ci ha concesso la partecipazione al DISORDER festival di Eboli. Non avevamo mai suonato in pubblico, nè avevamo esperienza di alcun tipo alle spalle: facciamo musica insieme da quando siamo piccoli, senza neanche sapere come, veniamo dalla provincia delle provincia salernitana, non ci siamo mai interfacciati con molti stimoli o con chissà quanti altri musicisti.

Eravamo completamente impreparati all’eventualità di doverci esibire su un palco e si può dire che Ludovico (alla chitarra) e Sam (alla batteria) siano entrati a far parte della band, perchè ci serviva qualcuno che suonasse con noi. Si può dire che quella che poi è rimasta la formazione definitiva della nostra band, si sia formata intorno ad un live. Per vari mesi abbiamo provato l’ep riarrangiandolo per l’esibizione, ed è stato molto strano all'inizio perché veniamo da background musicali dissimili. Sam ha radici nel metalcore, Ludovico nel fingerstyle, Andrea nel ambient elettronico e Vinz, che poi è la voce, dal soul e dalla black music. Questo impastarsi di esperienze così diverse è probabilmente la vera chiave che rende il nostro progetto un po’ sui generis, creando un’esibizione molto evocativa ma allo stesso tempo di forte impatto.

Al DISORDER, era agosto, c’era un caldo asfissiante, eravamo molto agitati e in realtà anche gli organizzatori perché quello che portavamo era molto diverso da quello che avevano ascoltato. L'ingranaggio poi ha funzionato perfettamente. Quella sera, mentre suonavamo, abbiamo capito di essere una vera e propria band. La visibilità del DISORDER ci ha portato a girare per altri festival campani, a prendere conoscenza del palco, tra di noi, capire come calibrare il suono, a cosa dare più respiro, dove spingere di meno.

Qualche tempo dopo il padre di Vincenzo ha beccato per radio l’annuncio di un contest per band emergenti che si svolgeva a Torino, il premio Buscaglione. Siamo sinceri, noi non sapevamo neanche cosa fosse e non eravamo convinti di partecipare, suonavamo insieme da poco, non avevamo alcun tipo di esperienza di concorsi o contest e ci sembrava tutto un po’ prematuro e azzardato. Il mini tour regionale però era finito, così come la possibilità di altre nuove date; è stato così che Vinz, in un pomeriggio in cui era completamente immerso nella noia della dispersa periferia da cui veniamo, decide di iscriverci senza dirci nulla. Qualche lunedì successivo, ci arriva una mail: gli Yosh Whale sono stati scelti insieme ad altri 16 gruppi, tra più di 400 candidati, per partecipare alla prima fase dei live del Premio Buscaglione, al Serraglio di Milano.

Gli Yosh Whale premiati alla finale, foto via Facebook
Gli Yosh Whale premiati alla finale, foto via Facebook

Avevamo 22 anni e non solo non avevamo mai suonato fuori regione, ma neanche ci eravamo stati ancora a Milano. I live per noi hanno significato anche questo, una crescita personale e umana, esperienze nuove, la possibilità anche di accedere ad un mondo che se vieni dalla provincia (soprattutto da un certo tipo di provincia), difficilmente puoi sperimentare da casa tua. Era tutto nuovo, il Serraglio colmo fino all’orlo, sembrava ricoperto da una patina di oro in polvere, probabilmente era solo il sudore delle persone, di quel famoso assembramento umano che adesso ci sembra qualcosa di inaccessibile. Eravamo terrorizzati, nessuno di noi, neanche separatamente, aveva suonato davanti ad un pubblico così. La tensione palpabile, i gruppi prima di noi fortissimi e sicuramente con molta più esperienza. Ci sentivamo pericolosamente esposti e terribilmente non pronti.

Di quando siamo saliti sul palco ci ricordiamo solo dei frame, qualcuno che ci spinge le spalle per farci camminare, la voce che ci presenta e poi il buio. C’è una cosa che impari presto, anzi subito, che quando chiudi gli occhi e inizi a suonare passa tutto, quasi non ti ricordi dove sei e senti solo il calore e un’energia fortissima che ti arriva dalle persone che ti sono davanti, che siano 10 o 1000, che tu sia sul piccolo palco di provincia o in un locale cult della capitale musicale. La reazione al nostro primo pezzo, che poi è una cosa che abbiamo capito che accade spesso, è stata molto diversa nel pubblico. Alcuni non capivano bene quello che stessimo facendo ma ne erano affascinati. Passammo il turno, la tappa successiva era l’Hiroshima mon amour di Torino. L’Hiroshima è stato una botta incredibile. Palco enorme, pubblico mai visto.

Il backstage. Si parla così poco del backstage quando si parla dei concerti, forse per noi è diverso, essendo agli inizi, ma quello è stato lo spazio che ci ha permesso di entrare in contatto con altri musicisti, anche con molta più esperienza (quell’anno c’erano Andrea Laszlo De Simone e Canova come ospiti); è un momento in cui condividi con perfetti sconosciuti una roba empatica fortissima, quel grado di condivisione umana in genere è gestito dal pudore che c’è tra estranei, che in un contesto come quello viene completamente annullato.

Il live è un momento in cui, sia prima che dopo, sparisce ogni tipo di infrastruttura umane, si è completamente aperti, l’adrenalina in circolo ti fa venire voglia di abbracciare tutti, dal pubblico, ai fonici, a chi si esibirà prima di te e che magari, nella vita di tutti i giorni, ti starebbe pure sul cazzo. Un assembramento di carne e endorfine mai visto. Quando hanno annunciato i vincitori, qualcuno ha detto Yosh Whale e qualcuno di noi è quasi svenuto. A 23 anni, grazie al Premio Buscaglione, abbiamo iniziato il nostro primo tour. Far quadrare gli esami, il conservatorio, trovare un mezzo di trasporto che non fosse la Panda di Vincenzo, condividere umori e stanze, quando sei fortunato, sacchi a pelo nei centri sociali, quando ti dice male, ad un punto in cui il più di noi si conosceva veramente poco, è stato complesso e per questo bellissimo.

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Il tour ci è servito per prendere una reale consapevolezza della nostra musica, a calibrare il rapporto tra di noi e soprattutto a smettere di suonare o scrivere come fossimo 4 persone separate, ma diventando uno, un solo elemento che ha la capacità di suonare quattro strumenti diversi, in tempi uguali.

Anche quando tornavamo a casa, tra una pausa e l’altra, la nostra vita era scandita dalle prove per il prossimo live, dalle discussioni su cosa cambiare, cosa potenziare. Dal palco, si può dire, non siamo mai scesi per tutto quel lungo tempo. A quel punto però le date stavano finendo, avevamo scritto nuovi pezzi ma non avevamo prospettiva per il futuro. Un artista emergente quando cerca di proporre il proprio lavoro si trova immerso in un mare in tempesta dove non si intravede mai un punto di approdo e si è circondati da un numero immenso di santoni e oracoli che, approfittando della giovane età degli avventurieri, si gonfia il petto di vuote e inutili parole che dovrebbero indicare strade sicure. Le strade invece sono state buie, tortuose e non portavano mai a niente, per mesi, forse addirittura un anno abbiamo provato a scrivere a chiunque. Ludovico è stato il nostro addetto alla “vendita”.

Non ci ha risposto neanche il 2%, quelli che l’hanno fatto facevano complimenti, prendevano tempo, ci invitavano ad aspettare, ci aggiornavano alla prossima mail o call o quel che fosse. Ma da lì nulla; è difficile raccontare quanto sia frustrante, quando non hai altro strumento che un computer per far arrivare la tua musica, fare i conti con la consapevolezza di non essere neanche ascoltato. Noi non abitiamo in una grande città, in una di quelle, per capirci, dove se la sera vai in un posto e puoi incontrare addetti ai lavori, o anche musicisti più esperti di te che possono darti consigli. Siamo stati per mesi in balia delle mail. Che a dirla così, ora, ci sembra anche grottesco.

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Questo macinare date, ci ha dato un po’ di visibilità che ci ha concesso poi di arrivare ad un altro contest all’interno di un Festival delle nostre parti, lo Scampia Music Fest (qui il nostro report). Come per il nostro primissimo live insieme, c’era un caldo asfissiante, era metà settembre ed eravamo in una bellissima cascina confiscata alla camorra, in mezzo alla campagna. Al nostro giro, saliamo sul palco e sarà per il caldo, sarà per la vicinanza con casa, ma eravamo parecchio coinvolti, ci stavamo dentro insomma. Quando siamo scesi dal palco, si è avvicinata una ragazza, Gabriella, ci ha fatto molti complimenti e ci ha chiesto di poter ascoltare altre cose, ci ha raccontato della sua agenzia, Foresta, e che le sarebbe piaciuto lavorare insieme. Un altro santone? La nuova sibilla cumana? Per fortuna i brani li ha ascoltati davvero, e per fortuna le sono piaciuti molto. Ci siamo incontrati a fine 2018 e durante il 2019 abbiamo lavorato ai primi due pezzi, alla scrittura, alla scelta del produttore.

Poi lo scorso autunno abbiamo iniziato a ragionare sull’estetica del progetto. Abbiamo, senza fretta e ragionando su ogni aspetto, iniziato a pensare alle prime pubblicazioni, tramite Gabriella ci siamo presentati ad INRI, e da lì, dopo circa due anni di aspettative completamente disilluse e una buona quantità di sconforto, una pandemia a complicare il tutto, il 5 maggio abbiamo pubblicato Nilo, il nostro primo singolo ufficiale. La nostra storia inizia sul palco, forse più di quanto non sia ovvio per tutte le band emergenti, che invece sembrano fare il percorso inverso, prima le playlsit poi i concerti, niente di opinabile, ma non è la nostra storia. Noi ci siamo formati in occasione di un live che in duo non sapevamo affrontare, sul palco ci siamo scoperti e piaciuti, abbiamo deciso di produrre cose insieme.

Al Premio Buscaglione neanche volevamo partecipare, ma esserci andati e averlo vinto ci ha concesso di portare in giro la nostra musica per quasi un anno, di affinare la nostra scrittura calibrandola di volta in volta sulla risposta del pubblico. Siamo maturati nel rapporto tra di noi e anche singolarmente come individui e artisti. Il live ci ha portato ad incontrare la persona che è stata la prima del nostro attuale team, e che a sua volta ha portato dentro altre figure essenziali e sicuramente se non ci avesse visto suonare live non avrebbe mai ascoltato le nostre cose, magari neanche INRI, magari staremmo ancora inviando mail.

Sono tempi duri per tutti, ma quello che sentiamo, le proposte di drive-in, live streaming, non possiamo essere d’accordo perché la nostra storia racconta proprio quanto sia fondamentale salire su un palco, far ascoltare la propria musica al pubblico avendolo davanti, ma anche a qualcuno che potrebbe essere interessato a quello che fai. Noi siamo convinti che non ci sia nulla di alternativo alla musica dal vivo per quanto ci si possa sforzare con la fantasia e immaginare qualcosa che lo sostituisca, sarà sempre imparagonabile, per il pubblico, per noi, per chi ci lavora, per tutti. Tornare a suonare quanto prima e ovviamente con tutte le precauzioni del caso, è l’obiettivo a cui dobbiamo tendere tutti. Senza il palco non ci sarebbero stati gli Yosh Whale e come noi chissà quanti altri progetti, con una storia simile.

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L'articolo Senza la musica live non esistono le band di Yosh Whale è apparso su Rockit.it il 2020-05-10 17:40:00

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