“Nel ghetto”: Alberto Radius e il no future italiano

Meglio la miseria, meglio il riot improvviso e senza futuro, che questa ideologizzazione ipocrita. Oltre al maggior successo di Radius solista, un pezzo di storia d’Italia.

Alberto Radius
Alberto Radius - Foto di Cesare Monti

Davvero difficile, quell’inizio di 1977. Le istituzioni repubblicane sempre più in crisi, con i primi processi per corruzione ai politici, per lo scandalo Lockheed; la contestazione feroce a Luciano Lama, segretario del sindacato comunista Cgil, alla Sapienza di Roma, da parte di indiani metropolitani e autonomi; il PCI e i sindacati che accettano modifiche truffaldine al paniere della scala mobile, perdendo credibilità; la rivolta studentesca a Bologna, con l’uccisione di Francesco Lorusso; rapimenti di politici da parte dei terroristi rossi; espropri proletari; l’uccisione di Giorgiana Masi durante una manifestazione del Partito Radicale; il processo alle Brigate Rosse che non poteva iniziare a Torino, perché i terroristi prima uccidono l’avvocato difensore, poi minacciano di far fare la stessa fine a chi accetterà di essere un giurato; dodici giornalisti gambizzati solo a giugno, tra cui Indro Montanelli; e i morti nelle file delle forze dell’ordine.

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Così, quando a giugno Alberto Radius si chiude nello studio Double di via Quintiliano 40 a Milano per registrare il suo nuovo album "Carta straccia", si porta dietro un carnet di canzoni dall’esuberante vitalità musicale, in bilico felice tra funky, rock, musica brasiliana e un pizzichino, giusto un pizzichino minimo, minimissimo, di melodia italiana. Ma che, tranne l’iniziale "Ricette", esibiscono testi davvero cupi, che intrecciano dimensione personale, con amori andati a male, un senso di morte che affligge ogni cosa, angoscia, disillusione nelle istituzioni repubblicane ("Celebrai"), tossicodipendenza ("Un amore maledetto") e voglia di prendere le distanze da tutto e da tutti, dall’ipocrisia di governanti e rivoluzionari, dalla facciata di un’Italia che proclama, da qualsiasi parte, di agire in nome dei diseredati e poi li lascia lì dove sono.

È una cosa voluta, perché sennò diventava un gioco. Invece così era tutto più serio. La musica era suonata in modo esuberante, ma i testi parlavano già dei sindacati, di tante cose che poi si sono avverate nel tempo”, mi racconta Alberto Radius. Nonostante siano accreditati a Oscar Avogadro e Daniele Pace (anche cantante degli Squallor), i testi “nascevano da conversazioni” tra Avogadro e Radius: “Eravamo noi che parlavamo, che raccontavamo la nostra vita. Pace ci ha dato solo una mano”.

La Formula 3 insieme a Lucio Battisti

Per registrare il disco, Radius chiama tutte vecchie conoscenze (“C’erano tutti i miei amici”): alla batteria e percussioni Tullio De Piscopo, al basso Julius Farmer, alle tastiere Roberto Colombo (con questi tre, registrerà nel 1979 "L’era del cinghiale bianco" di Franco Battiato), Franco Graniero e Stefano Pulga, alle tumbe George Aghedo, al sax Claudio Pascoli, vecchio compagno di battaglie alla Numero Uno.

Eh, sì, perché Radius non è di primo pelo. Romano, inizia nelle balere degli anni '50 con i White Booster e con l’orchestra di Mario Perrone; nei primi anni '60 è coi Campanino; quindi va a Milano, cuore della discografia italiana dove si unisce prima agli inglesi Simon & Pennies e poi ai Quelli (futura PFM), per sostituire Franco Mussida, chiamato per due anni in marina; quindi, nel 1969, su idea del proprietario dell’Altro Mondo di Rimini, uno dei locali più di tendenza di tutta Italia, Gilberto Amati, del promoter del locale, Willy David, e del manager dei Quelli, Franco Mamone, si unisce a Gabriele Lorenzi (ex Samurai e Camaleonti) e Tony Cicco dando vita alla Formula 3, che accompagnerà Battisti in tour.

Nel suo album solista omonimo del 1972 suonano per la prima volta gli Area, che prendono il nome proprio dal brano a cui sono chiamati a collaborare. Sciolta nel '74 la Formula 3, su idea di Mogol crea il supergruppo prog Il volo con l’amico Lorenzi, Mario Lavezzi, Bob Callero, Gianni Dall’Aglio e Vince Tempera. Due ottimi album, ma promozione inesistente, che porta a seri contrasti con Mogol: “Mi ricorderò sempre l'ultima serata con la band. Era la fine di luglio sul Lago d'Orta: ci guardammo negli occhi senza nemmeno parlarci e il progetto finì in quell'esatto istante. Era il 1976”. Radius passa alla CBS/CGD dell’amico produttore Alfredo Cerruti, intenzionato a far vedere di cosa è capace: esce l'lp "Che cosa sei", Radius partecipa al Festivalbar con una buona esposizione, ma il successo vero deve ancora arrivare.

Alberto Radius con la Formula 3, fotografato da Cesare Monti Montalbetti in Viale Montenero, a Milano

E arriverà proprio nel 1977. Il 15 luglio "Carta straccia" e il 45 giri da esso estratto, "Pensami / Nel ghetto", sono già stampati. Ma Radius è chiamato dall’amico Dall’Aglio ad accompagnare Adriano Celentano nel suo trionfale tour estivo negli stadi, il primo in Italia: per cui l’uscita dei due dischi viene rimandata a settembre.

Dopo un’estate in cui succede di tutto, dalla morte di Elvis alla fuga dall’ospedale del Celio di Herbert Kappler, nazista criminale di guerra responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma (1944, 335 morti), in un settembre in cui a Bologna si tiene un convegno di tutta l’estrema sinistra per organizzare l’opposizione al PCI, in cui viene arrestato per truffa il commissario che il governo aveva posto ad amministrare i soldi stanziati per la ricostruzione del Friuli, devastato l’anno prima da un terribile terremoto, e in cui un ex ministro Dc è incriminato per reticenza nel processo sulla strage di Piazza Fontana a Milano di otto anni prima, "Nel ghetto" è il brano giusto. La Rai dedica al chitarrista romano una puntata del programma "Come mai", girando una sorta di video del brano con Radius che si aggira tra i bassi napoletani, nel ghetto, appunto, conversando con la gente e dando l’impressione di trovarcisi benissimo. Ma, soffocato sul lato B in favore dell’unico brano debole dell'lp, la melodica "Pensami", scalerà le classifiche solo nel 1978, sebbene fino al quarto posto (mentre l’album si era fermato nel 1977 al 21°).

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Avogadro e Radius se la prendono con partiti e sindacati, che non trovano lavoro alla gente, con gli intellettuali, che dal palazzo del potere pontificano su cos’è giusto o sbagliato, con l’accordo sulla scala mobile (la riconversione / non mi sembra una ragione / per confondere / lo schiavo col padrone) e celebrano la rivolta come strumento per impadronirsi dei beni di lusso (non voglio stare male / che si arrangi / chi ha paura del caviale / e bruciare tutto / non è sempre così brutto / come leggi il giorno dopo / sul giornale).

Pur usando un linguaggio a tratti marxista (io da perdere / ho soltanto le catene è una citazione dal Manifesto del Partito comunista del 1848 e da "Stato e Padroni", inno di quel Potere Operaio da cui era nata Autonomia), "Nel ghetto", con la rabbia amara di un’interpretazione sentita, col suo groove pulsante e un ritornello in cui armonia e melodia sembrano avvitarsi su se stesse come ad indicare che non c’è via di scampo (il no future pistolsiano in declinazione italiana), riesce nel miracolo di riassumere tutta l’insoddisfazione di chi, da destra o da sinistra, non era per nulla contento di come stavano andando le cose.
E chiedere di rimanere nel ghetto: meglio la miseria, meglio il riot improvviso e senza futuro, che questa ideologizzazione ipocrita. Oltre al maggior successo di Radius solista, un pezzo di storia d’Italia.

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L'articolo “Nel ghetto”: Alberto Radius e il no future italiano di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2012-07-06 00:00:00

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