A Sanremo si manifesta per tutto, poi si canta l'amore

C'è chi fa il pugno chiuso sul palco, chi il gesto della vagina, chi rifiuta i fiori della discriminazione, chi addirittura si battezza. Ma al tempo dell'attivisimo performativo di tutto questo rischia di rimanere nulla, forse era meglio riservare un po' di "politica" alla fiacche canzoni in gara

Emma più LRDL, fotomontati assieme
Emma più LRDL, fotomontati assieme

Negli ultimi due giorni sul palcoscenico più importante del Paese sono stati effettuati due gesti clamorosi, passando pressoché inosservati: prima Dario e Veronica de La Rappresentante di Lista si sono esibiti in un (apprezzatissimo) pugno chiuso, ieri Emma ha proposto il "gesto della vagina" di femminista memoria. Due atti clamorosi, simbologie fortissime che rimandano a un tempo che fu.

Quell'epoca e quella attuale hanno, che ci crediate o meno, una cosa in comune: la politica ovunque. E una differenza decisamente sostanziale: allora questa cosa che per comodità chiamiamo politica era nei gangli della società e affondata nelle viscere delle esistenze delle persone, tanto da sfociare in una rabbia sociale spesso non gestibile, oggi ogni organismo intermedio è saltato per aria e l'afflato sociale che quasi tutti hanno e si sentono di esternare rimane sulla superficie

Questa situazione incrocia molte dei fenomeni di cui da tempo sentiamo parlare ogni giorno. La polarizzazione estrema della nostra società – non solo della nostra –, la nascita di nuove forme di attivismo e di quello che è stato brillantemente definito attivismo performativo, quello di chi tende a battagliare più per la sua bolla digitale che per amor di rivoluzione. Insomma: NOI SIAMO QUI. Si allega vignetta con una freccia che indica una deiezione voluminosa.

In questi giorni il Festival – che ormai è il Second Screen dei social network, da essi sempre più condizionato, e non più viceversa – lo sta dimostrando egregiamente. Oltre ai due episodi già citati ce ne sono parecchi altri, grandi e piccoli. Achille Lauro e il battesimo demoniaco – mi fa ridere solo a scriverlo – sul palco. Francesca Michielin che consegna i fiori al primo uomo che le passa davanti e Hu che li richiede anche per il suo collega nato maschio. E poi c'è la "restaurazione", volontaria o meno. I "l'ho portata" e i "l'ho voluta" di Amadeus. Che a volte fa venire voglia di mangiarseli con tutti i gambi, i fiori di Sanremo.

Infine ci sono i momenti che politici lo sono in maniera dichiarata, come ieri è avvenuto con lo speech antirazzista dell'attrice Lorena Cesarini, sacrosanto e del tutto inefficace, e gli sketch di Checco Zalone, di cui, per sua bravura, si parla ininterrottamente da ieri (qua una bella riflessione di Michele Masneri). En passant, tra tutte le cose di cui sopra mi pare la più "sfidante" e dunque interessante. video frame placeholder

Tutte queste cose a Sanremo ci sono sempre state, anzi Sanremo è sempre stato proprio questa cosa. La lista dei precedenti è talmente lunga e piantata nell'immaginario collettivo da non doverla nemmeno esplicitare. Il problema è che ora simili momenti di "statement" diventano icona, meme e scontro tra onde energetiche contrapposte sui social in un istante, per poi bruciarsi subito. C'è troppo rumore di fondo, non si deposita più nulla.

Che fare allora? Di certo non rinunciare alla politica. Non arriverà mai un simile "consiglio" da queste colonne. Ci schieriamo da sempre, e non intendiamo cambiare idea. Ma forse varrebbe la pena indirizzare nel verso giusto la propria indignazione e il proprio (encomiabilissimo) impegno, per non consegnarli al nulla che avanza. Ad esempio sulle canzoni, le grandi dimenticate. I testi di questa 72esima edizioni sono quanto mai piatti, monodimensionali. Quell'afflato sociale che sbuca di continuo nelle dichiarazioni o nelle attività social di artisti e influencer – ormai sono tutti entrambe le cose, è inevitabile – nella musica manca del tutto. Com'è possibile che gli sconvolgimenti che il mondo sta passando non trovino spazio nella "poetica" dei 25 big in gara?

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Non parliamo di ritornare ai Morti di Reggio Emilia, non buttiamola in burletta. Ma in quelle 25 canzoni c'è tanto dentro e poco fuori – lodevolissime eccezioni La Rappresentante di Lista e Dargen –, e sì che là fuori ce ne sarebbero di cose da raccontare. Amadeus ieri ha detto che la sua ambizione è che tra 20 o 30 anni i pezzi di questo 2022 (anzi 20-22) siano ricordati e cantati ancora, abbiano fatto il loro ingresso entrati nella memoria condivisa. Noi aggiungiamo che sarebbe bello e utile se tra 20 o 30 anni – sperando di essere fuori dalla merda – avessimo delle canzoni che ci aiutino a capire questo momento storico, chi eravamo allora, cosa abbiamo vissuto come comunità. La musica dovrebbe essere anche quello, se no è tutto una grande performance. 

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L'articolo A Sanremo si manifesta per tutto, poi si canta l'amore di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-02-03 15:44:00

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