Sinking Islands: musica per posti che non esisteranno più

Ciascuna delle nove tracce del disco dei torinesi Satoyama canta un posto destinato a scomparire per via del cambiamento climatico, e i loro abitanti, futuri migranti climatici. Un mix di mantra apocalittici e jazz raffinatissimo, per ricordarci fino a che punto siamo giunti

Satoyama con una cascata alle spalle - foto stampa
Satoyama con una cascata alle spalle - foto stampa

Nauru, Tuvalu, Venezia, Kiribati, Maratua, Suva, Palau, Solomon, Niue. Cos'hanno in comune queste nove località? Ve lo diciamo subito: la loro bassissima elevazione sul livello del mare. Motivo per cui, sostengono gli scienziati, nel giro di meno di cento anni rischiamo la scomparsa di tutti questi posti e la migrazione forzata dei popoli che li abitano. A queste persone che si riferisce il termine climate migrants: uomini e donne che in seguito ai mutamenti climatici devono abbandonare le aree in cui hanno vissuto tutta la vita, un fenomeno che ha già colpito milioni di abitanti e che, ahinoi, ne coinvolgerà molte altre nei prossimi anni a meno che la rotta non venga invertita.

Con il loro ultimo album, Sinking Islands, i Satoyama, band nu jazz "di frontiera" nata nel 2013, si sono concentrati su tutte quelle realtà in lento sprofondamento, a cui l'innalzamento del livello del mare sta poco a poco prendendo tutti i terreni. Per il quartetto torinese è la prosecuzione di un percorso iniziato con Magic Forest nel 2019 ed evolutosi in un tour a zero emissioni l'anno seguente: Build a Forest, un progetto unico nel suo genere realizzato con la collaborazione di Fano Jazz Network.

Satoyama avvolti in teli bianchi - foto stampa
Satoyama avvolti in teli bianchi - foto stampa

In Sinking Islands ogni brano prende il nome di una delle nove realtà a rischio, nel tentativo di attirare l'attenzione su questo problema e stimolare una reazione in chi ascolta. Come si traduce questa richiesta in musica? Come si interpreta l'incombente destino di questi nove luoghi? I Satoyama rispondono con un jazz morbido ed evocativo, giocando molto col ritmo e passando da tracce in costante accelerazione e tracce più simili a marce funebri: da una parte il senso di urgenza di un problema in rapida crescita, dall'altra il suo peggior epilogo possibile.

Il disco si presenta come una dimostrazione di controllo inerziale; come una serie di brani il cui arrangiamento utilizza lo spazio (o la sua assenza) con l'espressività o la consapevolezza con cui vengono suonati chitarra, contrabbasso, tromba e batteria.

Nauru, in apertura dell'album, è costruita attorno ad un motivo inquisitorio, i cui componenti finiscono per perdere coesione ritmica slegandosi sempre più, come vittime di smarrimento, non troppo diverso da quello che devono provare le persone costrette a una vita lontana dal posto in cui sono cresciute. Passata la metà, questa opener ritrova un beat regolare, e dopo un breve interludio, guidata da un fitto arpeggio di synth, scivola fino alla fine come su un piano inclinato, evocando quella urgenza di cui sopra. Tuvalu adotta una struttura simile a quella del brano che l'ha preceduta, portando il piano ad una inclinazione ancor più ripida, con l'assolo di chitarra in chiusura che è una discesa a rotta di collo in downhill; un fiume in piena; una scarica elettrica.

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La gestione di ritmi e spazi non si limita soltanto alla composizione delle tracce, ma anche a quella della tracklist, che dopo questo uno-due di crescendo esplosivi ci concede un momento di distensione: quattro brani che formano la sezione centrale e che somigliano più a requiem: visioni di un futuro la cui realizzazione è meno lontana di quanto non possa sembrare, e la cui incarnazione più riuscita è Maratua. Il quinto brano del disco è un chamber piece per tromba e contrabbasso, una composizione di desolata bellezza nella quale i due strumenti sviluppano un dialogo solenne e cupo; espressivo e cinematico; ripetuto e ciclico. Per certi versi è la traccia più semplice dell'album, ma siamo sempre più convinti che sia anche la migliore, la più bella, la più emozionante.

Palau, nell'ultima sezione del disco, prende una semplice linea melodica e ne fa un mantra: la traccia è incentrata sulla sua ripetizione continua, in un crescendo ritmico che ci riporta ai brani d'apertura e in cui nuovamente brilla la tromba suonata da Luca Benedetto. Questo non fa che perpetuare il moto oscillatorio che caratterizza Sinking Islands, un andamento ondivago che, anche viste le tematiche dell'album, ricorda il mare.

Satoyama - foto stampa
Satoyama - foto stampa

Questa associazione che i Satoyama ci portano a fare non è frutto del caso o unicamente legata a un suggerimento datoci dal tema, ma un vero e proprio processo di ricerca della band, che si è impegnata nel tentativo di dipingere un "paesaggio sonoro che sia sincero, incisivo, caratterizzato e immaginifico"; un paesaggio che sì, ha una componente nefasta, ma la cui precisione, bellezza e poesia sono innegabili.

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L'articolo Sinking Islands: musica per posti che non esisteranno più di ◄Mãtteo Cioni è apparso su Rockit.it il 2022-04-22 14:30:00

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