Milano come la viviamo: il suono che nasce dalla metropoli

Rockit che si sveste per un attimo del suo quotidiano e affronta la città della musica in un momento in cui la musica ha milioni di fari puntati addosso ma non redistribuisce utili.

- Dente, Zona isola, Foto di Bea De Giacomo

 

DENTE

Arrivi a Milano circa tre anni e mezzo fa, qual è stata la tua prima impressione?
Subito sono stato colpito dalla gente: in un piccolo paese, con casa tua che dista 500 metri dalla piazza principale, è normale camminare per strada ed incontrare persone che ti salutano. Appena sono arrivato a Milano mi facevano impressione tutte queste persone che la mattina mi passavano vicino e, giustamente, non mi vedevano. E poi nelle strade c'è gente ad ogni ora. Nei paesi al pomeriggio trovi solo i pensionati con i nipotini. Insomma, in città c'è un'enorme massa di persone che si muove da un posto all'altro. Non ho mai capito dove vanno.

Ti sei trasferito per fare il cantautore?
No… Mi sono trasferito per fare un corso di grafica, fondamentalmente sono venuto a Miano per cambiare vita, perché non mi piaceva più quella che facevo a Fidenza. Mi piaceva fare il grafico, la proposta discografica è arrivata per caso.

Cioè?
Si… in quel periodo stavo facendo uno stage, un giorno mi chiamano da Fidenza dicendomi che al circolo Arci un gruppo della Jestrai non può suonare perchè ha avuto un incidente. Li ho sostituiti io e la sera stessa mi hanno proposto un contratto. Era il secondo concerto che facevo.

Direi che sei stato fortunato.
Si, mi sono detto: dal momento che mi è caduta questa cosa dal cielo, molliamo la grafica e proviamo con la musica.

E quindi hai deciso di investire tutto nella carriera di musicista.
Ho sempre pensato che se uno deve fare una cosa deve farla al 100%, avevo qualcosa da parte grazie al mio ex lavoro fidentino, ancora 6 mesi li potevo campare. Ho iniziato a far concerti. Dopo un annetto, grazie anche all'uscita di "Non c'è due senza te", ho iniziato a pagarmi l'affitto con la musica, era già un'ottima cosa.

Sei uno dei più talentuosi cantautori italiani, ce l'avresti fatta anche restando a Fidenza.
Invece no. Io ho avuto un gruppo per 10 anni, i La Spina, e siamo rimasti là, nella campagna di Busseto. Non è successo niente. Per carità abbiamo fatto molti concerti, sono uscite belle recensioni. Ma qui è diverso, qui hai la possibilità di conoscere molta più gente. Fiz l'ho conosciuto ad una cena, non gli avevo nemmeno dato il disco, non sapevo chi era. Stessa cosa per Barnaba (Ponchielli, di Zero, NdR), in seguito mi ha dato una mano, ha fatto girare il mio demo tra altri suoi conoscenti, così, spontaneamente. Forse solo perché apprezzava le cose che facevo. Quindi è utile stare qui, e non è una questione di mafia: quando sono arrivato a Milano non facevo questo lavoro e non avevo neanche intenzione di farlo. Avevo un demo di quattro pezzi registrati in casa ma non mi interessava farlo sentire a nessuno. Mi ricordo che quasi subito avevo conosciuto Cruccu (Matteo Cruccu, de Il Corriere della sera, NdR), frequentavamo gli stessi locali, ogni tanto ci beccavamo in giro. Dopo un paio di mesi, una sera mi ha chiesto: ma che lavoro fai? Io: Suono, tu? Lui: Scrivo per Il Corriere. Non mi sono mai "impegnato" veramente a far conoscere la mia musica, tutto è stato molto più naturale di quanto lo si creda.

Cosa significa fare la gavetta, a Milano?
La sto ancora facendo. Vuol dire suonare a zero lire, suonare a 20 euro, l'ho fatto per tanto tempo.

E' servito?
Mi ha aiutato a campare, e poi mi è servito, umanamente dico, per formare il mio carattere: quando hai visto il fondo, dopo non può che essere meglio. Apprezzi le cose belle, quando vai a suonare poi in situazioni "normali" ti sembra di essere in posti meravigliosi. E' questo il bello. Il problema è quando sei abituato troppo bene, allora basta un monitor non funzionante a farti andare in crisi.

Il tuo locale preferito?
Mi piace il Magnolia d'Estate, puoi star tranquillo nel parco, c'è sempre tanta gente. Ma devi sapere che il primo anno di vita Milano non sono quasi uscito, poi ho iniziato a frequentare locali un po' da sbandato: il Rocket, l'Atomic, il Plastic. E' stato un periodo piuttosto intenso dal punto di vista alcolico. (Ride, NdA)

E oltre alla musica?
Sicuramente ci sono un sacco di cose da fare, poi parla uno che ha vissuto 30 anni nel nulla più totale…

Mi domandavo se uno riesca a vivere la città al di là del proprio lavoro.
Questa è una bella domanda. E' un po' difficile rispondere, Milano ti succhia molto tempo, anche solo per muoverti da un posto all'altro… se devi scegliere tra due cose scegli quella che ti interessa di più, o che ti è più "utile", perché a volte ci metti ore solo a percorrere una via. Ma è una città piena di stimoli, all'inizio frequentavo meno gli ambienti musicali e andavo a moltissime mostre. Milano è terrificante se fai un mestiere brutto, se lavori in banca, in fabbrica. Per fare un lavoro di merda non starei qui. Non mi alzerei alle 7 del mattino per attraversare tutta la città con il tram e poi correre a timbrare il cartellino.

E sul clima di chiusura che si sente tra i locali milanesi che mi dici?
Si, un po' lo sento, leggo cosa succede e lo vedo anche con i miei occhi. O chiudono i locali o gli fanno storie inutili, noia gratuita.

Esiste una scena musicale milanese?
(silenzio, NdA)

Non c'è una rete, diciamo di "autoaiuto", tra i gruppi?
A Milano? Secondo me non esiste una scena in generale, in Italia, c'è molta gente che fa musica per fatti suoi.

Quando uno può permettersi di vivere a Milano?
Vogliamo passare alla domanda successiva? (ride, NdA) Dipende come vuoi vivere. Quando ho deciso di fare questa vita, ho deciso di viverla come potevo, senza lusso, senza andare al cinema, senza andare a cena fuori, mangiando patate lesse. Volevo farlo e mi sono detto: chi se ne frega delle rinunce, piuttosto che vivere una vita agiata, piena di confort ma con un lavoro di merda, faccio quello che mi piace e mangio le patate lesse.

E la situazione è poi migliorata?
Si, adesso mangio le patate lesse con il prezzemolo. Non lo so, spero che ci sarà un cambiamento, spero che succeda qualcosa, perché mangiare patate lesse tutta la vita…

E quindi consiglieresti ad altri cantautori di venire a vivere qui?
Lo consiglio a tutti quelli che stanno facendo una cosa che non gli piace, perché credo, comunque, che stare bene sia più utile di stare comodi.

 

 

IL GENIO

(Il Genio, Navigli, foto di Lorenza Biasi per XL)

Da quanto vivete a Milano?
Alessandra: 4 anni.

La prima impressione che vi ha fatto la città?
Gianluca: Mah, non è stata mai troppo negativa, però nemmeno così positiva.

A: Per me subito positiva. Appena arrivata ho trovato delle persone, i Minnie's, che mi hanno accolto nella loro cerchia… sono stato fortunata.

G: Anche io sono stato fortunato, da subito sono stato suo ospite, non pagavo l'affitto. Io mi riferivo prima impressione che mi hanno fatto le persone.

Dente ha detto che la prima cosa che lo ha colpito era la frenesia della gente che al mattino usciva dalla metropolitana.
G: Si può vivere benissimo dormendo la mattina e uscendo la sera, così Milano è perfetta. (ride, NdA)
A: Quando sono arrivata qui volevo solo scomparire, uscire per strada e mischiarmi tra la gente. Non sono una persona che ama essere notata.

Perché vi siete trasferiti qui?
A: Perché a Roma potevo non pagare l'affitto, qui sono a casa di mio zio, è gratis.

G: Nel 2006 mi ero laureato, si era concluso un impegno… diciamo era l'ultimo legame che avevo con Lecce. Non pensavo di venire a Milano ma mia sorella Matilde si era trasferita qui, c'era anche il nostro batterista, allora sono venuto anch'io per continuare l'esperienza con gli Studiodavoli.

E ora vivete di musica.
A: Devi riuscire a conviverci… Non è facile, siamo andati avanti a cracker per molto tempo. Ma volevamo essere concreti, avevamo fatto i primi concerti e avevamo scoperto che questa cosa ci piaceva. Avere un lavoro normale, che ci desse i soldi per le cene o gli aperitivi, non ci bastava.

G: Mi ricordo di un anno fa come oggi, non avevamo una lira.

A: Si, mi ricordo questo: una volta gli avevo prestato un euro e mezzo, un pomeriggio ero entrata in camera sua per caso e avevo trovato scritto sulla sua agenda "ridare un euro e mezzo ad Ale" (ride, NdA).

E per quanto è andata avanti?
A: A livelli così pesanti, due anni.

Poi c'è stata la svolta. Se non foste stati a Milano sarebbe successo lo stesso?
G: Si, il primo contatto con l'etichetta è avvenuto grazie a Myspace, Milano non c'entra.

E "Quelli che il calcio"?
G: Fossimo stati a Calcutta ci avrebbero chiamato lo stesso. Chiariamo una volta per tutte come è andata con "Quelli che il calcio": nessuno non li ha mai chiamati, non li abbiamo mai cagati. Qualcuno avrà fatto vedere il video a Simona Ventura e lei è impazzita, forse si sarà rivista in Alessandra.

E dell'ambiente musicale conoscevate già qualcuno?
A: E' accaduto dopo, molta gente la vedevo spesso ai concerti ma non sapevo chi fosse. Ma non sono convinta che si tratti di un'élite…

Anche Dente lo ribadiva: non è tanto una "mafia" quanto una serie di conoscenze che accadono in maniera spontanea.
A: Penso sia una questione di orari, di stili di vita, poi ti ripeto, i primi amici che ho avuto sono stati i Minnie's. E' stata una questione di circostanze.

G: Come tutti i posti del mondo, c'è una specie di bolla all'interno della quale puoi entrare solo a determinate condizioni, e non è necessariamente una cosa negativa. Perché è normale: chi sono io? Gianluca De Rubertis. Che cosa ho fatto? "Pop porno". Fin che la gente non ti conosce per davvero, non tocca con mano e capisce che non sei un'idiota, difficilmente scambia due parole con te. Passato questo stadio iniziale dopo diventa gentile. Ma è una cosa che non succede solo a Milano.

Com'è la gavetta a Milano?
A: La gavetta a Milano è difficile quando ti trovi… La differenza rispetto a Roma è che i concerti lì costano molto meno, mi ricordo di aver pagato il concerto degli Air circa 10-12 euro. A Milano ne avrei spesi 30, anche 40 se poi avrei voluto bere un vodka tonic. Quindi a Milano la gavetta non è un qualcosa legato ad un tormento personale, ad un percorso di crescita spirituale o estetico, è riuscire a gestire la tua vita a livello economico. E' una città cara.

Come lo percepite questo clima di chiusura tra i locali milanesi?
G: Sul fatto che i locali vengano chiusi o meno non saprei dirti. Io percepisco una certa "chiusura" rispetto ai giri di persone che li frequentano. Prendi La Casa 139, che è un posto bellissimo per certi versi, ci vedo sempre la stessa gente, è un salotto per persone che si conoscono.

Non ci vedo nulla di male.
G: In realtà no, ma un locale come quello dovrebbe dare delle cose in cambio. Dal momento che è frequentato da musicisti, potrebbe mettere degli strumenti a disposizione e, magari una sera a settimana, permettere delle jam improvvisate. E' come se non si sentisse il bisogno di mettere della creatività nelle cose, la musica finisce sempre in secondo piano.

Intendi dire che i club sono solo posti per far soldi, i gestori non hanno alcun interesse per la musica?
G: Si, per me si. Anche Le Scimmie è un locale bellissimo, è quello che si avvicina di più ad un club estero. Ma ha un'attrezzatura scadente: non puoi far suonare gruppi, anche prestigiosi, senza impianto o con i monitor non funzionanti.

Oltre ai club musicali che tipo di locali frequentate?
A: Io sono poco interessata alle frequentazioni, non sono un'assidua presenza degli eventi milanesi. Mi piacciono i posti un po' al limite del trash: a volte vado in un bar, non so se ha un nome preciso, frequentato da coppie che si incontrano tramite agenzie matrimoniali. Io vado lì, mi bevo la mia vodka, li osservo. Te l'ho detto, mi piace scomparire.

G: Mi piace andare a vedere la musica lirica, o anche in posti più strani, strip club, per ridere di questi personaggi assurdi che sbavano dietro ai culi delle ballerine.

A: Ma a prescindere da queste cose più particolari, sai cosa manca a Milano? E' impossibile trovare un posto dove star da sola. Sia il pomeriggio che la tarda notte, non esiste un posto come in Germania o in Francia dove tu puoi sederti con il tuo pc, navigare con il wireless mentre ti bevi un caffè.

G: Dai… non ci sarà il wireless ma si può fare, ti porti un libro.

A: Intendo un'altra cosa… Io vado a dormire molto tardi, non esiste un posto che ti tuteli dopo una certa ora. Un posto dove una donna alle due di notte possa prendersi un caffè d'orzo e leggersi un libro o un giornale. E' una cosa che nel mio immaginario conta molto.

In chiusura, consigliereste ad un gruppo leccese di trasferirsi a Milano?
G: Io l'ho consigliato molte volte, soprattutto quattro anni fa, quando la scena leccese era davvero forte. Ma ormai giù i posti dove suonare stanno scomparendo, la scena si sta affievolendo, ogni volta che scendo a Lecce mi sembra sempre peggio. L'ho consigliato a molti gruppi giovani, per ora non si è mosso nessuno.

 

 

MINISTRI

(Ministri, Piazza San Babila)

Milano, come la vivi.
Proprio con questo 2009, la vedo completamente diversa rispetto a prima. C'è davvero uno spartiacque forte, che può coincidere con l'inverno appena passato, che è stato abbastanza un massacro. Adesso sembra che Milano abbia come massima ambizione quella di diventare una città austriaca, nel peggiore dei sensi che l'Austria può avere… Non ci sono posti dove puoi stare senza consumare, posti dove un abbigliamento come il mio… credo che siano proprio gli ambienti a farti cambiare vestiti.

Pensa, invece, che la prima impressione che ho avuto quando sono arrivato a Milano era che ogni possibile tipologia di giovane, da quello più fighetto a quello alternativo, avesse il locale fatto apposta per lui. Insomma, ogni categoria aveva il posto dove farsi spillare soldi a dovere.
Si perché a Milano puoi vendere tutto un po' di più che negli altri posti. Ad esempio, negli anni 90 l'alternativo era il giovane della Milano bene, quello con la kefia, mi ci metto anche io nel gruppo, ovvio. Quando andavamo in manifestazione e incontravamo ragazzi di altre città, si capiva subito la differenza. Noi dovevevamo "vestirci" anche per manifestare, dovevamo essere belli anche lì, con la scarpa giusta, figa siamo a Milano (imita il milanese tipo, NdA). Penso che sia un atteggiamento tutto milanse, ma in fondo non è il vero problema.

Quindi il problema è una spinta all'omologazione?
Non è una questione di omologazione, è che si è riusciti, pian piano, a spostare alcuni significati… voglio dire, le persone spesso associano ai luoghi dove vivono dei valori condivisi, una storia, una cultura. Se tu riesci a sostituire questi valori con dei beni o delle azioni, poi riesci a manipolare meglio chi li condivideva prima. Ad esempio, il Mom: tempo fa, al mercoledì, il Mom ha iniziato a dare la birra a meno, tipo un euro in meno. La gente ha iniziato ad andarci, alla fine, ogni mercoledì il piccolo parco che c'è intorno al locale si riempiva di persone. E' nato così il "Mercoledì del Mom". E tutt'ora la gente ci va, anche se la birra ormai costa come in tutti gli altri posti. Ma in realtà non c'è aggregazione, non si condivide nulla, è solo un parco dove si può prendere da bere. Ed ora, fatta la legge che impedisce di bere o mangiare fuori dai locali, la gente si sposterà altrove. Si è creato un luogo di ritrovo costruito sul nulla, e di conseguenza è facilissimo distruggerlo, sparpagliare la gente che prima lo frequentava… è questo che intendo per la Milano da bere.

Come il Botellon di fine marzo scorso.
Esatto, l'aggregarsi dipende sempre da un medium, e spesso è il bere. Migliaia e migliaia di persone che si ritrovano in una piazza qualsiasi e si mettono a bere. Milano è sempre stata affascinata dalla Spagna, come se ricercasse un equilibrio tra un modello ispanico, apparentemente più aperto, ed uno nordico più restrittivo. Come se si volesse dare alla gente la possibilità di fare il casino più estremo per poi sopprimerla su altri fronti. L'altra peste è stata Spazio Petardo.

Cioè?
E' il dj set che ha spinto il revival della musica trash, della Rettore, della Carrà… Era il seguito di quella stagione dove in manifestazione ci si era messi a cantare "Ufo Robot". Era un modo per alleggerire i toni, togliersi dalla retorica, qualcosa di diverso dalla solita "Bella Ciao", perché volevi qualcosa di nuovo da condividere. E infatti Spazio Petardo ha preso piede negli ambienti universitari, qualsiasi locale dove andava lo riempiva, tutti a cantare i Ricchi e i poveri.

Quindi dici che è facile che si creino anche grossi movimenti di persone, ma senza alla base un'idea, o un valore, più concreto.
Si, non voglio fare il cospirazionista dicendo che questo togliere il significato alle cose sia stato veicolato, che ne so, dall'amministrazione comunale. Spesso è la gente stessa che lo vuole, o sono i tempi che portano determinate situazioni. Io sono convinto che una grossa fetta di responsabilità ce l'hanno i centri sociali. C'erano degli spazi che dovevano essere sfruttati molto meglio, non dovevano diventare dei ghetti, parlo di posti come il Garibaldi, un cazzo di centro sociale a metà tra Brera e zona Garibaldi, ci si potevano far cose splendide lì, invece è diventato uno squat. Io sono cresciuto al Vittoria. Il Vittoria, oggi, all'interno, ha appeso gli stessi manifesti di quando facevo il liceo. E ci sono gli stessi bagni. Non può rimanere così. La gente cresce, si ripulisce. Devi seguirla. Fai dei bagni dove una signorina possa poggiare il suo culo sul cesso senza aver paura che esca dal buco un pitone.

Per Dente e Il Genio non è stato facile definire con chiarezza il clima di chiusura che si respira ultimamente tra i locali milanesi. Mi vuoi dare tu dei segni più concreti?
Il Rolling Stone chiude, e va bene, non era un gran posto ma rimane sempre un punto storico della città. C'è stato il momento in cui avevano sgomberato il Cox 18, la Pergola ha chiuso, hanno sgomberato il Garibaldi a settembre, il circolo arci Biko ha avuto problemi. Ad un certo punto ci si è guardati attorno e ci siamo accorti che…

Si parla di quattro mesi fa.
Si, più o meno. E' come giocare a Risiko e accorgersi di colpo di non avere nulla… perché è quello il punto, capisco che esista gente che arriva a casa stanca la sera e non le noti queste cose. Ma non ci sono più posti dove stare dopo una certa ora. Posti per tenere la mente sveglia, per far circolare idee. E spesso le battaglie per queste cose le deve fare necessariamente chi non fa una vita d'ufficio, non può farle uno che la mattina si sveglia alle 7. Che le facciano i perdigiorno allora, ma che qualcuno le faccia. Altrimenti è un problemone. Non si risolve facendo il Botellon…

Eventi come il Bottellon sono piccoli spazi di liberta concessi una tantum, è folklore, fanno apparire Milano più viva ed europea, ma non aiutano a creare un qualcosa di nuovo.
Si. Oppure, prendi gli eventi dell'associazione Esterni: hanno organizzato feste in posti assurdi come la galleria sotto la stazione centrale, o altri luoghi di Milano. E che facevi? Bevevi la Moretti e il più delle volte ti ascoltavi dj set di merda. Non funziona. Ci deve essere uno strappo forte. Chiedere il permesso al comune per fare le feste non è conquistare i tuoi spazi, non hai conquistato un cazzo, il Comune ti ha dato un cortiletto, pure di merda a ben guardare, dove tu puoi bere la tua birra senza dare fastidio a nessuno. Ci vogliono degli avamposti, delle nuove prime linee. Qualsiasi rivoluzione è un uscire dalla legge per poi ampliarla. Non puoi prendere la legge e credere che sia il punto da cui partire.

Dobbiamo parlare anche di musica, Milano può fare il successo di una band?
Alla fine si, tutte le brutte parole che abbiamo detto finora sulla situazione milanese di riflesso se le becca anche l'Italia intera. Con la differenza, però, che se nasci altrove, cazzo, è durissima. A Milano vivi il presente, hai più punti di riferimento, non è come in provincia o altri posti dove hai il delay.

Ne sei convinto? Milano è ancora presente? I nuovi nomi dell'elettronica, ed esempio, sono per la maggior parte veneti, ed anche il rock mi sembra sia sempre meno milanocentrico.
Sull'elettronica ti do ragione, sul rock non saprei. Certamente Milano è una delle poche oasi in Italia dove puoi seguire il tempo che passa, le altre sono pochissime: Torino, il Triveneto. Roma molto meno. L'Emilia Romagna è una tragedia (ride, NdA).

L'unica differenza che c'è rispetto alla provincia è che le band milanesi suonano peggio, perché a Milano si prova meno. E' una cosa naturale, in provincia ti costruisci la tua sala prove nel garage, nel granaio, nella casa vecchia della nonna. Per questo da quelle parti i gruppi spaccano tutti il culo. Le sale prove di Milano, invece, sono una merda, non puoi crescere una band rock facendo tre prove a settimana, spendi una fortuna.

Com'è la gavetta a Milano?
Un tempo era più facile organizzarsi i concerti da soli. Un po' di anni fa avevamo La Stecca, uno spazio dove organizzavamo date nostre e di altri. Al liceo invece c'era la mafia dei locali. Come nei film americani anche a Milano c'era il ballo di fine anno, lo facevano al Rolling Stone. Ogni band aveva il compito di vendere i biglietti, più ne vendeva più conquistava un buon posto nella scaletta della serata. Era una cosa terribile, mi ricordo che un biglietto costava circa 12 euro, un anno ne vendemmo 120, un pacco di soldi che tu raccoglievi duramente per poi regalarli al gestore del locale. Però qualcosa imparavi (e che sia chiaro: non voglio far sembrare questa cosa bella perché è davvero orribile) ti rendevi conto cosa voleva dire sbattersi. Il buono di Milano è che se vuoi uscire e hai qualcosa di valido, riesci. Se decidi di suonare tantissimo, magari rimbalzando continuamente da un posto all'altro, riesci a crearti un tuo pubblico. A Milano la gente va dove pensa che c'è altra gente, il tuo compito è farglielo credere e alla fine il locale lo riempi. Se ti sbatti puoi riuscire davvero. Ed è una palestra da paura, soprattutto impari ad avere la faccia da culo.

Concludiamo, esiste una scena milanese?
Secondo me no, ma penso che ci sarà tra poco. Ecco, mi piacerebbe immaginarla più come un quartier generale... che raccoglie gente che a Milano ci viene anche se non ci vive: Le Luci Della Centrale Elettrica, Victor degli Lnripley, Enrico Gabrielli. Quando ci si ritrova nei locali è sempre una grande gioia, non è una scena ma un po' ti apre il cuore. Non credo nei LigaJovaPelù o nel Rock and Roll Circus dei Rolling Stones. Mi interessano cose più sentite, con una neccessità dietro, non solo un contenitore-città. Sono persone che stimi e confrontarti con loro ti aiuta a migliorarti. Tutto qua.

 

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L'articolo Milano come la viviamo: il suono che nasce dalla metropoli di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2009-05-03 00:00:00

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