Yendry: "Per la musica ho rischiato tutto, e non smetto di farlo"

Dai viaggi con Maria Nazionale a palla al feat. con J Balvin, passando per X Factor ed Elio. La vita di questa ragazza torinese, passata dai locali più scassati della penisola a diventare una star mondiale, è troppo incredibile per essere raccontata. Quindi lo abbiamo fatto fare a lei

Yendry live, foto di Thania Rodriguez
Yendry live, foto di Thania Rodriguez

Qualche tempo fa quando un amico mi ha girato questo link sono andato in sbattimento. Mi segnalava che nella consueta playlist natalizia dell'ex presidente americano Barack Obama c'era un'artista italiana. Scorrendo i nomi tra i vari Lil Nas X, Bad Bunny, Lizzo e Cardi B, in un mix molto contemporaneo (e un po' furbo) di hit latine, soul e nuovo pop, non riuscivo proprio a far saltare fuori questo nome. Dopo un po' ci sono arrivato. L'artista italiana era forse la meno italiana della lista: Yendry Cony Fiorentino, in arte solo Yendry. 

Mi ero perso un paio di passaggi, quelli che avevano portato questa ragazza classe 1993, nata a Santo Domingo e cresciuta a Torino, a passare dalle nebbie dei locali della provincia italiana alla ribalta internazionale. Non ci credete? Qua vi raccontiamo un po' la sua storia. Che parte, almeno da un punto di vista musicale, con il 2012 e l'esperienza nemmeno 20enne a X Factor, nella squadra di Elio. Dura quattro puntate.

Poi la ritroviamo cantante del progetto Materianera, insieme ad Alain Diamond e Davide "Enphy" Cuccu, con cui dà vita a un mix di black music, soul, trip hop e future bass del trio. Pubblicano l'ep Supernova e l'album Abyss tra il 2015 e il 2018, girano parecchio e si fanno un nome nel circuito indipendente. Al momento il grande salto non è nemmeno immaginabile. 

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Eppure arriva, tra il 2020 e il 2021, in piena pandemia. Avviene quando lei è già tornata al suo progetto solista, con il suo nome di battesimo. Anzi YENDRY, scritto così. Inizia a cantare in spagnolo, si sposta su sonorità più latine, ma sempre molto contaminate da R&B ed elettronica. Va a vivere a Londra e poi negli States, tutto succede in frettissima.

Suona la sua prima canzone famosa (anzi la prima proprio nella "nuova lingua"), Barrio, ai Latin American Music Awards of 2021, entra in nomination come migliore nuova artista agli MTV Millennial Awards. Porta la sua musica nel format Colors, fa pezzi con Damian Marley e con la superstar J Balvin, numero uno di ogni classifica possibile e immaginabile. La stampa specializzata internazionale si accorge di lei, poi anche Obama, conquistato dalla sua Ye.

Da quel momento non si è mai fermata, ha continuato a pubblicare singoli di successo e in questi mesi è in tour in tutta Europa, dopo aver suonato parecchio nelle due Americhe. Sabato 25 novembre sarà al Biko a Milano – dove ha già suonato qualche mese fa, in apertura a Rosalia (cui spesso viene paragonata) al Forum – per uno show organizzato da Vivo.

L'abbiamo raggiunta via Zoom per fare un punto di questa sua incredibile "nuova vita" e per ripercorrere un po' quella "passata". Ci accoglie dalla sua Villafranca Piemonte, una cinquantina di chilometri da Torino andando verso il cuneese. Il mobilio dietro di lei è da casa di una volta, non esattamente una scenografia da Latin American Music Awards. Yendry ha una camicia azzurra in pendant con i nastri nei lunghi capelli ricci neri, regala sorrisi sin da subito, mentre l'accento piemontese colonizza sempre più la sua parlata con il passare dei minuti, finendo per confinare in un angolo l'inflessione caraibica. Questo è quello che ci siamo detti. 

Yendry live, foto di Thania Rodriguez
Yendry live, foto di Thania Rodriguez

Dov'è casa tua oggi?

A saperlo... Mi sono trasferita a Los Angeles quattro mesi fa, dopo un periodo a Miami e prima ancora a Londra. Quando vengo in Italia sto qua, in campagna da mia mamma. Ma la verità è che per ora sono sempre in giro. È così ininterrottamente da quasi tre anni: da novembre sono in tour in Europa, prima di Milano ho già suonato a Copenaghen, Oslo, Berlino, Amsterdam, Parigi.

Come sta andando?

Amsterdam era sold out, come Parigi, un club da 750 persone. Pure Berlino e prossimamente Ginevra. E tutti cantavano le canzoni. Per me è una cosa bellissima e nuova. Quando vado in posti in cui non si parla in spagnolo, mi aspetto sempre di dovermi in qualche modo guadagnare il pubblico. Quando vedo che in realtà arrivano già "preparati" mi sembra una grande conquista. 

Hai capito cosa ti ha fatto svoltare a livello internazionale?

Credo che un passaggio fondamentale sia stato Colors, che ha una piattaforma molto più grande della mia ed è un format molto prestigioso, anche perché fanno una selezione puramente editoriale e non chiamano mai in base a rapporti con l'etichette, amicizie o cose del genere. Un sacco di gente mi ha detto di avermi scoperta così. E poi faccio un sacco di promo, diciamo che sto iniziando a vedere i risultati di quattro anni di sacrifici. 

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A Santo Domingo vai spesso?

Sì, e un giorno sogno di vivere almeno parte dell'anno lì, di farmi una casa sull'isola. Per ora quando vado mi ospita mia nonna, e poi ho 10 zii e un sacco di cugini. C'è un senso di comunità incredibile, nella mia famiglia e in tutto il Paese. Anche da un punto di vista dell'ispirazione musicale, stare là mi fa sempre bene. C'è musica dappertutto, costantemente, dalle sette del mattino a notte fonda, con queste casse enormi che spuntano ovunque e la gente sempre in strada.

Se c'è una regione agli antipodi da tutto questo, in Italia, è proprio il Piemonte...

In effetti sì, se guardo fuori dalla finestra qua a Villafranca non è che proprio mi venga da uscire e mettermi a ballare. Però mio papà Mario, che ho conosciuto a quattro anni, è pugliese, così come i miei nonni. Siamo sempre andati giù in vacanza, a Ginosa e a Lecce, e io sentivo parlare in dialetto strettissimo. Mentre mia mamma ascoltava Selena ed è una grande appassionata di baciata, salsa e merengue, con mio papà facevo questi viaggi interminabili con a palla Nino D'angelo, Gigi D'Alessio o Maria Nazionale. Di Maria Nazionale so ancora tutte le canzoni a memoria. 

La venue più piccola del tuo tour, probabilmente, è in Italia. Come la vivi?

Con il mio staff e i musicisti ci facciamo le battute: "Non è che quando arriviamo a Milano, dobbiamo pagare noi per entrare?". Scherzi a parte, la verità è che non ho ancora mai spinto molto qua in Italia, a livello artistico non mi conoscono in tanti perché in questa fase ho provato a costruire le basi per una carriera globale. Ma conto di rimediare. Magari si tratta solo di collaborare con qualche artista italiano. Che poi è così dappertutto: se non canti nella lingua di un posto, e non fai il genere che funziona, oggi su certi mercati fai fatica. A Santo Domingo se non fai reggaeton difficilmente andrai da qualche parte. 

Dal vivo nello scatto di Anne Sophie Benoit
Dal vivo nello scatto di Anne Sophie Benoit

Anche perché con tu la discografia italiana ci hai già avuto a che fare parecchio. E ne conosci i pregi e pure i tantissimi difetti. 

Io la gavetta l'ho fatta. Ma in quella fase, diciamo dal 2012 in poi, non avevo ancora un'identità mia definita, e anche per chi lavorava con me era difficile capire che cosa volessi.

Cosa non andava?

Non trovavo il mio posto, non mi piaceva la mia voce in italiano. Ora, invece, sto cercando di rimanere lungo la carreggiata e di fare quello che istintivamente mi viene più facile e in cui rivedo di più me stessa. Ho già fatto una volta l'errore di cantare cose in cui non credevo del tutto, e mi ha mangiato l'anima.

Prima parlavi di featuring. Il primo immagino sia con Maria Nazionale!

Magari... Ha una voce straordinaria.

E poi?

Ho sempre amato Elisa come artista e come personaggio, quindi mi piacerebbe tanto collaborare con lei un giorno. O magari Mahmood, che però è un mio amico, e quindi è tutto diverso e dobbiamo capire se abbiamo voglia di metterci in mezzo contratti e robe del genere. E Gaia, con cui si parla della cosa da tempo, perché c'è stima reciproca. Di sicuro, però, prima devo tirare fuori l'album.

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Quali sono gli errori di cui parlavi prima?

Quando sono uscita da X Factor ho firmato un contratto con l'etichetta legata al programma. Ma non ero pronta: avevo 19 anni, ero andato per accompagnare un'amica che sognava di diventare cantante. Ero allo sbaraglio, ho cantato La notte di Arisa perché era l'unica canzone che sapevo in italiano. Non avevo idea di cosa fare da grande. Affrontare un talent così non lo consiglio a nessuno: se non hai la maturità per gestire quello che potrebbe accadere dopo è decisamente meglio evitare. 

Che ricordo hai del periodo Materianera?

Bellissimo. Mi è servito tanto, perché ho sperimentato un sacco. E mi sono fatta tutta la gavetta, tipo guidare per 13 ore filate per andare a suonare in Calabria per cento euro a testa più la cena. Ci portavamo dietro tutto noi, montavamo e smontavamo tutto. Oggi quando salgo su un palco so esattamente cosa devo fare. Mi ricordo che la prima volta che ho fatto uno show di grandi dimensioni, il City Limits Festival a Austin in Texas, a fine live mi sono messa ad arrotolare i cavi. Il mio manager mi voleva uccidere, ma per me era la cosa più naturale del mondo. 

Ti senti ancora con i ragazzi della band?

Per me sono famiglia. Loro hanno i bimbi piccoli ora, e io sono un po' una zia. Già ai tempi mi dicevano che se avessi voluto fare qualcosa da sola, loro mi avrebbero appoggiato. Erano molto più grandi di me: per loro la musica era un pezzo della vita, per me è sempre stata la priorità, non ho mai avuto un piano b. 

Quand'è che hai deciso di provarci fino in fondo?

Cantavo nella band. Mi piaceva quello che facevo, ma sentivo che volevo una qualità diversa. Quindi ho detto: "Raga, o troviamo un un produttore e facciamo le cose bene oppure io mollo". Sono mega nerd sulla questione del suono, da sempre vado in studio e mixo, da quel punto di vista sono sempre stata molto combattiva. Mentre ero in quella fase ho conosciuto un tizio, un possibile manager. Lui mi chiede cosa volessi fare. Io gli rispondo che stavo iniziando a scrivere in spagnolo. "Se mi puoi aiutare bene, se no levati" gli ho detto. Sentivo di non avere tempo da perdere, che ne avevo già perso fin troppo. 

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Cosa avevi in mano in quel momento?

Avevo due canzoni in spagnolo. Una era Barrio: era già scritta e ne avevo una bozza su Ableton, che poi ho sviluppato con i ragazzi di B-Croma a Milano. A quel punto abbiamo deciso di fare uscire i primi due pezzi, firmando con un'etichetta indipendente in Australia. In quel momento nella mia vita era tutto abbastanza a caso. 

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Quanto ci hai messo a ingranare per davvero?

Il budget all'inizio era davvero minimo. Ho fatto il video di Barrio con duemila euro e quella di Nena con altrettanto. Ho vissuto a Miami facendo un pranzo al giorno e dormendo dove capitava. Poi, con il Covid, è cambiato tutto. Mentre ero qua bloccata a casa a Villafranca tutte le etichette hanno cominciato a farsi sentire. Ho firmato per Sony Music Latin e RCA Records. Da allora non mi sono più fermata, e ho reinvestito sul progetto e su me stessa tutto quello che ho guadagnato, prendendomi un sacco di rischi. 

Qual è il salto nel buio più grande che hai fatto?

Lavoravo in tv da Crozza come corista e in un negozio di sneakers per arrotondare, ho mollato tutto in un colpo solo e sono andata a Londra per lavorare con il mio manager. Meno male che l'ho fatto.

In Italia tutti quelli che cantano in spagnolo diventano in automatico "reggaeton". Ti offende questa cosa? 

Penso che la gente anche in Italia si stia un po' aprendo alle novità in arrivo dal mondo latino, che sono tante e molto forti. Rosalia ha aperto dei portoni per tutti. In effetti in passato tutte le persone a cui ho detto che canto, e che lo faccio in spagnolo, in automatico mi ha risposto: "Ah, reggaeton!". 

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Ma quindi non fai reggaeton?!!?

Ci ho provato, ma non è il mio. Ho fatto anche un featuring con J Balvin, che non è una delle mie canzoni preferite, né una delle canzoni preferite della gente che ascolta la mia musica. Io devo fare le cose che mi piacciono per funzionare. A me piace sperimentare, lavorare in studio con i sample, smanettare al pc. Ascolto roba tipo Radiohead, Massive Attack, Blur, Bjork, Frank Ocean. Poi faccio roba molto diversa, ma le cose che imparo da loro cerco di metterle nella mia musica. Non mi fossilizzo su un genere. E non faccio cose con l'idea che devono avere successo per forza. 

Cosa ti manca dell'Italia, cosa sei felice di aver archiviato dalla tua vita?

Domani vado alle poste a spedirmi un pacco a Los Angeles con parmigiano, un po' di pesto e le olive taggiasche. Quindi direi il cibo. E poi mi manca parlare italiano, quando non lo faccio per troppo tempo chiamo qualche amico e chiacchieriamo per un'ora. Sono felice di essermi levata di torno il pregiudizio. Quello di chi mi guarda in faccia e si stupisca che parli italiano, di chi mi vuole toccare i capelli o chi mi guarda come un alieno per come mi investo. Questa paura del "nuovo" in Italia è ancora forte, molto più che altrove

Ci dai tre nomi di hitmaker latini che non conosciamo e che invece sono da seguire assolutamente?

Silvana Estrada, messicana che spacca i culi. Pablo Pablo, produce tutto lui e mixa tutto lui, è tipo un Frank Ocean spagnolo. Un altro pazzesco è Tivi Gunz, fa una denbow più "pulita" e suono anche un suo pezzo nel medley che faccio durante il live. 

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L'articolo Yendry: "Per la musica ho rischiato tutto, e non smetto di farlo" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-11-22 10:59:00

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