Biografia Bon.not

22/06/2016 - 14:21 Scritto da Bon.not Bon.not 2
Lungo tutti gli anni ’90 in Italia, le band di una certa scena indipendente sembravano nascere già mature e portatrici di un linguaggio immediatamente riconoscibile. Molte si esprimevano in italiano e, a dispetto di ovvie differenze di genere, era come se appartenessero ad una scena che raccoglieva consensi ovunque.
I nostri certamente.
CCCP e poi CSI, Afterhours, i Disciplinatha, i Massimo Volume, i Marlene Kuntz e quel folgorante disco con Teardo “Come di sdegno”. Era impossibile non respirare tutta quella energia e ci mettemmo a lavorare.
I BON.NOT nascono all’inizio del secolo sull’onda di questi entusiasmi e di questi risultati. Dopo una serie di band dai nomi diversi e dalle formazioni più disparate, i BON.NOT vedono la luce con la chiara volontà di fondere un aspetto più cantautorale e una line up tipici della scena musicale che ci aveva ispirati, con l’elettronica che ad inizio 2000 ci tartassava. Se da un lato c’era il trip hop fumoso e scuro, dall’altro c’era la Raster-Noton col suono algido e geometrico del glitch sound. Volevamo sposare queste sonorità senza abbandonare la nostra natura di band che si chiude in studio con gli strumenti in braccio.
Questo è ciò che rimane tutt’ora la spina dorsale dei BON.NOT: il lavoro di costante ricerca del perfetto equilibrio tra ciò che ascoltiamo ogni giorno e ci sembra nuovo, futuribile e coerente, con un basso e una chitarra. Altri due elementi sono rimasti immutati da allora: nessuna regola nel perseguire questo obiettivo e l’uso dell’italiano.
Quando i BON.NOT nascono ci sono Riccardo e Domenico a dimenarsi tra programmazioni e strumenti a corda. Ci siamo dati questo nome per cercare di assorbire un po’ delle capacità di Jules Bonnot – la sua determinazione, lo sguardo lucido, la schiettezza – che sentiamo vicine. Abbiamo deciso poi di dividere il nome con un punto per non saccheggiare lui e la sua storia.
Abbiamo suonato qui e là per il centro Italia, tra università e centri sociali. Abbiamo fatto da spalla agli Offlaga Disco Pax e suonato da soli davanti ad un prato deserto.
Nel frattempo, abbiamo dato vita ad AKRcollettivo, che si è voluto caratterizzare come spazio di collaborazione e libertà nell’uso di linguaggi non propriamente musicali, come il video, il teatro e performance ibride. C’è qualcosa dei BON.NOT più o meno in ogni lavoro del collettivo.
Possiamo dire che i BON.NOT hanno 15 anni.
Quella «soffice musica da battaglia» oggi si fa suono più crudo. Chi, ascoltandoci, si auspicava di ascoltarci «al mattino mentre nasce un nuovo giorno, perché la sua musica riesce ad illuminare i dettagli più delicati», ora ci troverà meno soffici e meno solitari perché la nostra esigenza, in questo ultimo lavoro, è rispondere alla complessità e alla urgenza di questi giorni nostri.
Anche per questo oggi i BON.NOT sono 4: circa un anno fa si è aggiunto Andrea, un batterista stufo di suonare indie al quale abbiamo tolto le pelli e donato la vastità del digitale. Lui ci martella sopra comunque, come fosse una batteria vera. Quando è arrivato la prima volta a suonare con noi, conosceva già a memoria i brani nuovi. E poi Antonio, che per noi fa il fonico e ci aiuta a destreggiarci tra gli “informatismi” vari. In realtà sarebbe un pianista e la sua influenza si fa sentire quando lo ritiene più utile.
La musica dei BON.NOT si muove da sempre su un asse fortemente artigianale. La principale suggestione per la creazione di un brano si muove da una precedente fase di campionamento: saccheggiamo i dischi che ci piacciono in microparticelle che successivamente andiamo a rimodulare. Composto il set si cerca un groove; trovato quello si va ad aggiungere tutto il resto.
Ci sono molte ore di lavoro dietro ai singoli suoni, manipolazioni continue. È difficile per noi accontentarci del preset già fatto offerto dai software, mentre è estremamente più semplice appassionarci a dischi altrui capaci di disegnare atmosfere e suggestioni fresche.
Abbiamo rubato ciò che c’è di buono dall’hip hop come dalla techno, abbiamo nelle orecchie il bass sound e nel cuore la storia italiana delle Posse. Rimane dentro di noi un crepuscolarismo cantautoriale che si fa Trip Hop.
Abbiamo sempre cantato in italiano: con le parole andiamo a caccia di una ennesima suggestione e ci serve un vasto vocabolario per comunicare esattamente quello che vogliamo. In una lingua non nostra non sapremmo forse esprimere quello che viviamo o che vorremmo provare. Sotto questo aspetto, siamo una band che fa politica: perseguiamo una etica, una nostra coerenza, lavoriamo tutti i giorni per essere sinceri.
È per restituire questo processo che il flusso dei testi cerca sempre un incedere diverso.
Tutto ciò che i BON.NOT hanno prodotto è licenziato in Creative Commons. Per noi è una scelta naturale immaginare il nostro lavoro correre liberamente, ci sembra una scelta inevitabile per rendere ciò che facciamo come acqua che scorre: andasse pure dove deve andare.
Per questo trovate tutto il repertorio scaricabile in rete. Portatelo dove volete e piuttosto che pagarlo organizzateci un live dalle vostre parti: siamo più felici così.

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L'articolo Biografia Bon.not di Bon.not è apparso su Rockit.it il 2016-06-22 14:21:45