Descrizione

Produce effetti di piacevole e tonificante spiazzamento il terzo disco di Francesco Giampaoli, polistrumentista e compositore ravennate, colonna portante di Sacri Cuori e Classica Orchestra Afrobeat. Come nei precedenti “A caso” e “Mi sposto” – mai titoli furono più eloquenti – anche in “Danza del ventre” l’autore si diverte a mischiare le carte e togliere punti di riferimento, facendo piazza pulita delle etichette che affollano le nostre teste e liberando i folklori dalle teche dei musei e dai cataloghi delle storiografie ufficiali. Bisogna aspettare la sesta traccia, Rosa (con i Sacri Cuori al gran completo, e non è evidentemente un caso), per trovare echi della sua Romagna e una melodia che tradisce immaginari felliniani e la lezione di Nino Rota (interiorizzata e rimodellata secondo gusto e sensibilità propri). Fino a quel momento e per il resto del disco è tutto un susseguirsi di mondi sonori apparentemente eterogenei - tango, chanson francese, tribalismi, marcette mariachi, soundtrack da spy story e motivetti da cartoon – ma di fatto perfettamente coerenti. E’ proprio questa, infatti, la cifra di Giampaoli (e in fondo di tutte le band in cui milita): gettare ponti solidi e immaginari tra tradizioni sulla carta lontane, ritrovare un comune sentire (antropologico prima ancora che musicale) in melodie, ritmi e timbriche, attingere agli elementi ancestrali della musica: circolarità, corporeità e ritualità, forza aggregante, ludica e sensuale.

“Danza del Ventre” è dunque un tripudio (miscelato e misurato a dovere) di percussioni e pulsazioni, voci e fiati, corde e legni, semplicemente irresistibile perché organico, naturale, fluido. In pratica, l’opposto di certa world music oleografica e studiata a tavolino.
Giampaoli ci mette l’ossatura, partendo da giri di basso e contrabbasso essenziali (Pugni al sacco, semplice e incisiva come una poesia di Bill Collins), sornioni (la languida serenata della title track) e “ostinati” (Fra poco i saluti, da tempo nel repertorio live dei Sacri Cuori, forte di un groove che smuoverebbe pure i sassi) ma si cimenta anche alla batteria e non rinuncia a lavorare in punta di fioretto allorché mette mano ai tanti strumenti presenti nel suo laboratorio affacciato sull’Adriatico: mandolino e bajo quinto, vibrafono (nella tropicale Al sole), pianoforte e soprattutto un invidiabile armamentario di elettronica analogica e tastiere vintage (il Micromoog nella cover Tin Tin Deo e nella guizzante Da sotto, l’organo Elka di Classica, la Farfisa Synthorchestra di Riflessi, bizzarra piece che chiude l’album). I compagni d’avventura sono amici e sodali di sempre: Diego Sapignoli, Marco Zanotti, Denis Valentini, Enrico Mao Bocchini si destreggiano, in solitudine o in efficaci jam, a pelli e percussioni d’ogni tipo (congas, nacchere, calebas, dum dum), iniettando nel disco quel movimento che il suo stesso titolo evoca; Antonio Gramentieri regala riff e ricami di chitarra meravigliosamente retro e talvolta Marco Bovi gli fa da contrappunto con l’acustica e il banjo; Maurizio Piancastelli, Cristian Ravaioli e Francesco Valtieri soffiano che è un piacere dentro tromba, sax e corno inglese conferendo ai brani ora un’aria sbarazzina ora classe e savoir faire jazzy; Lorenzo Natalin aggiunge chincaglierie elettroniche e un giradischi mandato in loop all’ipnotica Grammatica, mentre Eloisa Atti dispensa cori, sussurri e vocalizzi in una manciata di episodi e suona la concertina in Firma (registrata al Vox studio di Los Angeles durante le sessions di “Rosario” dei Sacri Cuori, con Jim Keltner alla batteria e Woody Jackson alla chitarra).

L’interplay è a dir poco perfetto, l’abilità tecnica nulla toglie all’immediatezza e il virtuosismo cede il passo all’amorevole cura artigianale. La sensazione è di trovarsi di fronte una comunità artistica tanto aperta e inclusiva quanto complice e affiatata. Si potrebbe quasi parlare di una “scena” romagnola, se ciò non suonasse troppo perentorio; di certo c’è un gruppo di musicisti che sempre più spesso va raccogliendosi compatto attorno al prezioso progetto discografico/editoriale della Brutture Moderne, l’etichetta (co-fondata dallo stesso Giampaoli) che pubblica questa perla.

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