Any Other - Fuck all the losers

Un disco sulla fine dell'adolescenza, sulla rivincita morale, sui grandi vaffanculo della propria vita. Un disco molto molto rock. Adele Nigro racconta la storia del nuovo disco di Any Other, dalla separazione con le Lovecats a riuscire ad organizzare un tour intero solo con le proprie forze.

Adele Nigro di Any Other
Adele Nigro di Any Other - Tutte le foto sono di Starfooker

Un disco sulla fine dell'adolescenza, sulla rivincita morale, sui grandi vaffanculo della propria vita. Un disco molto molto rock. Adele Nigro racconta la storia del nuovo disco di Any Other, dalla separazione con le Lovecats a riuscire ad organizzare un tour intero solo con le proprie forze.

 

"Silently. Quietly. Going Away" è il titolo del tuo disco d'esordio. Com'è nato?
Il disco è nato abbastanza naturalmente, non c’è mai stato un momento in cui ho detto “ok, ora mi metto a scrivere i pezzi del disco nuovo”. Non per scelta, è solo che i pezzi sono stati scritti tra il mio ultimo anno di liceo e l’anno scorso. E infatti qualche pezzo lo facevamo anche con le Lovecats anche se avevano suoni diversi, sia perché eravamo solo in due, sia perché avevano arrangiamenti differenti.

Quindi i pezzi sono stati scritti già pensando che a suonarli sarebbe stata una band?
Sì. Perché quando suonavo con Cecilia avevo già in testa l’idea di ampliare il progetto e di chiamare altri musicisti a suonare con noi. Il duo acustico folk fatto in maniera super semplice e minimale era ok, era andato bene, avevamo fatto un ep e delle date - ma le cose dovevano iniziare a cambiare, a evolvere. Poi va be', ci siam sciolte e quindi non se n'è fatto niente. Dopo aver provato a suonare con alcune persone con le quali però non ha funzionato, a novembre ho deciso che questa nuova "cosa" si sarebbe chiamata Any Other.

Ecco, perché Any Other?
Ero a casa di Erica, la batterista, una mia amica dai tempi del liceo. Abbiamo fatto una lista di parole inglesi che ci piacessero sia graficamente che fonteticamente - abbiamo scelto da quella lista e sono venute fuori le due parole Any + Other. Sia perché ci piacevano come suono, sia perché è un po’ un riferimento a un disco dei Life Without Buildings che si chiama “Any Other City”, un album che a me e a lei piace tantissimo. All’inizio non avevo ancora una chitarra elettrica (l’ho comprata lo scorso gennaio) e andavo da lei a Verona a provare i pezzi batteria e chitarra acustica, senza ancora l’ombra di un bassista. In quel periodo io ero a Milano senza casa, andavo a dormire da una persona diversa ogni settimana. Ho rincontrato Marco (The Assyrians) e gli ho chiesto di ospitarmi. Ci eravamo conosciuti a Roma nel 2013 durante una data al Circolo degli Artisti, e in breve abbiamo cominciato a legare, gli ho proposto di suonare il basso per provare i pezzi. Né Marco né Erica avevano intenzione di formare una band, dovevano solo darmi una mano a registrare. Invece, durante le prove, è scattato un grande amore tra di noi. Ci siamo davvero trovati, loro si sono affezionati ai pezzi e a hanno iniziato a sentirli come propri. E allora abbiamo detto, ok, siamo un gruppo.

Un po' come quando due persone escono insieme per un tot, e a un certo punto esplicitano il fatto che “allora stanno insieme”
(ride) Esatto, proprio così.   

Ho letto bene tutti i testi, devo dire che sono disarmanti, forti e in alcuni casi espliciti. Alla fine avevo quasi l'impressione di ficcare il naso in cose tue troppo intime, come aver letto di nascosto un tuo diario. Sono canzoni che parlano dello stare male, e del trovare la forza per uscirne, giusto?
Sì, a parte forse “Sonnet #4” che è l’unico pezzo che parla d’amore. In questo disco ci saranno riferimenti ad almeno 7 ragazzi con cui sono uscita e questa cosa mi fa ridere. Però una cosa dei testi di cui sono particolarmente soddisfatta è che sono diversi rispetto a tutto quello che ho fatto prima, appunto perché una volta la tematica dell’amore era quella che emergeva di più. Invece questi testi li ho scritti proprio per me. Ho vissuto male il fatto di venire a vivere da sola qui a Milano per iniziare l’università (una cosa che fanno tutti, ok), sia per una serie di motivi che riguardano la famiglia sia per altri che riguardano me (perché fondamentalmente sono una malata di mente) - insomma, è stato difficile. Non tanto il separarsi da casa, il dover gestire una serie di cose pratiche, piuttosto è stato difficile perché ho iniziato a farmi domande su me stessa, chiedermi cosa volessi fare nella vita, cosa stessi facendo a Milano, etc. Sentivo che da quel momento in poi erano solo cazzi miei, non potevo più permettermi errori, e questo mi spaventava molto. E anche il rimanere da sola da un punto di vista musicale mi ha toccato parecchio. La rottura con Cecilia è venuta proprio nel momento in cui avevo capito cosa volessi fare su quel fronte, e non è stato facile pensare di ricominciare da zero. Mi rendevo conto che se fossi rimasta lì a pensare a queste cose, a stare male, a crogiolarmi nei miei pensieri - ora non starei da nessuna parte. E invece scrivere questi testi mi ha aiutato un sacco a razionalizzare, a mettere tutte le cose in chiaro, a capire la situazione e capire come gestirla e come risolverla.

   

Praticamente tutti i pezzi parlano del prendere coscienza del fatto di non voler più stare male, di provare ad uscire da un brutto periodo in una maniera logica e quasi sistematica. Come si fa ad uscire dai periodi di merda?
Come dicevo ero rimasta senza un gruppo e senza casa - era l’ennesima volta che alcune cose brutte mi stavano buttando giù. La cosa che più mi faceva incazzare era il fatto di non poter dedicarmi alle cose che amo per il semplice fatto che ero presa male. Ho avuto proprio questa sensazione di stanchezza, ho detto “basta”, questa cosa non può funzionare così. Soprattutto non voglio essere complice di un sistema sbagliato di cose che succedono buttandomi giù.

Insomma "I’m not interested anymore in feeling bad", che poi è la frase-chiave del disco.
Esatto. C’era anche una voglia di riscattarmi rispetto a certe cose, e soprattutto rispetto a certe persone. Quella roba lì c’è veramente un sacco. Poco prima di iniziare come Any Other ho avuto degli scontri con delle persone che mi dicevano che non sarei mai riuscita a fare questo disco, che non sarei mai riuscita a trovarmi delle date da sola, che non sarei mai riuscita a capirne qualcosa di chitarre…

Sento puzza di "mansplaining"
Avoglia! Ragazzi che mi dicevano “ah ma tu non puoi suonare la chitarra in un certo modo, perché sei una ragazza”, oppure “non puoi suonare questo tipo di musica, perché sei una ragazza”, “stai tranquilla e continua a fare il tuo folk” - come se poi fare folk fosse una cosa brutta. Mi sono ritrovata a scontrarmi con queste persone che mi hanno detto queste cose poco carine.

Immagino che in fondo non fossero delle cattiverie dirette a te Adele come persona, piuttosto a te come essere di genere femminile che si "permette" di fare musica
Sì, e le motivazioni penso che siano molte. Però una di queste è che ho come la sensazione che quando un uomo vuole qualcosa e non lo ottiene perché non ne ha la capacità o non si impegna abbastanza - e vede invece che una donna ci riesce o perché ha talento o perché ce la mette tutta - probabilmente si sente frustrato, si sente come se quella donna stia portando via qualcosa di suo che gli appartiene, quando non è ovviamente così. Nel mio caso specifico ho avuto a che fare con musicisti che non sono mai riusciti a combinare un cazzo perché erano dei ragazzi presuntuosi, ignoranti e decisamente poco dotati (ride) - io non è che penso di essere un genio o una gran figa però - vaffanculo - un bel disco sono riuscita a farlo. E adesso abbiamo anche un tour con date che continuano ad uscire, recensioni buone, persone prese bene con la mia musica. Insomma tutto ciò è un bel vaffanculo diretto a quelle persone, rimanete lì a dire che sono una troia incapace che non sa suonare; intanto io ho aperto i Parquet Courts al Bronson, voi state lì a non fare un cazzo e a dire “ah le ragazze non possono suonare!”. Penso che sia solo invidia e frustrazione. Tu ragazza devi rimanere confinata nel tuo ruolo di supporto, tutt'al più sii delicata anche quando suoni e canti.

Qualche settimana fa ho letto un articolo interessante: negli Stati Uniti una band di ragazzine di 14-16 anni ha partecipato ad un rock contest per adolescenti. Ogni band è stata giudicata con diversi parametri (tecnica, performance, presenza scenica, etc), e ad ogni band alla fine del concorso è stato consegnato un foglio con le considerazioni dei giudici su cosa potessero migliorare per il futuro. Le ragazzine sono arrivate terze, ma sul loro foglio c’era scritto che dovevano essere più sensuali sul palco. Loro giustamente hanno denunciato la cosa ritenendola assurda (sicuramente alle altre band di ragazzini non è stato suggerito di essere più sexy). E questo è solo un esempio-chiave per capire che quando si parla di donne e musica c’è un problema. Molti uomini non hanno formalmente niente in contrario alle donne musiciste, ma inconsciamente tendono a considerarle comunque inferiori, non professionali, carine, ma che non fanno davvero sul serio e che non possono competere con gli uomini.
Sì, non le cercano e non le tengono in considerazione. Nel momento in cui ho iniziato ad interessarmi di femminismo e di questioni sociali, mi sono resa conto che c’era un mondo di ragazze che fanno musica di cui non mi rendevo neanche conto. Ora le cose stanno migliorando ma fino a un paio di anni fa le ragazze non uscivano così tanto fuori. Penso al mercato americano: musiciste come Waxahatchee, Courtney Barrett, Speedy Ortiz ora sono artiste di punta ai festival, hanno visibilità, ma fino a qualche anno fa una cosa del genere non esisteva. Però anche questa cosa delle ragazzine che mi dicevi è allucinante. A me e ad Erica recentemente è successa una cosa del genere; c’era questo fonico che era il diavolo, era satana. Facciamo il check e chiede chi canta, alzo la mano e gli dico che avrei cantato io. Lui mi dice “ah ok, allora prendiamo un microfono adatto alle ragazze”. Lì per lì ho pensato fosse un discorso di frequenze, se non che durante il check inizia a trattare me ed Erica come due deficienti, esonerando ovviamente Marco. Prima che suonassimo, si avvicina ad Erica e le dice “a te devo dare un consiglio, tu non guardare il rullante perché tanto il rullante mica scappa!”, poi si gira verso di me e mi dice “tu invece fatti vedere mentre suoni, guarda la gente negli occhi, le corde rimangono lì, le prendi lo stesso!”. Noi abbiamo cominciato a prenderlo per il culo, dicendogli tipo “oh grazie non lo sapevano, dacci qualche altro consiglio, dai!

E lui?
Lui ci ha tenuto a dire che non erano critiche, ma solo consigli. C’è sempre questa cosa per cui il tuo aspetto fisico, il modo in cui ti presenti e appari, conta tanto quanto quello che fai. Io ho visto un sacco di band di ragazzi suonare, non mi sembra che si curino particolarmente del loro aspetto o che il pubblico gli richieda di presentarsi in un modo in particolare. A me dicono che sono sciatta, che devo vestirmi meglio. Se mi presento in un certo modo la gente è più propensa ad ascoltarmi, se invece mi metto dei jeans e una maglia a caso, succede che qualcuno perda interesse nell’avere una conversazione con me. Io ho iniziato a fregarmene, sono qui per suonare e non per vestirmi o truccarmi in un certo modo.

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Mi sembra che in Italia questo problema del mansplaining nella musica non sia molto percepito. Non so se è perché è semplicemente una cosa poco diffusa, oppure perché è considerata una prassi normale e naturale.
Ne ho parlato con ragazzi che suonano, non è possibile che ogni cazzo di volta ci sia qualcosa del genere che salta fuori, ogni volta ci dev'essere uno stronzo che mi deve venire a dire come mi devo presentare di fronte al pubblico. Quando è successo quell'episodio del fonico, un ragazzo con cui ne ho parlato mi ha detto “non te la prendere lo sai che i fonici sono dei coglioni”. Lui lo diceva con le migliori intenzioni, però non si rendeva conto che il problema non era che fosse un fonico, è una cosa così normale che quando ne parli sembra che tu ti sia lamentando di qualcosa di eccezionale. Viceversa non mi è mai capitato che una ragazza che suona mi dicesse che sono io che sto esagerando. Tutte le ragazze che suonano mi dicono cazzo sì, è vero, succede, solo che non ci cagano quindi vabbè (ride).

Torniamo al disco. Ti prego dimmi che la frase sulla "jellyfish station" in "Roger Roger Commander" è un riferimento a Sponge Bob! 
(ride) No, è un pezzo che parla di certe cose della mia famiglia, ma siccome non voglio parlarne esplicitamente ho creato un mondo fantastico. Il testo può apparire senza senso.

Sembra di essere in una fiaba. Ci sei tu molto anziana, vestita da imperatrice con la corona, un gatto sulla spalla, le formiche verdi...
Ho voluto rendere tutto con immagini lontane dalla realtà, la cosa della stazione delle meduse si riferisce a quando io e mio fratello eravamo piccoli e lui è stato morso dalle meduse, e ha pianto un sacco e gli è rimasto il terrore. Le meduse quindi nel mio immaginario sono qualcosa di pericoloso che ti punge e ti fa male, però sono nell'acqua e non le vedi, è un ambiente rassicurante, dove vai per divertirti. All'inizio del pezzo la stazione delle meduse non è un problema, alla fine del pezzo ci si rende conto che sono dannose ed è meglio andarsene e lasciarle lì.

Tutte queste immagini fiabesche indicano un altro dei temi dominanti del disco, che è il passaggio infanzia-adolescenza-età adulta. C'è anche una canzone, "Teenage", che parla proprio di questo. Per te è stato problematico crescere, o tutto sommato sei contenta anche delle "botte" che hai preso?
Di botte ne ho prese un casino. Fino a prima di fare questo disco e di capire un po' come riprendermi, le cose brutte successe tra infanzia e adolescenza erano brutte e basta. Adesso invece mi guardo, vedo quello che ho fatto, e mi dico ok, è una merda, sono successe cose di merda - non sto dicendo ben venga che siano successe, però se adesso sono qua e sono riuscita a fare questo disco che mi sta dando una soddisfazione immensa, è anche grazie a quelle cose. Se non fossero successe non sarebbero mai esistite le canzoni e tutto sommato sono una gran figa perché ho preso le cose brutte e sono riuscita a sistemarle un po'. 

Ci sono stati dei punti di riferimento culturali (film, dischi, siti, libri) che ti hanno dato una mano ad uscire viva dall'adolescenza?
In realtà no, durante l'adolescenza no, certe cose sono arrivate subito dopo. Soft Revolution è un sito che ho iniziato a leggere quando ho finito il liceo, prima avevo un'amica che ci scriveva però non avevo mai letto niente, e non sapevo nulla neanche di Rookie e le altre webzine. Effettivamente, se ci penso, a parte casi specifici non ho avuto un modello né fisico né mediatico che mi spingesse, quello che mi ha aiutata a imparare certe cose sia musicalmente che umanamente è stato proprio ascoltare tanti dischi e anche guardare tanti film, però senza che uno spirito guida specifico. Almeno finché ero giovanissima.

I tuoi ascolti fondamentali?
Ho un tempietto di gruppi preferiti, le divinità intoccabili: Built to Spill, il primo concerto a cui sono andata a Milano a settembre 2014; Modest Mouse, i primi dischi, poi si sono un po' persi via; i Pavement e poi Elliott Smith, tantissimo, di brutto. Forse lui è stata un po' una guida, perché i testi erano presi male, io ero presa male, leggevo i testi e pensavo che figata! Infatti ogni tanto penso "grazie Built to spill, grazie Modest Mouse". Se penso ai chitarristi che mi hanno insegnato a suonare penso a loro, e anche una new entry nel mio tempietto che è Sadie Dupuis dei Speedy Ortiz: vedere una ragazza che suona così è stato un colpo al cuore e mi sono detta anche noi suoniamo così e spacchiamo tutto.

Una delle figate del tuo disco è che hai una pronuncia inglese impeccabile. Hai consigli per tutti quei musicisti italiani che cantano in inglese con una pronuncia di merda?
Non ho mai studiato inglese a parte a scuola, non ho nemmeno le classiche certificazioni, ma una cosa che mi è servita tantissimo è stato ascoltare i dischi in inglese e leggerne tutti i testi. Se non li capisco vado a cercare le traduzioni delle parole che non conosco, poi guardo sempre i film in lingua originale. Ho provato a scrivere due pezzi in italiano, uno l'ho bruciato e l'altro l'ho tradotto in inglese. In italiano sono negata, la sento come una cosa innaturale, non sono una grande fan del cantato in italiano.

Nei prossimi mesi cosa farai?
Nel futuro prossimo penserò a suonare il più possibile. È la prima volta che metto su un tour da sola, questa cosa qui mi sta dando tanta soddisfazione. Anche questo lo vivo un po' come un vaffanculo contro le persone che pensano che le ragazze non possano fare queste cose. Vaffanculo, io questa cosa l'ho fatta tutta da sola, quindi ciao.

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L'articolo Any Other - Fuck all the losers di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-09-25 16:36:00

COMMENTI (4)

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  • claudia.mauti 6 anni fa Rispondi

    lo so, è un articolo vecchio, però è Courtney Barnett :)

  • MaxGit 9 anni fa Rispondi

    bel sound, belle canzoni, bravy any other

  • hell.fo.3 9 anni fa Rispondi

    Belle canzoni. Il timbro della voce mi ricorda la cantante dei Paramore (detto in senso buono).

  • Motozap 9 anni fa Rispondi

    Questo disco è speciale e super onesto! il maschio alfa ha fallito mi sa che smetto di fare il musicista e ricomincio a drogarmi :D
    (continuate cosi!!)