Le tre generazioni di Baba Sissoko

Baba Sissoko è africano, ma vive da moltissimo tempo in Calabria. Viene da un'antica famiglia di griot, poeti cantori e "custodi della parola", e negli anni ha inanellato una lunghissima serie di prestigiose collaborazioni internazionali. Ci racconta il suo ultimo disco, "Three Gees"

Baba Sissoko
Baba Sissoko

Baba Sissoko è africano, ma vive da moltissimo tempo in Calabria. Viene da un'antica famiglia di griot, poeti cantori e "custodi della parola", e negli anni ha inanellato una lunghissima serie di prestigiose collaborazioni internazionali che vanno da Ali Farka Touré all’Art Ensemble Of Chicago. Dall’amicizia con il produttore Luca Sapio nasce “Three Gees”, un progetto visionario in cui la musica tradizionale del Mali misura il suo passato il suo presente ed il suo futuro con i ritmi afroamericani, un blues ancestrale e la psichedelia degli anni '70. Baba Sissoko ce lo racconta in quest'intervista.

 

Ciao Baba, prima di parlare del tuo ultimo disco “Three Gees”, vorrei sapere come hai iniziato a suonare, in Mali. Da chi hai imparato?
Io ho iniziato a suonare molto giovane, a 7-8 anni. Ho cominciato con mio padre, mia madre e i miei nonni. Siamo una famiglia di cantori, loro cantavano e suonavano sempre, quindi ho imparato la musica a casa, di generazione in generazione.

Vieni da una famiglia di griot, di poeti. Come sei riuscito a portare avanti questo ruolo anche in Italia, in un contesto completamente diverso?
Non è complicato, perché anche in Italia ci sono tante culture e tradizioni antiche. Io vivo in Calabria da tantissimi anni e mi sento afro-calabrese. Qui in Calabria c’è una cultura e delle tradizioni anche molto simili a quelle africane. Portare il mio messaggio in Italia, in Europa e nel resto del mondo è molto naturale e semplice per me; sin da piccolo ho viaggiato per il Mali e per l’Africa a cavallo con i miei nonni, ho conosciuto tanta gente di tante etnie diverse e sono abituato a raccontarle, quindi per me portare in giro la mia cultura maliana e griot, una cultura bellissima, è semplice.
Tutte le mie canzoni portano un messaggio importante per i popoli perché parlano molto di amicizia, della tradizione, della cultura, del rispetto della natura, delle donne e della salvaguardia dei bambini. Questo messaggio lo diffondiamo in Europa e in tutto il mondo, non è complicato, ce n’è bisogno e io lo faccio volentieri e con tutto il cuore.
Se voglio che il mondo capisca il mio messaggio devo saperlo portare in una maniera semplice e comoda, per me e per gli altri: questo questo nuovo progetto, che si chiama “Three Gees”, che vuol dire tre generazioni, fa pensare un po’ alle origini e alla cultura di tutti, perché insieme a me cantano anche mia madre e mia figlia Djana. Io e e mia madre cantiamo in africano, mentre mia figlia, che è nata in Italia, canta con noi inglese e francese così da dare la possibilità a tutti di capire i testi.
Quando sei innamorato della cultura e della musica che ti piace, è molto facile portare il tuo messaggio dove vuoi.



Parliamo proprio del tuo ultimo album, “Three Gees”. Raccontaci com’è nato.
In “Three Gees”, come ho già detto, cantano con me sia mia madre che mia figlia. Mia madre ha già partecipato in un altro mio disco uscito due anni fa, “Baba Sissoko et sa maman”, e anche Djana ha già cantato due o tre brani in “Tchiwara”. Purtroppo non c’è più mio padre e i miei nonni, ma sono fortunato che sia ancora in vita mia madre. Per questo ho avuto questa bellissima idea di lavorare ad un progetto che unisse tre generazioni: la nonna, il figlio e la nipote. “Three Gees” serve anche a far vedere al mondo che vivere con la cultura e la musica non è complicato, ma bisogna mettere tanto tanto rispetto nella cultura. Perché il punto del disco non è soltanto che io mia madre e mia figlia facciamo un disco insieme, no: c’è un messaggio. E il messaggio è quello di vedere insieme le tre generazioni, un messaggio di cui il mondo ha bisogno.
Guarda tutto il casino che c’è in giro: la fame, le guerre, le malattie, ogni volta che guardo il telegiornale ho paura, non so dove stiamo andando a finire, mi sembra assurdo che ci siano ancora bambini che muoiono di fame e non ci sia nessuno ad aiutarli. Oppure bambini e anziani innocenti che muoiono in guerra. Questa cosa mi fa molto male e ho pensato: cosa posso fare? Quando vivi con la musica, sai che i cantanti sono considerati messaggeri, specialmente i griot. Io devo essere sempre pronto a portare dei buoni messaggi al mondo, e per questo ho creato tre generazioni in musica: le canzoni che canta mia madre, mia figlia e che canto io parlano di pace, di salvare la natura e di rispettare i bambini, le cantiamo tutti e tre insieme e credo che il messaggio vada avanti perché quando vedi tre generazioni unite capisci la forza che c’è dietro, il valore della famiglia, della tradizione. È molto importante.
Un altro motivo per il quale ho voluto registrare “Three Gees” è perché non voglio perdere la voce di mia madre, sono cresciuto con la sua bellissima voce antica e questo mi mancava moltissimo. Questo progetto poi è bello non solo perché riunisce le nostre voci di famiglia, ma anche perché assieme a musicisti africani ci sono anche tanti musicisti italiani, che hanno suonato con me.

Suoni con musicisti italiani da tanti anni, anche perché ultimamente c’è un interesse crescente nella musica africana e nella musica nel Mali, sia in Italia che nel resto del mondo. So che a questo disco hanno collaborato molti musicisti, tra i quali Luca Sapio. Che ruolo ha avuto?
In questo disco Luca Sapio è, per così dire, il conduttore. Mi ha contattato e mi ha detto che aveva un sogno da realizzare con me; gli ho risposto che ero pronto, a sua disposizione. Poi io ho composto tutti i pezzi, li ho fatti sentire a Luca al quale sono piaciuti moltissimo, e mi ha chiesto se poteva mettere un po’ mano all’arrangiamento. Io ero d’accordo perché lui è un bravo produttore, e gli ho detto che se pensava che i suoi arrangiamenti potessero portare il messaggio del disco lontano, allora ero assolutamente d’accordo a che li firmasse lui. Così Luca ha trovato tutti i musicisti italiani per il progetto, e li ha chiamati.
Sono molto contento di questa collaborazione perché la mia musica non è solo una cosa mia, per me, ma è di tutti. Io credo che l’unica cosa vera che rimanga su questa terra sia la musica. La musica per me è una cosa importantissima, perché chi capisce la musica, capisce il valore delle cose che fa, capisce il valore dell’amore. Se parli d’amore e non capisci niente pensi solo alle donne, invece no, amore significa fare le cose con piacere, con amore, con tutta la propria forza e presenza. Tutte le cose sono amore. Io sono innamorato della musica, mi piace, senza musica io non posso vivere, questo l’ho imparato negli anni. Per questo per me la musica è pace.
A quel punto ho conosciuto tutti i musicisti che Luca mi ha portato, e la cosa ha funzionato (tra gli ospiti del disco: Corey Harris, protagonista del notissimo documentario “Dal Mali al Mississippi” diretto da Martin Scorsese, nonche' vincitore di un Grammy e Fernando “Boogaloo”Velez, uno dei membri fondatori dei Dap-Kings di casa Daptone e percussionista simbolo del circuito retro soul, ndr). I musicisti invitati da Luca erano ideali per il tipo di progetto, e questo ha dato tanta forza e tanta energia ai musicisti. Per me la musica africana non deve essere suonata solo dagli africani, ma anche da tutti gli altri musicisti. Puoi fare jazz, blues, classica, punk, rock, ma sempre musica fai, e puoi condividerla con chiunque. Questa collaborazione è stata nuova, ma i suoni usciti fuori sono anni ‘60 e con le nostre voci di famiglia il messaggio è completo. Di collaborazioni abbiamo sempre bisogno, suonare insieme, condividere i momenti giusti. In questo caso la collaborazione con Luca Sapio ha funzionato bene. Credo che questo disco andrà molto lontano.



Ho notato che negli ultimi mesi hai suonato spesso anche con Dj Khalab, un musicista che reinterpreta i suoni africani proiettandoli nel futuro. Come vi siete incontrati, e come avete deciso di suonare insieme?
Nella mia vita ho sempre collaborato in tanti progetti diversi, dal jazz al blues alla musica etnica. La collaborazione in sé nella musica è una cosa molto importante. Un nostro amico in comune, un giornalista, mi ha presentato Khalab, il quale voleva iniziare un progetto con me per unire la mia musica alla musica elettronica. Come dicevo, nella mia vita ho avuto tante esperienze, e della musica non ho mai paura, sono sempre pronto a scoprire nuovi suoni e nuove persone e nuove vite musicali. E meno male, perché quando Khalab mi ha parlato di questo progetto mi è piaciuto subito: musica elettronica e griot insieme live, fantastico. Quindi gli ho detto va bene, Khalab, proviamo! Abbiamo registrato 10 brani stupendi, un racconto bello e nuovo che fonde i due generi. Vi piacerà.

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L'articolo Le tre generazioni di Baba Sissoko di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-06-30 10:44:00

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