Bautista, amara terra mia

La band di Machweo e 999asura è la voce di Survival International per salvare le zone degli indigeni minacciate dalla “grande bugia verde” dell’ONU. Li abbiamo incontrati in un ristorante peruviano a Milano per farci raccontare le loro storie di integrazione umana e musicale

Aaron Saavedra e Giorgio Spedicato, i Bautista - tutte le foto sono di Marco Previdi
Aaron Saavedra e Giorgio Spedicato, i Bautista - tutte le foto sono di Marco Previdi

Una cosa che non mi aspettavo di Milano è stata vedere quanti ristoranti peruviani ci siano sparsi in giro per la città. È un qualcosa che il mio occhio da provinciale disabituato alle metropoli ha subito colto, una volta che ho iniziato a prestarci attenzione. Perciò non mi ha sorpreso quando mi è stato chiesto di raggiungere a uno dei più famosi di questi, chiamato El Chorrillano, Giorgio Spedicato e Aaron Saavedra, rispettivamente Machweo e 999asura. Giorgio e Aaron sono i due membri di Bautista, la band che unisce suoni latini, ritmi reggaeton, ricercate trame elettroniche e una profonda vena malinconica in un genere unico, comodamente ribattezzato "emoton", con cui cercano di raccontare il Sud del mondo.

Aaron e Giorgio si dividono un piatto di ceviche de pescado
Aaron e Giorgio si dividono un piatto di ceviche de pescado

Il posto non è casuale, viste le origini peruviane dello stesso Aaron, ma mi trovo con loro non solo per parlare della loro musica, quanto di un’iniziativa molto importante in cui sono stati coinvolti: l’associazione Survival International, il 22 aprile scorso, ha lanciato una campagna per fermare la proposta di trasformare il 30% della Terra in “Aree Protette” entro il 2030. La proposta in questione, lanciata dall’ONU, nasce con l’intento di salvaguardare alcune zone verdi del pianeta, ma ciò potrebbe togliere mezzi e terre a più di 300 milioni di persone, la stragrande maggioranza delle quali appartenenti a popoli indigeni e tribali. Una “grande bugia verde”, per come è stata definita.

Così, seduto a un tavolo del ristorante, mentre arrivano prima un piatto di ceviche de pescado – del pesce con una leggera salsa al limone –, una papa rellena – patata ripiena con carne – e un paio di birre Cuzqueña, mi sono fatto spiegare meglio il rapporto dei Bautista con la causa ambientale, passando per le loro storie personali e per il loro rapporto con la propria terra di origine.

Come siete stati coinvolti da Survival International?

Giorgio: Mi avevano scritto sulla mia mail addirittura, perché sapevano che facevo parte di questo progetto qua e conoscevano le origini peruviane di Aaron. Ovviamente a noi stava molto a cuore l'argomento, abbiamo accettato a scatola chiusa all'inizio, poi ci hanno spiegato bene in cosa consisteva tutto, però non abbiamo mai avuto particolari al riguardo. C’erano un sacco di motivi per coinvolgerci, in particolare l’appartenenza culturale di Aaron.

Aaron: Non ho legami di parentela diretta con indigeni, però i nonni di mio padre vengono dalla sierra, che è la parte montana del Perù, quindi hanno un legame più profondo con la terra.

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Cosa c’è in particolare che non torna in questa iniziativa dell’ONU?

A: Non ha senso parlare di salvaguardare la biodiversità e la protezione di spazi naturali andando a danneggiare i popoli indigeni che abitano lì e sono più che altro curatori della natura circostante, ne hanno un rispetto enorme. Anzi, ci sono zone dell'Amazzonia che si credono naturali ma in realtà sono state fatte dagli Inca. Diciamo che la creazione di queste zone è un contentino, cerchi di salvare il 30% della biodiversità senza curarti di queste persone.

Quindi c'è un'impostazione colonialista in questo apparente tentativo di creare delle aree protette?

A: C’è in tutto in realtà, prendi anche il greenwashing, se ne parla ogni anno. Le grandi multinazionali o i grandi allevamenti bovini continuano a provocare un inquinamento spaventoso e sono praticamente incontrollati. Poi questo è un discorso anche troppo ampio, il danno che provochiamo al pianeta è impressionante.

Cosa si può fare per contenere questa decisione dell’ONU?

G: Alla fine sono le multinazionali quelle che comandano, in una realtà immersa nel capitalismo come la nostra quello che si può fare è creare un'opposizione e sperare che qualcuno lo ascolti. Però devo dirti che se sono fiducioso che qualcosa cambi veramente non sono granché ottimista. Noi sposiamo la causa di chi si oppone e ci abbiamo messo la faccia perché è sacrosanto parlarne.

Giorgio fa assaggiare il piatto di pesce al suo cane, Kaneki
Giorgio fa assaggiare il piatto di pesce al suo cane, Kaneki

Le aree che vogliono essere rese zone protette dove si trovano di preciso?

G: Sono aree interne alle foreste intorno al Rio delle Amazzoni, ma non fanno parte di città, sono territori che non credo appartengano a un qualche stato sudamericano in particolare.

A: Anche nella zona settentrionale del Sud America ci sono isole in cui non c’è traccia del passaggio dell’uomo moderno, ci sono lingue che si parlano solo ed esclusivamente lì. Ci sono anche tante lingue di zone remote che stanno scomparendo, come il quechua. Si è presa coscienza solo da pochi anni, sono lingue che non si tramandano più anche per immigrazione interna, da zone più povere alla capitale.

Ma cosa sono, dialetti?

A: Sono lingue autoctone, arrivano anche dall’impero Inca e che coinvolgono tutto il Sud America, perché gli Inca si erano espansi molto sul continente. Adesso si parla sempre meno, l’hanno implementato solo in qualche scuola, soprattutto a Cuzco.

Tu parli qualcuna di queste lingue?

A: No perché sono nato sulla costa, dove di queste culture non c'è proprio traccia. Penso che sia uno specchio triste di tutto il Sud America, costretto a dimenticare le proprie radici. Anche con i monumenti, la maggior parte è di epoca coloniale.

Aaron
Aaron

Voi nel vostro quotidiano avete delle scelte di consumo particolari dal punto di visto ecologico?

G: Cerchiamo di starci attenti, ovviamente le responsabilità e le nostre possibilità sono pari a quelle di tutti. Tutto ciò che possiamo fare nel piccolo per evitare qualsiasi impatto eccessivo o inutile lo facciamo, ma comunque la nostra casa va a gas, per dire.

A: Anche mangiamo carne, per dire.

Non siete riusciti a rinunciarci?

G: In realtà quella è una questione molto delicata. La soluzione di diventare vegani o almeno vegetariani per sostenere l'ambiente è reale, non è una cazzata, l'impatto ambientale che ha l’industria della carne sull’ecosistema è un fattore enorme, in particolare per quanto riguarda la carne rossa. Detto questo, si può comprare in modo abbastanza sostenibile. Non tutti gli allevamenti sono uguali, secondo me è troppo estremo smettere di mangiare carne perché la carne negli allevamenti intensivi inquinano l'ambiente. Non esistono solo quelli, così come non esiste solo la carne di mucca o di pollo.

Io un po’ in colpa mi ci sento quando mangio carne, voi come la vivete?

G: Noi per andare sempre più verso una scelta sostenibile mangiamo spesso le frattaglie, per dire. A me piacciono, anche se è un po’ che faccio la trippa, però il concetto è quello di mangiare tutta la carne, non solo i tagli migliori. Comunque sì, continuiamo a mangiarla.

Giorgio
Giorgio

Anche perché vivendo a Carpi immagino sia difficile rinunciarci.

G: Pur non essendo nessuno di noi due emiliano.

In effetti tu da quanto vivi là? L’accento pugliese l’hai perso completamente.

G: Mi sono trasferito in Emilia in terza liceo che avevo un fortissimo accento salentino. A Carpi mi prendevano per il culo per come parlavo, quindi per integrarmi sono ho dovuto rimuoverlo da me stesso. È stato qualcosa di molto doloroso e inutile, perché a distanza di anni ti rendi conto che non serve a niente. Poi quando torno giù rispunta fuori, anche a casa io parlo ogni giorno dialetto con i miei.

Di dove sei di preciso?

G: Il mio paese è Carmiano in provincia di Lecce. Quando Gaia ha cantato a Sanremo il pezzo prodotto da me, la Gazzetta del Mezzogiorno ha scritto un articolo al riguardo. Io però all’anagrafe risulto di Galatina, sempre in provincia di Lecce. Ecco, mio nonno ha chiamato alla redazione per correggerli sul comune di provenienza (ride, ndr).

Kaneki tenuto in braccio da Giorgio
Kaneki tenuto in braccio da Giorgio

Voi che rapporto con la vostra terra d’origine?

G: Enorme malinconia ma anche enorme sollievo per averla abbandonata. È un po’ un conflitto perché vivere al Sud non è facile per niente, a nessun livello, ma è comunque molto bello. Sarebbe incredibile se ci fossero le possibilità che ci sono nella Pianura Padana, ma non è così, quindi bisogna arrendersi all’evidenza e alla dura realtà. Mi manca molto, cerco di portarlo nella mia musica, ho fatto anche dei dischi che indagavano sulle musiche del Mediterraneo.

A: Odio il Perù, ma in maniera non consapevole, è qualcosa di viscerale. Sono cresciuto in un ambiente molto cattolico, quindi, per quanto mi manchino le persone, non mi mancano i modi.  D’altro canto, il Sud America in generale ha un tasso di povertà abbastanza alto, una persona con le spalle al muro si sente costretto ad avere fede. Per dire, c’è ancora un grande stigma verso le malattie mentali. Io cerco di trasmettere più le persone in quello che faccio, rispetto alla nazione. Non è un elogio quanto un esporlo.

In Italia la ritrovi questa morale bigotta?

A: Sì, ma qua ci sono arrivato che ormai ero grande, quindi qua ho molto più potere decisionale su quello che faccio. Per me l’Italia è sempre stata casa, anche quando sono tornato in Perù dal 2013 al 2016, per la libertà che ho sentito e per le possibilità che mi sono state offerte. Penso che qualcuno prima o poi cambierà le cose in Sud America, però io non mi sento in grado di farlo. Là ho passato un’infanzia che ho deciso di dimenticare, anche a livello musicale. Quando cammini per la strada senti musica ovunque, io ho cercato di staccarmene ascoltando un sacco di rock e di emo. Questo ritrovamento di sangue e delle mie origini mi ha riportato anche ad apprezzare cose che prima detestavo. A posteriori mi sono reso conto di quanto fossi nella merda senza saperlo, questa cosa ti allontana per forza.

 

Assaggio della papa rellena
Assaggio della papa rellena

C'è qualche luogo a cui si affezionato?

A: Ho cambiato un botto di case, non ho fatto in tempo ad affezionarmi. Mi piace Carpi, penso di essere la prima persona che lo dice. Quando ci torno non ci trovo pace, ma mi piace.

La vostra storia personale si rispecchia nella vostra musica. Voglio dire, c’è un lavoro di integrazione che parte da un discorso autobiografico in cui rimangono saldi i punti di partenza, non è un mischione di generi a caso.

G: È anche abbastanza complesso farlo. Non sempre vengono fuori tutte le anime che vorremmo si manifestassero nei nostri pezzi, per quanto facciamo del nostro meglio e lo facciamo nel modo spero più credibile possibile, ma stiamo ancora cercando esattamente la nostra formula.

Per quanto secondo me abbiate già un’identità ben precisa.

G: Di questo ti ringrazio e secondo noi è un aspetto fondamentale, però non posso dirti che siamo alla forma Super Saiyan. Abbiamo sicuramente trovato dei punti di contatto con musiche apparentemente distanti, ma è stato tutto molto spontaneo. Per dire, anche parlare di emoton come genere è venuto fuori in fase di comunicazione per raccontare veramente cosa stavamo facendo e ci siamo resi conto che si trattava di quello.

A: Però per quel nome dobbiamo ringraziare un nostro amico che, ubriaco in un bar, con l’ultima sinapsi sobria dei suoi neuroni, ci ha donato questa definizione.

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Voi però nei vostri brani non fate politica. Siete a vostro agio nell’esporvi così per una causa?

G: Si può fare politica in mille modi e non credo che parafrasare la musica per forza aiuti a far passare un messaggio. Penso che l’impegno politico riguardi per primi i singoli, da musicista hai un sacco di possibilità di esprimere il tuo pensiero che non siano solo i testi delle tue canzoni. La nostra immagine rimane fortemente politicizzata sui social, però, per dire, non vogliamo diventare i Modena City Ramblers. E lo dico con tutto il rispetto per loro, semplicemente noi ci esponiamo in maniera diversa. E poi, se ci pensi, viviamo in un contesto così pregno di discriminazione per cui anche solo il fatto che Aaron sia peruviano ha un significato politico, purtroppo.

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L'articolo Bautista, amara terra mia di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-06-14 16:00:00

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