Elasi ha imparato a volare senza mai prendere l'aereo

"Campi Elasi", l’EP di esordio di Elisa Massara, è il risultato di una contaminazione sonora portata agli estremi, un inno alla spensieratezza, all’apertura mentale che permette di girare il mondo senza muoversi da Alessandria

Elasi ritratta da Chiara Quadri
Elasi ritratta da Chiara Quadri

Un universo sonoro unico e originale, dove melodie colorate navigano in mari tropicali di beat graffianti e le sperimentazioni digitali s’intrecciano a ritmi etnici ed esotici in un’esplosione di positività: Campi Elasi è l’EP di esordio di Elisa Massara, cantautrice, chitarrista e producer alessandrina. Il titolo del lavoro gioca nell'assonanza tra il moniker dell'artista con i leggendari Campi Elisi, i prati perennemente fioriti situati oltre le Colonne d’Ercole, nelle attuali isole Canarie, dove, nella mitologia romana, dimoravano beate le anime di poeti, eroi e artisti prediletti dagli dei.

Un nome indice di una volontà di rinascita. Sei tracce che attingono ai serbatoi stilistici più disparati: dall’afrobeat nigeriano alla bossa nova, dal funk più sperimentale al jazz giapponese, dalla world music alla house, mixando insieme senza nessuna distinzione St Vincent e Fka Twigs, Blood Orange e JungleElasi ascolta, campiona suoni e ritmi e li ripropone facendoli suoi, rincorrendo le esperienze dei suoi “trip” reali, virtuali e mentali in uno stile unico sperimentale sia sonoramente che esteticamente, capace di creare un mondo parallelo ma coerente, un omologo sonoro del Codex Seraphiniaunus.

Perché il tuo album è arrivato solo adesso?

In effetti lavoro a quest’album da almeno due anni. Vincoli contrattuali, viaggi, corsi di studio hanno continuamente rimandato l’uscita, che è stata ulteriormente rinviata dal lockdown. Campi Elasi doveva uscire ad aprile. Dalla primavera a oggi l’album ha subito una mini-rivoluzione sonora - abbiamo aggiunto degli strumenti, cambiato gli arrangiamenti e tante altre piccole grandi modifiche- ma anche strutturale. La distanza ha riacceso una nuova voglia di collaborare, ha sottolineato il valore della vicinanza. Questa rivoluzione è stata attuata con i miei amici: ad aprile l’album sarebbe uscito con una copertina diversa e metà delle canzoni. Anche il titolo è stato cambiato, quest’album è un nuovo capitolo in cui mi sono potuta esprimere liberamente.

I souvenir citati nell’omonima canzone, invece, sono il lascito musicale di ogni città menzionata?

In realtà il primo significato del souvenir si riferisce a una storia che ho vissuto così intensamente da svuotarmi: perdere la persona alla fine è stato come perdere un souvenir. Non voglio sminuirne il valore, l’importanza sta nel viaggio che abbiamo vissuto insieme, l’esperienza è quel che mi rimarrà, non la calamita che posso perdere durante il trasloco. Questo è il souvenir del testo, nato come un freestyle: la storia è un mix tra la mia storia reale e la storia “del flow”. Sono stata in tutte le città menzionate, ho vissuto, a Maastricht, a Los Angeles, dove ho lavorato in uno studio di registrazione. Sicuramente, anche dal punto di vista sonoro mi sono portata qualche souvenir.

Uno scatto dell'artwork realizzato da Chiara Quadri
Uno scatto dell'artwork realizzato da Chiara Quadri

Quindi, quando componi, è più importante il viaggio fisico o mentale?

Bella domanda. Fortunatamente viviamo in un periodo storico in cui possiamo viaggiare molto anche stando fermi. Di recente ho visto un documentario intitolato Mondo cane che racconta di tutte le usanze strampalate diffuse presso ogni popolazione del mondo. Spesso vado a cercare musica aborigena o tribale su YouTube, così come i canti popolati italiani o quelli dei pastori sardi. Ad esempio, io disegno molto, anche se disegno cose assurde di cui mi vergogno e tengo solo per me. Mi aiuta molto a trovare ispirazione. Viaggiare in fondo cosa vuol dire? Uscire dai propri limiti, confrontarsi con altri mondi… Non servono gli aerei. Viaggiare è una predisposizione mentale.

In quest’ottica, vivere in una città di provincia come Alessandria ti ha aiutato?

Per il tipo di percorso che ho avuto Alessandria è stata fondamentale. Innanzitutto, mi ha conferito questa voglia di evadere, sia fisicamente, viaggiando, che mentalmente, nella ricerca di nuovi stimoli. Anche nascendo a Milano sarei stata così curiosa, ma una città piccola, inevitabilmente, inizia prima a starti stretta. Questo non vuol dire sia una città piatta, una metropoli avrebbe offerto spazi più consoni di una sagra, ma Alessandria proponeva le sue opportunità per esibirsi, per fare gavetta. C’era una scena legata al punk molto fervida, e non era circoscritta esclusivamente al centro sociale. Quando andavo al liceo, nelle discoteche si usava far esibire una band prima del dj set. Per quanto piccola, c’era molta gente che suonava, anche se le cose sono cambiate nel giro di pochi anni.

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Hai già lavorato con musicisti provenienti da tutto il mondo, ma, per il tuo primo album ufficiale, come ti sei mossa?

Due anni fa ho partecipato a un bando per i musicisti under 30 chiamato Ora!X, ho vinto con la proposta di creare una band a distanza per unire esperienze che provenissero dal Mali, dall’India, dal Brasile… Oggi a lavorare in remoto siamo abituati. Per Campi Elasi, invece, lo scheletro degli arrangiamenti elettronici l’ho sempre curato da sola: prima lavoravo più alla chitarra, ora mi si è aperto il mondo della produzione. La fase di scrittura e di creazione della melodia coesistono, in seguito, producer ben più bravi della sottoscritta, hanno rielaborato il sound che avevo messo a punto in cameretta.

Quanto ci è voluto?

Abbiamo avuto due anni, le canzoni sono state modellate col tempo, tranne Supererrore che, al contrario, è stata una vera e propria jam session sulla quale ho scritto il testo improvvisando. È stata la prima volta che mi sono approcciata a un brano come una rapper. In Esplodigodi abbiamo deciso di contattare Mekhak Torosian per inserire nel beat il suono di un duduk, uno strumento tradizionale armeno. È bello trovare il mio nome ai titoli produzione, arrangiamento e scrittura nei credits di ogni mia trattcia. Alla fine è un mio disco solista, ma la realtà che sono sempre stata circondata da una band di produttori.

Ti ispiri a musica da tutto il mondo, ma canti sempre in italiano.

Spendo molto tempo sul testo, molta fatica. Eppure, quando ascolto un pezzo di Tyler The Creator, così come un canto africano, quel che mi colpisce è il ritmo, l’andamento. Se non capisco a pieno il testo me lo vado a cercare, ma la prima emozione è sempre un’altra. Colgo la musica a un livello più viscerale, in Italia, invece, siamo troppo legati alle parole. Non che sia un errore, Tha Supreme fa un lavoro assurdo con l’italiano, diverso da qualsiasi altro interprete, ed è il motivo per cui, pur apprezzandolo, magari non lo capisco a fondo. Compie un lavoro sulla lingua che è molto simile al mio, plasmandola a suo piacimento: a me capita di spostare gli accenti di molte parole per riuscire a far combaciare l’italiano con la metrica. Insomma l’italiano, a mio avviso, ha un grande valore fonetico, ed io cerco di utilizzarlo come un vero e proprio strumento.

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L'articolo Elasi ha imparato a volare senza mai prendere l'aereo di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-10-28 14:09:00

Tag: album

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