Emma Nolde racconta "Toccaterra": "La musica è la migliore espressione che conosca"

La 19enne toscana racconta genesi e significato degli otto brani che compongono il suo disco di debutto, "una collezione di canzoni personalmente necessarie"

Emma Nolde - foto di Aurora Cesari
Emma Nolde - foto di Aurora Cesari

"Ci sono tre date che mi ricorderò sempre", scrive Emma Nolde, cantautrice 19enne toscana che abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del primo singolo, (male): "Il giorno in cui sono nata, l'anno della caduta dell’Impero Romano d'occidente e il 4 settembre 2020, che sarà un po' come il mio secondo compleanno. Quel giorno, infatti, sarà pubblicato il mio primo disco": Toccaterra, otto tracce che trattano tutte di temi intimi e personali, frutto di un labor limae sui testi durato parecchio e di anni di concerti suonati dal vivo.

Pubblicato per Woodworm/Polydor/Universal Music/Locusta booking e prodotto da Renato d’Amico e Andrea Pachetti, l’album nasce dall’urgenza di incidere in musica i propri sentimenti e le proprie emozioni, con un risultato autentico, in cui si intravede tenerezza, ma soprattutto coraggio. Di provare a spogliarsi, attraverso la musica, di alcune paure e di alcuni segreti. E di riuscire, finalmente, a guardare in faccia la realtà.

Toccaterra è un vento forte con cui Emma Nolde si libera e si racconta, ricordandoci come si sta (male) a quell’età, quando per la prima volta e disgraziatamente si cominciano a fare i conti con noi stessi, con la nostra personalità, i nostri gusti, i difetti, e i primi amori – quelli irraggiungibili e disperati, che ti fanno tremare e sognare –, i primi baci, la vergogna, i drammi, le felicità nascoste. E fa un regalo a chi, come lei, quegli anni li vive oggi, ma anche a chi quegli anni li ha vissuti, ma non vuole e non può dimenticarli.

Cover di Toccaterra - Emma Nolde
Cover di Toccaterra - Emma Nolde

I testi sono rivolti sempre a sé stessa e a un "tu" esistente, nel presupposto che questa persona non sappia nulla. "Non se lo immagina minimamente che io stia dedicando queste parole a lei", racconta Emma e, continua: "È stato il mio modo per essere diretta, ma nella sicurezza che quei pensieri, quei ragionamenti, quei timori, quei desideri, non arriveranno altrove". Ma rimarranno intessuti tra i suoni graffiati delle chitarre, la batteria continua e i suoi silenzi improvvisi, che attendono una voce incredibile, piena di aria e di fiducia – potentissima, quando hai 19 anni – nel futuro.

Quindi si Toccaterra, e da qui le cose sono tutte diverse. "Toccaterra, è un imperativo stanco, dico sempre. Un imperativo che avrei avuto bisogno di sentirmi dire e che alla fine mi sono detta da sola: 'Toccaterra, Emma! Guarda la realtà. Abbi il coraggio!'. Ma non ci sono riuscita subito. Amavo, sì, tanto, ma lo facevo da sola", spiega la giovane cantautrice, e continua: "Dove meglio cercare radici, se non toccando terra tanto da sprofondarci, tanto da diventarne una parte? Da qui si inizia, dalla mia voglia di realtà e dalla mia incapacità di guardarla negli occhi".

Dopo tanti anni, Emma Nolde è riuscita a piantare i piedi a terra, ha fatto i conti con i dolori e le paure dell’adolescenza – raccolte in quest’album di debutto, che è "una collezione di canzoni personalmente necessarie" – ed è cresciuta. Ha acquistato una nuova consapevolezza, anche grazie alla musica, "la miglior forma d’espressione che conosca", dice.

"Tra cinque anni spero di conservare le mie debolezze", si augura Emma. "Quando a Fellini chiesero: 'Come farai adesso a mostrare altre parti di te, dopo 8½?', lui rispose: 'Sarà come far vedere lo stesso palazzo gigante, ma con illuminazioni diverse. Sono sempre lo stesso palazzo, ma dentro può cambiare tutto'. Allo stesso modo, io permetterò alla luce di entrare e cambiare il modo in cui riesco a mostrarmi, ma sarò sempre io, debolezze e paure comprese".

Il racconto Track by Track delle otto tracce presenti nell’album di debutto di Emma Nolde, Toccaterra, per capire meglio la genesi e il significato di tutti i brani:

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(male)

Ho già parlato di questo brano, il singolo uscito prima di tutti gli altri. La frase più significativa del testo è "insegnare (male)": il fatto di insegnare presuppone che tu lo faccia (bene), ma nel momento in cui ho scritto questa canzone non avrei saputo farlo nel modo giusto. Avrei saputo insegnare a ballare e a lasciare andare me stessa e gli altri solo in questo modo, solo (male), nient'altro. Per risollevarmi un po’ e alzarmi a un livello in cui riuscivo a non soffocare, allora ho utilizzato per me stessa l’escamotage di insegnare (male). Avrei avuto bisogno che qualcuno lo insegnasse a me, ma va bene così. 

Berlino

In quel momento ero in fissa con Mac Miller e mi ricordo di aver ascoltato un pezzo e aver iniziato a canticchiare su quel beat la melodia di Berlino. Il fatto che mi sentissi un po’ troppo stretta nel posto in cui stavo, mi ha sempre, sempre, sempre inettato il bisogno di lasciarmi andare in un altro posto; il fatto di andare in una città che a livello culturale è percepita come una città in cui tutto è ammesso e concesso, in cui vedi e fai tutto, mi ha ispirata. Mi è sempre arrivata quest’immagine di Berlino, anche se non ci sono mai andata. Vorrei andare lì, in quella città libera, per avere il permesso di fare ciò che vorrei, ma che non riesco a fare qui. Cerco continuamente modi per liberarmi dei miei blocchi e della mia vergogna, anche in modo forzato. Nella canzone dico: "Ti porto a Berlino perché almeno stai tranquilla", ma ero e, a volte sono ancora, solo io il problema.

Emma Nolde live a Cuori Impavidi - Idroscalo di Milano - ph. starfooker
Emma Nolde live a Cuori Impavidi - Idroscalo di Milano - ph. starfooker

C’è un'altra frase che è la sintesi del brano: "Nel centro di Berlino dove le scritte sui muri hanno un senso, non un orientamento". In questa città si ha l'idea che sia tutto molto più ordinato, ma allo stesso tempo, non è così: Berlino è una città tedesca e vuoi o non vuoi vive una realtà in cui si ha la sensazione che sia tutto perfettamente funzionante, almeno nell’immaginario collettivo. La verità è che anche nell’ordine e nel "va bene tutto, tutto è concesso", c’è la possibilità di confondersi, di fare confusione e di perdersi.

Nero ardesia

Ho scritto questa canzone a quindici anni. Ricorda il mio gruppo di amici, che sono le persone da cui ho cominciato per provare ad aprirmi, a raccontarmi e a crescere. A loro ho raccontato più facilmente certe cose. Sono molto amica di queste persone tuttora, ma al tempo – il periodo delle scuole medie –, loro erano importantissimi ed erano il mio punto di riferimento fissi. Erano gli unici che non mi facevano mai sentire fuori posto. Andavamo a Empoli, per poi uscire dal centro della città e passare la serata su un gradino di un ufficio abbandonato, tutti i sabato sera.

Quanto al titolo, faccio davvero fatica a ricordami. Se mi sforzo ho l’immagine di noi in mezzo al niente, in mezzo al buio, un buio pesto che mi rimanda al nero ardesia. Un nero su cui si può scrivere, predisposto a essere riempito. Su quei gradini parlavamo dei nostri piani, di progetti, del futuro: eravamo in mezzo al niente, in mezzo a un nero su cui, però, scrivevamo tutto ciò che avremmo fatto in futuro molto vicino.

Emma Nolde live a Cuori Impavidi - Idroscalo di Milano – ph. starfooker
Emma Nolde live a Cuori Impavidi - Idroscalo di Milano – ph. starfooker

Resta

In questo brano comincio a urlare. È un pezzo importantissimo, che ricorderò per sempre come un traguardo. Lo scrissi una notte, dopo essere riuscita a dire – malissimo – per la prima volta a una persona "forse mi piaci". Sembra una cazzata, ma per me non lo è: ho sbattuto la testa addosso al muro per una settimana. Quella notte, quando sono tornata, ricordo che provai a chiamare tutti i miei amici, ma quando ti serve qualcuno capita sempre che non ci sia nessuno a risponderti, è ovvio. Ero disperata, allora uscì dalle mie dita questo giro con la chitarra. Da lì è partito tutto.

Resta è una canzone che ha avuto un iter complicato, perchè ha assunto tantissime forme diverse durante la sua gestazione. Non a livello testuale, quanto a livello melodico, di tempo – prima era in quattro, poi è diventata in tre –: è cambiata davvero tanto. Ascolterò sempre questa canzone ripensando al momento in cui l’ho scritta e al motivo, e sarà sempre fiera di questa grandissima impresa. Poi, è andata malissimo.

Nella canzone dico di restare, infatti, nel testo dico: "Ho ancora altre cose da raccontarti, mi piacerebbe fare altre esperienze insieme". Può anche rimanere tutto così, può anche essere quasi accantonato, ma ora che ho pronunciato quella frase – quel forse mi piaci – sono libera. 

S-Fiorare

Una canzone piena di speranza – finalmente –. S-Fiorare parte dalla storia dei camperisti di Into The Wild che mi fatto pensare all’amicizia che ho con Renato, il ragazzo con cui suono. 

Parla della tendenza che abbiamo tutti di vedere gli altri luoghi come la soluzione; dire sempre "lì va tutto meglio", come se andare altrove potesse risolvere ciò che non va.

S-Fiorare inteso come "levare i fiori", ma che richiama anche la ciclicità del tempo che scorre – nella seconda strofa –, e anche l’evoluzione naturale della stagione. Nel mezzo, al centro del testo, il fatto che un mio singolo gesto è in grado di congelare le cose, di ghiacciarle, come fa il freddo con l'erba e i fiori d'inverno.

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Sorrisi Viola

Ho scritto questa canzone a quindici anni, durante il periodo di Nero Ardesia. Con i miei amici, eravamo stati in un bar, dove c’era la cameriera di cui parlo nella prima strofa. Lì era ancora più lontano il momento in cui, a diciotto anni, avrei avuto il coraggio di aprirmi con gli altri. Il viola era il colore preferito di questa persona

Ughi

È il soprannome di mia nonna, che si chiama Ughetta (nome incredibile). Lei, come tutte le nonne, è importantissima per me. Una persona molto particolare: dice di non digerire l’acqua, perciò beve di tutto, Coca-Cola, tè, elisir. Ha tantissime fisse, tra cui non prendere treni, perché al ritorno le viene male alla pancia. Sta davvero male. Mia nonna ha perso mio nonno durante il tragitto da casa al mare, e ci sono una serie di significati riferiti a lei in questa canzone. Quando dico "porto i tuoi vestiti e indosso i miei segreti" mi riferisco al fatto che, è vero, ho sempre addosso i suoi vestiti, ma nonostante questo a volte siamo distanti. Oltre a un limite non ci raccontiamo.

Emma Nolde - foto di Aurora Cesari
Emma Nolde - foto di Aurora Cesari

Toccaterra

È "un imperativo stanco", come dico sempre, per dirmi di toccare terra in modo quasi arrendevole. "Non pensare a come cadrai", mi ripeto sempre: "Accetta di cadere di testa e farti male o soprenditi di cadere in piedi e sii felice di questo, ma in qualche modo Toccaterra".

La canzone è un arrivo alla consapevolezza sancisce il momento in cui sono riuscita a dirmi: "okay, basta, ritorniamo con i piedi per terra e guardiamo in faccia la realtà". Il significato è ambivalente, perché nel brano dico di toccare terra non solo a me, ma anche a questa persona. Perché lei la vedo su un piano troppo alto e ho bisogno di vederla accanto per sentirmi tranquilla.

La canzone inizia con una sorta di parlato, in cui dico cose piuttosto intime. Avevo paura di cantare Toccaterra live, perché mi vergognavo di dire apertamente quello che avevo scritto. È certamente il brano che meglio rispecchia il disco a livello di significato complessivo, anche perché ci sono entrambi i punti di vista: io con me e io con l’altra persona.

Questa canzone è un’esortazione, anzi un augurio e una richiesta che faccio all’altra persona. Il brano che più mi rende fiera, perché sono sicura di essere stata specifica, cosa che provo sempre a fare, ma a volte non ci riesco.

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L'articolo Emma Nolde racconta "Toccaterra": "La musica è la migliore espressione che conosca" di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2020-09-04 13:21:00

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