Investire sulla cultura è un affare per tutti: l'Emilia e il caso "Viralissima"

Fondi per la musica dal vivo, autonomia per i beni culturali. Questa è la ricetta di Mauro Felicori, che da assessore alla Cultura dell'Emilia Romagna vuole replicare i successi avuti alla Reggia di Caserta. Partendo da una rassegna sonora in streaming

Gli Skiantos live per "Viralissima"
Gli Skiantos live per "Viralissima"
16/07/2020 - 10:51 Scritto da Dario Falcini

Il nome – parere del tutto personale – è molto brutto, l'operazione, invece, da levarsi il cappello. Si chiama "Viralissima" ed è, fino a questo momento, l'iniziativa politica più ambiziosa e meglio riuscita per dare sostegno e visibilità al mondo della musica e ai suoi lavoratori, messi in enorme difficoltà dal virus e dalle limitazioni che stiamo sperimentando. 

A organizzarla è stato l'assessorato alla Cultura e paesaggio della Regione Emilia-Romagna e si tratta di una rassegna musicale di un mese – che fa seguito all'iniziativa #laculturanonsiferma, che durante il lockdown aveva totalizzato 900mila accessi, per un calendario di dirette streaming con centinaia di artisti coinvolti – a cui assistere gratuitamente da casa. 

Funziona così: dal 1 al 28 luglio ogni sera alle 21 su LepidaTV – canale tematico creato dalla Regione (a sua volta un progetto molto interessante!), che si può vedere per chi vive sul territorio al 118 del digitale terrestre e al tasto 5118 di Sky – e poi il giorno dopo dalle 14, su YouTube e sulla pagina Facebook di ER Creativa, va in onda un live di un artista "locale" – cioè residente in Emilia –, registrato negli scorsi mesi in un club della regione.

I bolognesi Ofeliadorme a 'Viralissima'
I bolognesi Ofeliadorme a 'Viralissima'

I live sono girati molto bene, con quattro troupe all'opera e montaggi decisamente non da "tv locale" (con tutto il rispetto). I concerti sono avvenuti in spazi storici del territorio: Torrione (Ferrara), Locomotiv (Bologna), Bronson (Ravenna), Centro Musica (Modena), Estragon (Bologna), Vidia (Cesena), Colombofili (Parma).

Ma soprattutto, sono di primo piano gli artisti coinvolti. Qua la lista, in ordine alfabetico: Alfio Antico, Altre di B, Beatrice Antolini, BMA 2020 Showcase, Clever Square, Confusional Quartet, Dente, Don Antonio (Antonio Gramentieri), ERJ Orchestra, Giardini di Mirò, Godblesscomputer, Her Skin, Inoki, John De Leo, Joycut, Julie’s Haircut, La Metralli, Laura AgnusDei, Mariposa, Massimo Tagliata, Massimo Volume, Massimo Zamboni, Modena City Ramblers, Moder, Murubutu, Musicaperbambini, Ofeliadorme, Oopooiopoi (Vincenzo vasi, Valeria Sturba), Rares, Sid, Skiantos+Nevruz, Teo Ciavarella, Tiziano Popoli.

Altre di B a 'Viralissima'
Altre di B a 'Viralissima'

"Viralissima" non è un'iniziativa simbolica, ci tengono a specificare i promotori, ma serve anzitutto a dare materialmente respiro a un settore un po' più che in affanno. Ce la siamo fatta raccontare dall'ideatore Mauro Felicori, che di cultura a Bologna (e dell'impegno e dell'intervento del pubblico in questo ambito) si occupa da parecchio.

Bolognese, classe 1952, è diventato negli anni '80 funzionario del Comune di Bologna, per cui si è occupato prima di politiche giovanili e poi di quelle culturali. Nel frattempo ha insegna all'Alma Mater cittadina Gestione e organizzazione delle imprese culturali. Ha collaborato con diversi enti – tra cui la Fondazione Ravello –, e negli ultimi anni il suo nome tra gli addetti ai lavori ha circolato parecchio per via degli straordinari risultati incassati dal 2015 al 2018 come direttore della Reggia di Caserta, perla del patrimonio storico e artistico in Italia. 

Felicori ha lasciato l'incarico dopo tre anni circa per raggiunti limiti d'età con 2 milioni di euro di liquidità in cassa e il più che raddoppio del numero dei visitatori, passati dai 400 mila del 2014 ai 900 mila del 2018. Un caso portato d'esempio anche fuori dall'Italia, per dimostrare che con l'arte si può mangiare eccome.

Oggi che, causa Covid-19 tutto il mondo della cultura, e la musica in particolare – per lo meno, perché più da vicino ci riguarda – vedono messo in discussione non il proprio futuro, ma il proprio presente, abbiamo voluto coinvolgerlo in una riflessione larga. L'intervista segue quella all'assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Dal Corno, altre ne saranno realizzate prossimamente.   

L'assessore Mauro Felicori
L'assessore Mauro Felicori

L'ho sentita dire più volte, anche quando non andava di moda, "dobbiamo imparare a convivere con il virus". Vi state trovando bene?

Be', ci sono compagni migliori... Però, se come Regione Emilia Romagna siamo stati tra i primi a chiudere, io, propria per via del ragionamento che riportava lei, ho insistito perché fossiamo anche tra i primi a "riaprire la cultura", cercando di realizzare protocolli che favorissero la ripresa delle attività. La prima preoccupazione è stata la tutela dei lavoratori “atipici” – molto numerosi in questo settore –, ora ci poniamo sempre più seriamente quella dei luoghi della cultura. 

Che, al momento, non paiono essere nelle condizioni di non fallire...

La mia posizione è questa: siccome il tema del distanziamento è stato superato, ad esempio, nei treni e negli aerei, dobbiamo ottenere che questi luoghi, penso soprattutto ai teatri, possano riaprire sostituendo il distanziamento con le mascherine. Fare proseguire l'attività con metà o un terzo della capienza per molte realtà è semplicemente infattibile. 

In ambito musicale avete messo in piedi "Viralissima", che mi pare stia funzionando bene. Come nasce? 

Nasce dall'idea di non fermare la musica, e l'economia che gli sta intorno. Chi ha lavorato è stato pagato. Il provvedimento ci ha permesso di fare un'azione di sostegno a favore di trenta artisti e band, cui vanno aggiunti i locali coinvolti – e si sa che tipo di difficoltà stiano affrontando –, e i tanti professionisti reclutati, dai fonici alle quattro troupe di cui ci siamo serviti. 

I vari live stanno andando in onda la sera sulla vostra tv. Lei chi ha seguito?

Cerco di collegarmi appena possibile, e di guardare una ventina di minuti di ciascun concerto. Sta venendo fuori che l’Emilia Romagna ha una scena musicale ricchissima e piena di diversificazione. L'operazione sta venendo coi fiocchi, me lo lasci dire. 

Sì, ma dei nomi...

Allora dico Murubutu, perché il suo "rap colto" mi ha colpito, e una giovane artista modenese, Her Skin

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Milano è, e rimarrà, la capitale del music business, ma è già entrata in una crisi spaventosa. Cosa si aspetta per Bologna? 

Penso che sarà lunga uscire dalla crisi, ma noi dobbiamo mantenere inalterate le nostre ambizioni. Questa regione è un grande vivaio di talenti, da sempre, e deve rimanere il terzo polo dell’industria culturale in Italia dopo Roma e Milano. 

Conta di riuscirci grazie al digitale?

Non solo quello, abbiamo un progetto per fare del Campovolo di Reggio Emilia la nostra grande arena dei live. Però di certo pensiamo che le piattaforme digitali possano essere un fattore di sostegno e propulsione per il settore, soprattutto per chi rischia la marginalità. 

Molti, al contrario, sostengono che l'assuefazione a dirette Instagram e live in streaming di questi mesi possa farci dimenticare che, con tutte le garanzie di sicurezza, l'obiettivo è una vera ed effettiva ripresa dell'attività live. 

La mia idea è che il digitale – con le storture e la tendenza a creare oligopoli che conosciamo bene – sia una grande occasione. In questi mesi noi lo abbiamo visto con il cinema: non potendolo proiettare in sala, abbiamo messo su MYmovies un documentario sulla Linea Gotica a tre euro e in pochi giorni abbiamo fatto 10mila spettatori paganti. Poi c'è il caso del Biografilm, festival del documentario bolognese, che quest'anno, per forza di cose, abbiamo dovuto fare in streaming. I numeri sono stati più che positivi, soprattutto al di fuori dal territorio regionale. Mediamente un documentario della rassegna viene visto da 400 persone: tutti gli amici del regista, un po' di curiosi, gli appassionati del genere. Quest'anno i film sono stati visti da migliaia di persone, ovunque. Abbiamo allargato il "mercato", in un genere non esattamente per tutti.

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Sì, ma manca l'esperienza fisica.

Ma quando l'abbiamo avuta, per la finale dell'evento, è andata molto bene: la sala era piena. Non penso che lo streaming vada a scapito della presenza fisica.

Il modello è replicabile anche ad altri ambiti?

Porto un altro caso. Nei mesi del lockdown abbiamo triplicato accessi e download gratuiti dalle biblioteche digitali. A giugno, a strutture riaperte, sono comunque stati il doppio. Pensiamo a cosa potranno diventare le biblioteche quando il grosso del personale non sarà più impegnato a portare avanti e indietro i libri, e si libereranno energie per fare diventare davvero quei posti dei grandi centri dell’educazione permanente, dell’incontro tra culture, della socialità.

Rimane, mi pare, un problema di natura economica per il sistema, visto che nel digitale sono in pochi ad arricchirsi o anche solo ad aver trovato la quadra. Se nel pubblico non è una questione che preoccupi granché, per i tanti privati che lavorano con la musica, invece, sì.

Ma io sono convinto che il digitale possa mantenersi da solo. E poi diciamo le cose come stanno: i locali in cui si suona la musica “per giovani” – pop, rock, indie, rap o quello che volete –, già prima dell’epidemia erano pochissimi. Quando avevo vent'anni io si suonava dappertutto, e si andava nei locali per la reputazione del luogo, senza magari sapere chi suonasse, solo per la fiducia nei confronti di chi faceva la selezione. Ora è diverso, e bisogna fare i conti con la realtà.

Quindi che fare? L'Estragon, la storia della musica a Bologna, ha fatto una raccolta fondi per sopravvivere, fortunatamente di successo. A Milano in tanti, invece, stanno chiudendo. 

L’Estragon, non a caso, è uno dei locali in cui abbiamo fatto le riprese di “Viralissima”, e io ho sostenuto privatamente e pubblicamente la raccolta fondi. Ci sono diversi modi per aiutare questi locali e li studieremo, nel nuovo mandato regionale il tema sarà affrontato. 

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Ha già qualche idea?

Una molto semplice: alla musica dal vivo vanno dati più soldi. Produrla costa molto, e non c’è nessun divieto che impedisca di contribuire economicamente alla causa. La Scala di Milano può mettere in campo politiche virtuose che le permettano di risparmiare qualche soldo sul bilancio precedente, ma nella pratica, rispetto alla necessità di mandare su un palco 200 persone e altrettante dietro di esso, questo non cambia nulla. Se il rapporto tra chi guarda e chi mette in opera è, come spesso avviene, uno a due, come si può pensare alla sostenibilità economica come valore assoluto?

Noi, però, parlavamo dell'Estragon...

Tutto dipende da cosa si fa. Certo che l'Estragon deve rimanere sul mercato, ma anche lui, quando realizza qualcosa di rilevante socialmente e culturalmente, merita quell’attenzione che le istituzioni devono dare a chi crea valore sul territorio. Se, ad esempio, lì viene organizzata una rassegna di artisti emiliani emergenti, io ho tutto l'interesse a contribuire, e non penserei mai che devono cavarsela da soli coi ticket.

Chi deve dare materialmente questi soldi?

Anzitutto i Comuni, e poi, a salire, gli altri enti. Allo stesso tempo lo Stato dovrebbe creare le condizioni perché certe iniziative si reggano in piedi, facendo le leggi giuste e creando infrastrutture e piattaforme utili alla causa. Il pubblico deve incoraggiare e responsabilizzare l'iniziativa privata, non deprimerla con disinteresse o sacche di assistenzialismo. Tenendo sempre presente che il privato non è solo l’imprenditore, ma anche l’associazione, il comitato di base, la cooperativa: ognuno è privato a modo suo.

Andiamo però così incontro – per continuare a giocare al pessimista contro l'ottimista – a nuovi rischi. Che solo chi ha alle spalle istituzioni attente e "liquide" possa continuare a fare cultura. Che poi, a pensarci bene, forse è già così...

Io ho una concezione del sistema pubblico come complementare al sistema delle economie aperte: il primo deve limitarsi a fare quello che il mercato da solo non riesce a fare. Ai miei studenti dico sempre: se Bob Dylan non ha nessun bisogno delle istituzioni pubbliche, Stockhausen sì. Non è una questione di qualità, né di cultura alta o bassa, semplicemente le istituzioni per conto della collettività devono intervenire quando c'è il rischio di perdere qualcosa di culturalmente importante. Rischi ce ne sono parecchi, ma io tendo a pensare sempre che li supereremo. 

Anche i centri sociali, che di cultura ne creano eccome, vanno sostenuti in questo periodo?

Alcuni di loro hanno svolto un ruolo formidabile come incubatori di cultura, tralasciando l’aspetto politico. Negli ultimi anni abbiamo visto un processo di chiusure significativo, io penso invece che in certi casi avrebbero bisogno di spazi adatti per fare al meglio quello che fanno bene. Io non auspico che ci sia un’occupazione, ma di certo sono favorevole a lavorare per dare vita ad accordi, a una pacificazione, con chi a Bologna ha creato cultura. 

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Molti, almeno fuori da Bologna, hanno scoperto il suo nome per via dei suoi successi come direttore della Reggia di Caserta. Per molti la "cultura" è qualcosa che – se va bene – va conservata per questioni di storia e identità, ma è ontologicamente "a perdere". Come si può, invece, farla funzionare, addirittura fruttare?

Se prima le ho detto che alla musica dal vivo servono soldi, per i beni culturali serve solo una cosa: autonomia. I musei, i siti archeologici e le altre bellezze della storia possono produrre entrate economiche a livelli che non possiamo nemmeno immaginare. Con una gestione intelligente possono crescere tutti quanti del 20 percento all’anno: gestirli così male oggi per un Paese che ha il 20% d’inflazione significa tenere un sacco di soldi sotto il materasso. Alla Reggia di Caserta abbiamo incassato alcuni milioni di euro all’anno rispetto al passato: questo moltiplicato per i mille musei che abbiamo in Italia, ognuno con la sua taglia e le sue attrazioni, vorrebbe dire tanti tanti soldi. Senza anticipare un euro: serve solo il buon governo e la possibilità di gestire le strutture in autonomia. 

Farete "Viralissima 2" dal vivo?

Vorrei farla, sì.

Se volete la facciamo assieme.

Perché no? Ho il vostro numero, e voi avete il mio. 

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L'articolo Investire sulla cultura è un affare per tutti: l'Emilia e il caso "Viralissima" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-07-16 10:51:00

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