L'hip hop, la libertà e la "sindrome di Claudia Koll": Neffa si racconta

Leggenda hip hop – "ma più a parole che nei fatti" – ed eterno precursore dei suoni "black" in Italia, Giovanni Pellino torna con un singolo e un disco tutto in napoletano. Mentre gli davano del "venduto", lui ha rinunciato a ogni cosa pur di non diventare ciò che gli altri avevano deciso per lui

Neffa è tornato!!!
Neffa è tornato!!!

Il 12 febbraio esce per la rediviva Numero Uno – storica etichetta che ha rivoluzionato il suono in Italia – Aggio perzo 'o suonno, il nuovo singolo di Neffa che arriva dopo 6 anni di silenzio discografico, e siccome non vi si può nascondere nulla, è in napoletano. Prodotto da TY1, col feat. di Coez che rappa, ma l'anima vera e propria è quella del cantante Giovanni Pellino, classe 1967, nato in Campania, che si impossessa delle proprie radici e che, contemporaneamente, viene risucchiato da questo vortice creativo in cui, dopo tanto tempo, inizia a scrivere in napoletano e non si ferma più. Perché dopo il singolo uscirà parecchia altra musica. 

"Io non preparo neanche più i testi, metto su la base e canto, non ho cose scritte a matita da qualche parte, vado direttamente a vernice. Ho lavorato su più canzoni contemporaneamente, nel mio studio casalingo, le rinominavo G1, G2 a seconda dello stadio giornaliero a cui erano arrivate. Già al secondo giorno erano belle avanti come preproduzione. Ne ho scritte 30 per metterne poi giù 12 e in quel momento, se le cose non venivano da sole, non mi mettevo troppo a pensare".

La copertina del nuovo singolo
La copertina del nuovo singolo

Al telefono ho Neffa, che mi parla di questo suo nuovo disco in lingua napoletana che uscirà in primavera, ed (da quello che abbiamo avuto modo di ascoltare) è super figo. Musica molto contemporanea, aperta ai nuovi suoni, di uno di quelli che sembra abbia già vissuto mille vite artistiche. Da batterista hardcore metal coi Negazione nel 1990 a precursore dell'hip hop con Isola Posse All Star, a leggenda urbana coi Sangue Misto, alla carriera solista, ma ora ci arriviamo.  

"Il processo di cantare in napoletano è stato al di fuori della mia volontà", spiega. "Non so dirti se il mio subconscio avesse avuto voglia di fare qualcosa di nuovo o di napoletano, so solo che quando sono uscite queste canzoni, una dopo l'altra, alla quarta ho pensato 'qui sta succedendo qualcosa'. Uscivano da sole".

Gli domando del perché di Coez, mi risponde che non lo conosceva prima, che è di un'altra generazione rispetto alla sua, di quelli che iniziavano quando lui smetteva, ma ha amato il suo rap. La parola rap è uscita fuori, quasi da sola e si sa, con Neffa una domanda sul rap ci scappa sempre. Parliamo di quello odierno italiano.

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"Ho notato che il rap è esattamente uguale a prima, ha dentro di sé un sacco di matrici diverse: quella tradizionalista, quella hardcore, quella radiofonica, cambiano solo le proporzioni. Se si sente dire oggi che il rap ha una deriva molto commerciale, è più che probabile che da un'altra parte stia covando un rap di natura opposta, e più prospera una parte, più prospera anche l'altra. In un'altra epoca nessuno avrebbe fatto dei numeri se non avesse messo abbastanza contenuti culturali o d'ispirazione. Mi trovo bene con tutti i rap del mondo basta che mi facciano scattare un interesse. Per me tutto quello che riguarda le forme di edonismo, soldi, vestiti, non mi conquista". 

Quest'anno tra l'altro sono 25 anni da Aspettando il sole, il singolo rap di maggior successo di Neffa feat. Giuliano Palma, un pezzo che ha toccato i cuori della MTV Generation, che parlava di amore in modo decisamente inusuale per il tempo: "Proprio in quel tempo lì capitò uno strano allineamento di astri che fece piacere quel pezzo, non commercialissimo, anche ai quattro snob che facevano la festa in piscina. Era trans hip-hop, era un po' una moda, aveva airplay da canzone pop".

Gli faccio notare che potrebbe essere il precursore di un certo modo di fare urban pop oggi, ma non ci sta: "No, mi sembra un esercizio di piegamento, se mi dici che il cantato che incontra l'hip-hop diventa urban sono d'accordo, ma quella era anche l'epoca di Quelli che benpensano di Frankie Hi-Nrg. Molti mi dicono che Aspettando il sole ha segnato un'era, ma se vai a vedere i numeri, sono un decimo rispetto ad altre canzoni hip hop dello stesso periodo, quindi non ho mai capito quale fosse la verità". 

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Gli spiego la mia, gli parlo della balotta provinciale, di quanto un pezzo come il suo ci avesse aperto un mondo e di come ce lo avesse aperto, in altro modo, coi Sangue Misto, che da alcuni anni sono tornati di culto e vengono idolatrati anche dai ragazzini che, nei primi anni '90, non erano neanche al mondo. Pesto una merda niente male, perché Neffa non ha granché voglia di parlare del passato, e umanamente lo capisco bene, vista la recente ispirazione e le nuove canzoni.

"Guarda, non è facile essere uno alla ricerca di una verità artistica, mentre guarda in un punto e tutti gli dicono di guardare in un altro", mi dice. Nel momento in cui mi sono uscite le canzoni mi sono detto: faccio la prostitutio, continuo a fare il rap e poi a casa mi masturbo con le mie canzoni soul oppure mi dico 'se le persone continueranno a seguirmi è perché gli ho dato Giovanni, la mia verità profonda'?. Questa cosa me la si fa pagare in continuazione. È la sindrome di Claudia Koll, che dal soft porno scopre Gesù ma la gente gli ricorderà sempre di quel film. Non lo trovo scandaloso, mi va bene, sono adulto e so come vanno le cose, ma una roba così vera e profonda come il disco che ho appena fatto, non la facevo da una vita".

Ci chiariamo un attimo, gli dico che non l'avevo mai intervistato prima ed era troppo ghiotta l'occasione di parlare di cose che hanno formato il me nei tardi '90s, immerso nella provincia più noiosa del mondo con la cassetta originale di SXM nel walkman e Piglia male come salvagente: "Che poi i Sangue Misto hanno venduto solo 6 -7000 dischi, se al tempo andavamo da una casa discografica, ci avrebbero detto 'prima fate le pulizie, poi forse vi lasciamo cadere tre monete per fare un disco'. Tutta questa idolatria alla fine è più a parole che nei fatti".

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E continua: "Questa cosa ci unisce senza che io e te ci conosciamo, ma per me non è facile. Se sei una prostitutio è tutto semplice, la mia carriera non ha fatto di me una star ma un artigiano, e l'ho anche scelto in nome della libertà espressiva. In questo momento io ero uno che non necessariamente vedeva nel proprio futuro altri dischi, e il non avere un seguito numerosissimo ha anche i suoi vantaggi: nessuno mi aspetta o mi mette pressione. È nel periodo in cui facevo pace con tutto il percorso, e improvvisamente mi sono uscite le canzoni".

Beh, per me il Neffa cantante da dato il la anche a tante storie ben più attuali, che mischiano l'urban e il funk, l'r'n'b, come Frah QuintaleBlanco o Venerus: "Il mio essere un po' isolato non mi aveva fatto capire questa cosa che sto intuendo, e cioé che il passaggio che ho fatto prima di tanti dal rap alla canzone, molto doloroso, non è stato preso bene diciamo (ride n.d.r.), per una generazione oltre la mia è diventato una cosa a cui guardare, e sono contento di aver ispirato una generazione con cui non ho parlato direttamente, dei ragazzini in confronto a me. Vado fiero del mio percorso, di pezzi come Il mondo nuovo o Prima di andare via. Tu dimmi quanti esempi di funky in italiano ci sono che non siano ridicoli? Anche qui, però, per un napoletano è leggermente meno difficile. È sicuro che a Napoli c'è un po' più d'America che altrove".

Parliamo un po' di musica napoletana, da Carosone a Pino Daniele, fino a Nu Guinea, che reputa stilosissimi: "Tanti anni fa, in uno di quei periodi che mi ricordo molto fumée, capitai in un locale a Napoli e c'era un gruppo progressive fusion che spaccava. Sono contento del nuovo percorso della musica partenopea. D'altra parte Napoli è stata la roccaforte dell'esercito americano per molto tempo, nei negozi di dischi negli anni '80 vedevi un sacco di vinili che non si trovavano altrove".

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Mi incuriosisce la produzione di questo disco nuovo, e Neffa mi dice: "È partito tutto dal passato. Ecco, vedi, alla fine ci ritorno io al passato, sono costantemente con un piede nel passato e uno nel futuro, spero di avere le gambe lunghe (ride, ndr). Mi sono ritrovato in una di quelle situazioni in cui la musica esce da sola, ho imparato a riconoscere questa situazione dai 35 anni in poi, prima non me ne rendevo conto. Io lo chiamo 'essere aperto', in quei periodi la musica mi dice delle cose e basta che senta un suono che faccio una canzone. L'ultima volta l'avevo avuta nell'estate 2012, quando ho scritto Molto calmo, Dove sei. Ho avuto un mese di questo".

E continua: "Per me essere aperti è molto stancante: dormo poco, non mi fermo mai, faccio 16 ore di computer al giorno, mangio in piedi, non posso fare altro. Più diventi vintage e più è fisicamente provante. Sai, stare lì a mixare per 15 giorni il volumino che poi cambi, fino a che sei distrutto. Stavolta, invece di soffermarmi su un pezzo singolo per poi produrlo, ne facevo partire un altro. In questo modo ho scritto un sacco, e poi grazie a Rocco Hunt ho conosciuto Valerio Nazo, suo collaboratore storico, a cui ho dato le canzoni che erano già molto avanti. Ho affidato a lui i rinforzi di bassi e batterie, mi sembra suoni bene".

Va bene, il singolo sta per uscire, il disco uscirà tra qualche mese, ma questa del napoletano è una parentesi o il nuovo corso di Neffa? "La storia del napoletano è strana: prima mi ha preso alla sprovvista, poi sentivo che la mia voce era più forte così e mi ci sono buttato, non ho mai detto 'ora proviamo in italiano', ho lasciato fluire tutto. Non mi era mai successo in vita mia, dopo due mesi di essere aperto sono sderenato, tanto bello ma mi ha anche spaccato l'anima, ero strano. Lo rifarei, ma è stato una specie di regalo della vita. A livello creativo mi ha cambiato definitivamente, da allora scrivo sempre, ma mi sono detto che se continuavo in napoletano, avrei avuto tante, troppe canzoni che non avrei potuto pubblicare e che rischiano di rimanere qui e farmi male, quindi ho dovuto un po' disintossicarmi". 

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E ancora: "Mi viene in mente una puntata di South Park in cui Cartman vuole mettere su una band di Christian Rock e chiama Token Black, l'unico bambino nero chiedendogli di suonare il basso perché è nero. Lui risponde che è offensivo, è uno stereotipo. Poi parte, suona da dio, guarda in camera e dice 'Damn!'. Non può farne a meno, capisci? Ecco, quando ho riniziato a scrivere di nuovo in italiano non è stato facile. Allora ho fatto un esperimento e ho riprovato a scrivere in napoletano. Nel giro di poche ore avevo giò una nuova canzone. 'Damn!', ho detto!".

Facciamo due parole sul covid, che vuoi non vuoi di questi tempi è l'argomento principe di ogni conversazione, e mi confessa che questa cosa lo ha spaventato un bel po', perché i suoi polmoni ne hanno visto di fumo e questo giro non se lo farebbero volentieri, quindi su come portare in tour il suo futuro album, non c'ha ancora pensato davvero. 

"Ho bisogno che il mondo stia bene per poter fare musica, non sono di quelli che andavano in studio tranquilli durante i mesi peggiori della pandemia, ci sono andato un po' in paranoia. In questo periodo, tutto quello che posso fare smart, senza spostarmi, ha più senso. Pensa che, a parte la mia ultima apparizione a Sanremo del 2016, per la quale non trovo aggettivi se non allucinogena, il mio ultimo spettacolo dal vivo risale all'estate 2015. Sono passati sei anni, è tanto tempo che non vado più davanti a una personcina a cantare, perché avevo voglia di stare in disparte".

Non dev'essere per niente facile stare sotto i riflettori quando non hai voglia o energia, perché la musica è anche un lavoro, ma non solo: "Per essere sempre, tra mille virgolette, famosi, devi avere delle doti che forse a me un po' mancano, mi piace stare un po' scazzato, che mi fa sembrare un po' quello che se la tira, e invece sto meglio quando siamo tutti alla pari. A me piace inventare la musica e quando scrivo una canzone che sembra scritta da uno più bravo di me, mi sento una persona migliore. Mi interessa continuare finché avrò delle verità profonde da cercare, più che da dare, e questo disco nuovo m'ha dato emozioni che non pensavo di non poter provare più. Forse bisognerebbe essere più equilibrati, ma io non riesco, da sempre prendo le onde". 

Bello prendere le onde, penso, che quel che è stato è già passato e mò il passato se lo tiene, diceva il poeta. E buona navigata a Neffa.

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L'articolo L'hip hop, la libertà e la "sindrome di Claudia Koll": Neffa si racconta di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-02-09 17:07:00

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