Nto e l'eterno culto del rap napoletano

Otto anni fa lo scioglimento dei Co'Sang, poi la colonna sonora di "Gomorra", l'addio alla sua città, poi rientrato per questioni di cuore. E ora un disco come "Nevada", per tornare a investire su qualcosa

Nto, foto stampa
Nto, foto stampa

Il culto di San Gennaro, a Napoli, è alimentato da una propensione naturale dei suoi cittadini per l'idolatria (pure un po' pagana). Esempi se ne trovano ovunque, da Forcella in giù. I napoletani sono persone dal cuore aperto, pronti a donare tutto, ma fieri delle proprie tradizioni, e, per questo, difficili da accontentare, pronti a trasformare l’amore in qualcosa di simile all’avversione per il tradimento ricevuto. Di queste cose la musica napoletana ha sempre cantato, quella tradizionale, il pop e oggi il rap, il nuovo genere eletto (anche) di questa terra. A 8 anni di distanza dallo scioglimento con i Co’Sang, la storia del genere in Campania, abbiamo incontrato Nto - metà del duo insieme a Luchè - per farci raccontare Nevada, il suo primo album sotto una major, uscito negli scorsi giorni, con cui prosegue il suo percorso solista che lo ha già portato a successi come Nuje Vulimme Na Speranza, sigla di Gomorra - La serie.

Napoli, sempre Napoli al centro di tutto. Il cordone non si spezzerà mai?

Ho preso in considerazione l’ipotesi di trasferirmi qualche anno fa, ma, per ragioni famigliari ancor prima che lavorative, ho preferito rimanere a Napoli. Non rimpiango nulla, Napoli è una città che mi ha dato tanto, mi ha dato tutto. Credo sia una delle città più creative del mondo, può vantare una delle scene più fervide d’Italia: musica, ma anche arte, cinema e moda. Quel che manca a Napoli è il network, le strutture che possano permettere ai nostri creativi di rimanere in città. Credo sia un discorso più ampio, che include tutta la nazione: siamo pieni di bellezze, ma non siamo mai stati capaci di valorizzarle.

Come si passa da Napoli al Nevada?

Volevo trovare un corrispettivo tangibile al mio stato d’animo. Cosa c’è di più fisico di un luogo? Il Nevada richiama subito dei concetti forti, il deserto è uno specchio sincero della realtà. Las Vegas è una cattedrale costruita in mezzo al nulla che ci circonda, la capitale del divertimento, ma anche della finzione. Quest’album è imbastito sul parallelismo tra questa visione e il mio pensiero sulla società attuale. È un’idea che abbraccia tanti concetti, ho provato a trattarli di canzone in canzone. Siamo nell’epoca in cui s’investe nel nulla.

Ci sei mai stato?

No. Ma il video con Speranza è un omaggio a Paura e delirio a Las Vegas. Pur non essendoci mai stato, è un immaginario che sentivo famigliare.

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Perché l'immaginario del cinema è sempre così importante per la tua musica?

Guarda vorrei dirti di no, ma in realtà è proprio così. Guarda anche il video con Clemente: quello di Nevada, a differenza di quello di Salut, non è una citazione diretta, ma ci sono diverse citazioni sparse. L’ha girato un ragazzo di Napoli molto giovane che ha prodotto anche i video di Rocco Hunt. Ho avuto la fortuna di crescere con amici che hanno frequentato l’accademia di belle arti: l’accademia di Napoli è molto rinomata, ci studiano tantissimi ragazzi che vengono dall’estero. Di sicuro queste conoscenze hanno influito sul mio percorso estetico. La scena cinematografica a Napoli è moto fervida. Come dicevamo in apertura, con un po’ di network, Napoli sarebbe la New York del Mediterraneo.

Ti vedremo mai nei panni del regista?

Sono stato molto colpito da Atlanta, con Childish Gambino, una serie pazzesca non solo per la storia, anche a livello di regia e inquadrature. In un film, o comunque in un video, puoi comunicare tanti concetti non facilmente trasmissibili con le canzoni. Non pretendo una storia sui Co’Sang, ma le ambientazioni di Napoli per un racconto del genere sarebbero magnifiche. Grazie anche ai diritti di Gomorra posso permettermi di fare musica senza pressioni, mantenendo un profilo più basso, ma molta più credibilità. Più che il regista, potessi permettermelo, scriverei solamente colonne sonore. Nessuna pressione di mercato e massima credibilità artistica. Capito, diventerei come Ennio Morricone (ride).

Speranza, Clementino. Ti manca lavorare in coppia?

Mi piace collaborare. Quello con Clementino è un featuring collaudato. Ci tenevo fosse nell’album, abbiamo cercato di fare una cosa più emozionale, diversa. Gianluca Brugnano, il produttore del pezzo, mi ha aiutato a sviluppare questa idea componendo il giro di chitarra. Molto evocativo. Speranza, invece, lo conoscevo prima che entrassimo entrambi in major. È capitato che aprisse dei miei concerti a Caserta ,quando non era ancora così affermato. Ci frequentiamo da anni, questo featuring era una promessa che c’eravamo fatti.

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Come vivi questo periodo della musica napoletana?

C’è il rap, c’è la trap. Clementino, Rocco Hunt, Livio Cori. Liberato ha messo in atto un’operazione artistica sulla musica napoletana pazzesca. Da qualche anno è presente una giovanissima scena indie. Roma e Napoli, in questo momento credo, siano le città musicalmente più vive d’Italia. A Roma, in particolare, con l’indie hanno creato qualcosa di gigantesco. Ascolto molta musica italiana al di fuori dal rap. Nell’album ci sono Enzo Avitabile (con cui aveva già collaborato qui, e che, soprattutto, è suo zio) e Nina Zilli. Spero questa realtà possa essere percepita dall’esterno, è necessario che Napoli esca dagli stereotipi che la relegano esclusivamente al neomelodico e al gangsta rap.

A proposito di stereotipi gangsta, che ne pensi della FSK, tuoi "vicini" di casa.

Ora, io Taxi B lo seguo su Instagram, c’è mega rispetto. Oltre le apparenze, credo la FSK artisticamente abbia veramente realizzato qualcosa di notevole. Portato qualcosa di diverso. Non mi riferisco all’immagine, musicalmente sono qualcosa di unico al mondo, Taxi e Greg Willen hanno melodie e sound veramente innovativi. A mio avviso sono un fenomeno vero, al di là della componente di promozione discutibile. Su quello parliamone, anche a me capita di trattare certi argomenti. Ma parlo ai trentacinquenni, loro anche a ragazzini di 12 anni. Danno notorietà ad atteggiamenti che si rivelano deleteri, quando a utilizzarli sono personaggi che non hanno le loro capacità.

Negli ultimi anni l’immaginario del rap e delle serie televisive si è praticamente sovrapposto. Componendo la colonna sonora di Gomorra, non hai avuto paura di alimentare tu stesso questi stereotipi?

Infatti non è stato facile. Dopo un iniziale clamore, Gomorra è stata accettata negativamente soprattutto dai napoletani: il discorso è legato a determinati luoghi comuni. Io credo che Gomorra sia un film, e come film vada preso. Ma sono anche convinto che sia la realtà a fare il cinema e non il cinema a fare la realtà. Gomorra e Liberato (leggi: Liberato e i Massive Attack, il Napoli ha gli ultras più fighi del mondo) hanno permesso l’affermarsi di un immaginario napoletano a livello internazionale, ora tocca a noi mostrane i lati migliori. Hanno sdoganato argomenti che, ai miei tempi, era sicuramente più difficile far accettare alla gente.

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Chi è il tuo pubblico oggi?

Firmare con una major ai tempi dei Co’Sang non sarebbe stato possibile (ride). Ma devo dire che i miei vecchi si sono abituati, hanno fatto l’orecchio. È meglio adeguarsi al sound che sentirsi inadeguati. La trap in America ha tutt’altro significato, in Italia è arrivata come moda, ma è sbagliato considerare i trapper esponenti di una categoria differente. La trap è un genere di rap che sta andando particolarmente in questo momento storico. Ci sono fan di vecchia data, che mi apprezzano perché quel che propongo, in fondo, non si discosta troppo da ciò che proponevo a inizio carriera. Mi sono costruito la mia legacy ai tempi dei Co’Sang, e rimane viva ancora oggi. La ficata, nel mio caso, che ragazzini nati poco prima dello scioglimento con Luchè vengono ancora a farmi i complimenti. E utilizzano certi parametri del passato, non solo per giudicare le mie canzoni, ma anche la musica che ascoltano oggi. Giaime conosce i testi dei Co’Sang a memoria. Non avrò fatto i soldi di altri rapper, ma sono sopravvissuto a tre generazioni: questo mi rende ancora vivo, mi sprona a comporre musica.

A Napoli c’è questa magia che fa sopravvire i culti...

Ed è una fortuna, una cosa partenopea, nel nostro piccolo, con i Co’Sang, siamo divenuto un culto che permane nei giovani d’oggi. È difficile da spiegare, noi non siamo sopravvissuti solamente al passaggio del rap da genere underground a genere di classifica, ma anche a due diverse ere tecnologiche. È cambiato tutto, è cambiato il modo di fruire la musica. Fare dischi ha molto meno senso, una volta bisognava aspettare che un disco uscisse per andarlo a comprare in negozio. La tecnologia forse ci ha aiutato a mantenere viva questa tradizione. In fondo, il culto di Maradona, per un ragazzino di Napoli che non ha avuto la fortuna di vederlo giocare al San Paolo, rimane vivo sui muri delle città come nei video su YouTube.

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L'articolo Nto e l'eterno culto del rap napoletano di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-03-19 08:42:00

Tag: album

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