Lo Studio Murena vuole portare l'Accademia per le strade

Escono dal conservatorio, sul palco si vestono come se fossero a casa loro, fanno (più o meno) jazz, ma sono innamorati dell'hip hop. Il collettivo che ha incendiato Milano con i suoi live prima del lockdown racconta la sua filosofia di musica

Lo Studio Murena, foto di Maltese/Pompili
Lo Studio Murena, foto di Maltese/Pompili

Vengono da Milano, sul palco sono in sei e hanno mischiato il jazz più acido con gli sfrenati ritmi da balera. Eppure, sono tutti musicisti usciti dal conservatorio. Se non fosse vera, la storia dello Studio Murena sarebbe da sceneggiare. Ne avevamo parlato qualche mese fa, quando è uscito in anteprima sul nostro sito il singolo Arpa e tamburo: ora abbiamo voluto farci raccontare questo percorso direttamente da loro, a partire dalla Milano popolare e vicina alla filosofia di strada, senza mai perdere la voglia di fare balotta.

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Com’è nato lo Studio Murena?

Lo Studio Murena nasce verso la fine del 2017: il progetto è partito con l'idea di formare un collettivo creativo composto da Giovanni Ferrazzi, Maurizio Gazzola e Matteo Castiglioni, nel quale sperimentare produzioni audio/video in maniera ironica. Abbiamo poi deciso di concentrarci maggiormente sulla parte musicale, producendo il beat-tape Crunchy Bites, focalizzato su una struttura sonora capace di spostare continuamente i confini della produzione hip-hop strumentale tra sound collage, jazz e elettronica. Nel processo per portare questo lavoro sul palco del festival Musical ZOO di Brescia, ci siamo resi conto che volevamo puntare di più sulla dimensione dal vivo rispetto alla produzione in studio. Abbiamo così integrato Amedeo Nan per i live dell'estate 2018, mentre per la data successiva a JAZZMI 2018 abbiamo consolidato l'ensemble con l'arrivo di Marco Falcon alla batteria e Carma alla voce.

Com’è cambiato il vostro approccio con la formazione a sei?

La grossa novità è stata il sostituire interamente i vecchi brani con nuove composizioni e produzioni. Questo processo ha preso diverso tempo, volevamo tenere solo il materiale migliore e ci siamo trovati a scartare parecchie canzoni. Siamo contenti di aver aspettato e non aver immediatamente registrato i pezzi una volta composti, averli portarti dal vivo su diversi palchi ha fatto in modo che maturassero e si evolvessero naturalmente. In questo non si sono perse né la forte impronta elettronica, di cui si occupa Giovanni, né la produzione video, su cui lavorano Maurizio e Matteo.

Lo Studio Murena - foto di Maltese/Pompili
Lo Studio Murena - foto di Maltese/Pompili

Siete nati in accademia, per poi sporcarvi mani e faccia in strada: come ne ha risentito la vostra musica?

Ognuno di noi sei ha alle proprie spalle un background musicale diverso, dal rock all'hip-hop old school, fino all'elettronica sperimentale. Ci siamo conosciuti quasi tutti all’interno del conservatorio di Milano grazie ai corsi in comune che frequentavamo, ognuno di noi si è specializzato in un ambito differente: c'è chi ha studiato classica e jazz, mentre altri composizione e musica elettronica. L’accademia ci ha permesso di avere delle basi solide su cui sviluppare le nostre idee, assieme allo studio dell’improvvisazione col maestro Riccardo Sinigaglia. Detto questo, il mondo accademico ci ha chiuso troppo spesso all'interno di regole predefinite che ci stavano strette, quindi cerchiamo di trovare un punto d’incontro tra questi due poli.

Cosa vi dà il suonare dal vivo?

Tanta spinta, motivazione ed energia. Realtà come Ohibò, JAZZMI e Jazz:Re:Found hanno creduto in noi sin dall' inizio e ci hanno permesso di suonare davanti a un pubblico appassionato di questo tipo di musica in una situazione ideale. Abbiamo aperto i concerti ad artisti che si avvicinano a sfumature del nostro sound, che è influenzato tra le altre cose dal nu jazz misto rock dei The Comet is Coming, dall'hip hop strumentale dei Funk Shui e dal rap di Inoki, confrontarsi con queste persone per noi è un bel momento. Ricordiamo col sorriso quando gli stessi The Comet is Coming, mentre sentivano la nostra cover di Flashing Lights alle prove prima del concerto in Santeria, sono usciti dal camerino per venirci ad ascoltare, presi benissimo. L'aver ricevuto i complimenti da loro per il nostro impasto sonoro dal vivo ci ha reso davvero orgogliosi, ci siamo resi conto che il tanto lavoro che c'è alle spalle del nostro progetto viene recepito. Sentirselo dire dagli autori di uno dei dischi più potenti dello scorso anno è stato davvero bello.

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Come sarà il vostro prossimo disco?

Sicuramente qualcosa di molto diverso, lontano da Crunchy Bites, la formazione e gli intenti sono cambiati. Sarà sulla linea degli ultimi singoli che avete potuto ascoltare negli scorsi mesi. Al momento stiamo finendo la pre-produzione del disco, che registreremo alla fine di questo mese. Dovevamo registrarlo a fine marzo, ma il lockdown ci ha fermato quei mesi, un po’ come tutti. Ci teniamo in particolare a trasmettere nel disco la stessa energia che si può sentire durante un nostro concerto: è l'ostacolo maggiore che stiamo cercando di superare. Ci teniamo a produrre qualcosa che sia coeso e narrativo, motivo per cui i singoli si andranno a incastonare in un progetto più ampio, sia dal punto di vista musicale che grafico/visivo.

Come nasce l'arrangiamento delle vostre canzoni?

Ogni brano ha una storia a sé, spesso le idee grezze da cui nascono i pezzi vengono portate da qualcuno di noi e poi vengono sviluppate insieme, sia tramite l'improvvisazione che attraverso uno studio compositivo, che richiede più tempo e si sviluppa nelle prove. Ci sono brani come Password, dove è tutto nato molto velocemente nel corso di una jam, e altri come Arpa e tamburo dove ci è voluto parecchio tempo. In questo secondo caso, l'idea da cui è nato tutto è stata portata dal nostro bassista Maurizio.

Da cosa è partito?

Il brano nasce da un semplice giro di basso, l'introduzione è stata ispirata da Keith Emerson, mentre l'armonia segue uno sviluppo circolare vicino al Coltrane di Giant Steps. La sezione ritmica centrale è nata in un momento ulteriormente successivo, durante un'improvvisazione. Su questa architettura strumentale Carma ha cucito un testo dove le rime vanno a sottolineare gli stacchi ritmici presenti nella musica. Lavorandoci ancora e unendo il tutto è nato il brano come lo potete sentire ora.

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Di cosa parla Arpa e tamburo?

Nel testo viene raccontato un amore possibile nato e distrutto nella periferia milanese, dove i sentimenti escono grezzi e senza filtri, dove è semplice farsi del male e sentirsi implodere a causa di un coinvolgimento sempre più esagerato e sempre meno ancorato a quello che i più navigati chiamerebbero buonsenso. Carma si trova quasi sempre a scrivere i testi per il gruppo sui mezzi pubblici, durante le costanti sbatte quotidiane, è l'unione di queste due cose a dare lo stimolo riflessivo necessario. A questo si uniscono il suo flusso di coscienza e le esperienze vissute.

Del look non ve ne frega nulla?

Abbiamo sempre dato la priorità alla musica e a cercare trasmettere energia e good vibes sul palco. Non ci facciamo notare per i nostri outfit, però quando attacchiamo a suonare ci sappiamo distinguere dalle band più pettinate, no? Comunque è uno degli aspetti che dovremo sviluppare maggiormente nei prossimi mesi. Finora abbiamo cercato di mantenere uno stile vicino a quello che abbiamo nella vita di tutti i giorni, ma questo crea un problema nel momento in cui sei stili diversi tra loro vengono accostati e visti nell’insieme. Mancano l'unità e la continuità visiva.

Come se ne esce?

Non ne abbiamo idea. Però David Byrne dei Talking Heads, nella sua biografia, racconta di come agli inizi venissero spesso criticati per la totale mancanza di stile nel vestire sul palco. Nel loro caso il cambiamento è avvenuto nel momento in cui hanno capito che il progettare uno stile a tavolino non significava essere poco sinceri nei confronti del proprio pubblico, ma permetteva di creare uno show più coeso, aiutava gli spettatori a identificare il gruppo come un'entità unica.

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Dove suonereste, potendo scegliere un posto nel mondo?

Dove vorreste non intende una sola data, quindi possiamo dire che ci piacerebbe iniziare il nostro primo tour sui palchi più calorosi d’Italia, per poi provare a fare un salto fuori dai confini nazionali. Ognuno di noi ha un palco del cuore su cui vorrebbe suonare, un sogno comune è quello del Blue Note di New York, che spesso si è aperto alle commistioni jazz-rap. Parlando di palchi nostrani, sarebbe bello portare un genere come il nostro al concertone del Primo Maggio.

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L'articolo Lo Studio Murena vuole portare l'Accademia per le strade di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2020-07-03 10:18:00

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