Zu - Storia personale di una band rumorosa

Ha vissuto un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, poi sei spostato nella giungla amazzonica. Prima c'è stata la pausa di quasi tre anni per riscoprire se gli Zu avevano ancora qualcosa da dire. Ora sono tornati. Massimo Pupillo e il motivo del perché fa musica. Una bella storia.

Ha vissuto un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, poi si è spostato nella giungla amazzonica. Prima c'è stata la pausa di quasi tre anni per riscoprire se gli Zu avevano ancora qualcosa da dire. Ora sono tornati: la politica, fare qualcosa di buono, il motivo per cui si suona. Una lunga int
Ha vissuto un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, poi si è spostato nella giungla amazzonica. Prima c'è stata la pausa di quasi tre anni per riscoprire se gli Zu avevano ancora qualcosa da dire. Ora sono tornati: la politica, fare qualcosa di buono, il motivo per cui si suona. Una lunga int

Ha vissuto un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, poi si è spostato nella giungla amazzonica. Prima c'è stata la pausa di quasi tre anni per riscoprire se gli Zu avevano ancora qualcosa da dire. Ora sono tornati: la politica, fare qualcosa di buono, il motivo per cui si suona. Una lunga intervista a Massimo Pupillo.

Come va?
Va bene Sandro, molto bene.

Spiegami un attimo la situazione.
Sono qui da 9 mesi. Ho affittato una casetta di legno in una specie di cittadina, in territorio Shipibo, una delle popolazioni native qui in Amazzonia. Al momento non ho un lavoro, sono in esplorazione, diciamo. Spesso mi sposto e vado nella giungla più profonda per raggiungere un villaggio dove ho vissuto i primi 40 giorni quando sono arrivato, conosco un po' di persone. E lì non c'è elettricità, non c'è acqua corrente, non c'è internet.

Il tuo livello tecnologico attuale?
Il computer e una chitarra acustica, basta.

Gli stornelli romani in Amazzonia?
(ride, NdA) Ogni tanto faccio qualche pezzo di Ardecore, faccio John Fahey, questi pezzi blues americani, ogni tanto Stefano Pilia mi manda delle registrazioni che fa e io provo a impararle, ma è impossibile perché è troppo bravo.

Il rapporto Uomo Vs Natura com'è?
Gli abitanti di questi villaggi hanno un rapporto veramente simbiotico con la natura: prendono tutto con grande sensibilità, se serve una pianta per fare una medicina - adesso sto fissato con queste cose, sto seguendo un maestro anziano che lavora con le piante – raccolgono il minimo possibile, con grande rispetto. C'è una possibilità di avere un rapporto paritario con la natura e non: arriviamo in un posto, distruggiamo tutto, ci spostiamo in un altro posto.

Tu perché ci sei finito in Amazzonia?
Negli Zu c'è stato sempre un forte interesse per lo sciamanesimo, soprattutto da parte mia e di Luca. Ad un certo punto ho deciso che invece di leggere l'ennesimo libro su questi argomenti era meglio andare a conoscerli direttamente, era una cosa che… che mi chiamava, da tanti anni. In un certo senso il break degli Zu è stata una benedizione e mi ha permesso di fare tutta una serie di cose che volevo fare da tanti anni ma che, ovviamente, non potevo programmare in quell'intervallo di dieci giorni tra un tour e l'altro. Devi partire per un periodo per sprofondare completamente in un'altra cultura.

Io di sciamanesimo non so nulla, se dovessi spiegarlo come lo si spiega ad un bambino?
In parte ve l'ho scritto nel track by track del nuovo album. Mi interessa chi studia determinate “modalità” più arcaiche della mente. Ci sono tanti livelli di coscienza: quello maggiormente utilizzato dall'uomo medio occidentale è sicuramente, utile, bello, positivo; noi conosciamo quel tipo oppure il sonno, o la sbronza. Ne esistono però altri che permettono di percepire una realtà più vasta. E questo è sempre stato un sottotitolo per gli Zu: ci siamo arrivati a nostro modo, ignorante, se vuoi, e totalmente istintivo, ti capitavano concerti particolarmente belli e sentivi di esser entrato in stati di coscienza alterati. Abbiamo sempre lavorato per arrivare in quel posto.

E come ci si arriva?
Negli ultimi 2 anni e mezzo la mia ricerca si è basata sempre su tradizioni che lavorano con il suono. Ho passato un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, ho dovuto fare tre interviste per farmi accettare e alla fine sono stato ammesso. Ho partecipato a questi rituali dove 350-400 monaci cantavano all'interno di una costruzione fatta a cupola dall'acustica incredibile. C'era un rituale in particolare dove cantavano per otto ore al giorno per una settimana di seguito, lavorando su note molto basse, suonando tamburi, piatti e corni bassi. Tutta la mia passione per i Sunn O)) è riemersa (ride, NdA). In una situazione del genere puoi capire seriamente come il suono, le frequenze, possano influire sulla tua coscienza. Che non è nient'altro che lo studio delle onde sonore, la cimatica studia appunto l'effetto del suono sulla materia. Penso che in futuro sarà sempre più usata.

(Massimo Pupillo)

Ma se dovessi spiegarmi che cosa hai provato durante il rituale?
Grosse aperture di coscienza, grosse comprensioni, capire che nella vita c'era tutta una serie di cose che avevi fatto in automatico, oppure delle riconnessioni con degli aspetti personali che erano, magari, spenti o dormienti. E mi sto tenendo sul vago perché per me sono argomenti fondamentali, da un lato non mi va di trivializzarli, dall'altro so che in molti non la vedono così e non mi va di passare per quello che vuole predicare o, peggio, convertire la gente, soprattutto quando parlo di mie esperienze. Perché il tipo di ricerca sonora che noi abbiamo fatto con gli Zu mi ha poi spinto ad approfondire e andare verso chi ne sapeva più di me. Sia qui in Amazzonia che sull'Himalaya hanno tradizioni millenarie, sono riusciti a sviluppare una tradizione di lavoro con il suono, che è molto diverso da quello che facevamo noi in maniera totalmente istintiva: trovi un certo accordo, ti provoca una certa reazione, allora costruisci sopra qualcos'altro. Però, insomma, so che molte persone non sentono queste cose, non fatemi passare per il Ferretti della situazione (ride, NdA).

È un discorso interessante, a maggior ragione se lo colleghi alla musica più sperimentale. Ad esempio, molte band psichedeliche/noise citano le stelle e i pianeti, poi quando gli chiedi spesso ti rispondo che è più una questione di immaginario – altrettanto importante, chiaro – e che non c'è un vero studio dietro.
Serve una grossa antenna per capire quei rari casi in cui c'è una vera ricerca dietro.

Ok, ma è come se dicessi che la ricerca del monaco tibetano è in qualche modo migliore, di quella, che ne so, di Merzbow. Detto con tutto il rispetto verso le tradizioni millenarie, chiaro.
Sicuramente, sono operazioni diverse: in Merzbow c'è una reazione violenta al mondo circostante, quindi se prendi una società completamente sconvolta come quella giapponese capisci come sia giusto combattere l'alienazione con questo muro di rumore. Sono operazioni diverse, non ce n'è una giusta o una sbagliata, ovviamente. Da una parte hai la pinza dall'altra il martello, sono due mezzi diversi con cui fare cose diverse.

E fare un disco stile Napal Death come “Goodnight, civilization” è pinza o martello?
(ride, NdA) Secondo me gli Zu sono un esperimento in contraddizione. All'inizio ci definivano jazz-core ma poi la gente non capiva. A volte ci è capitato, soprattutto in Germania dove sono più quadrati come mentalità, che la gente ci chiedesse: ma fate jazz o fate hardcore? Per loro era fondamentale saperlo. L'essere umano è contraddittorio, siamo vasti, non possiamo avere un'unica colonna sonora, non abbiamo nemmeno una giornata con un unico umore. La musica può riflettere questo, può ospitare l'ispirazione di John Coltrane e la rabbia dei Napalm Death. Luca lo dice sempre: il jazz è una delle musiche più rabbiose perché nasce dagli afroamericani ghettizzati, era il loro modo di reagire ad una situazione pesante, che è poi la stessa rabbia del gruppo hardcore degli anni 80 nato sotto Reagan o dei gruppi grindcore inglesi nati sotto la Thatcher. C'è l'una e l'altra: allo stesso tempo puoi essere innamoratissimo e incazzatissimo. Sarebbe assurdo in un cammino spirituale credere che non ti devi più incazzare, o smettere di pensare che lì fuori sia pieno di stronzi, o di politici ladri e bugiardi. Penso sia importante la capacità di stare in sé e al tempo stesso essere aperto.

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Prendiamo la prima canzone del disco e prendiamo la sua descrizione nel track by track: come queste partiture strumentali possono comunicarmi quel tipo di messaggio?
Credo che certe cose fungano da ispirazione, ognuno poi esprime quel sentimento in maniera diversa. Tu puoi dire "Questa civiltà ci sta letteralmente crollando addosso” in mille modi.

Hai capito dai: come posso fidarmi che voi non andiate in salaprove, facciate il solito sfogo rabbioso e poi diciate che la canzone ha uno specifico messaggio politico?
Tu Sandro ti devi fidare, dopo tutti questi anni su (ride forte, NdA). Seriamente, io ho sempre avuto problemi con la musica con messaggi politici in Italia, gruppi tipo Gang o Modena City Ramblers. Pur avendo una visione fortemente politicizzata, quel modo di scrivere mi è sempre sembrato blando, in più sempre accostato ad una musica molto celebrativa, festaiola. Mi puzzava: mi sembrava un predicare ai convertiti per fare poi tanti bei concertini. Per me è molto più politico uno che non usa le parole ma esprime la rabbia o la frustrazione con un suono, altrimenti fai il giornalista e non il musicista. Per me il suono iniziale in “Goodnight, civilization”, quel bassone pesante, è una dichiarazione di come mi sento in questo momento.

I dischi precedenti però non sono tanto più allegri, mai una gioia.
(Ride, NdA) Ma io ho avuto tantissimi momenti di allegria e felicità, specie con gli Zu e sopratutto in tour.

Un'altra cosa su cui ti devo stuzzicare è sulla musica commerciale. Inserire una cover dei Residents - tratta dall'album “Commercial Album” - è un po' una dichiarazione d'intenti.
Era un bisogno di affermazione d'identità, dopo cinque anni di assenza era importante dire: noi siamo questo. Scegliere una band esteticamente così lontana da noi voleva dire che quello che ci rappresenta non è tanto il jazzcore ma tutta una serie di musicisti che fanno ricerca in modo sincero. Non c'è neanche bisogno di schierarsi perché ci siamo schierati tanto tempo fa.

Non voglio negare l'importanza controculturale di un certo tipo di musica, chiaro, però quando saltano fuori gli schieramenti mi tocca rispolverare a mia tesi di laurea su Adorno dove si analizzava il fatto che per Adorno l'unica musica non mainstream era quella di Schoenberg, per Adorno persino gli Zu sarebbero stati commerciali. Ecco, nonostante siano passati settant'anni, quando si parla di musica, in qualunque tipo di contesto, questo tipo di rigidità puntualmente torna, è come se non ne potessimo fare a meno.
Schoenberg, Dio ce ne scampi (ride, NdA). Non lo so, il punto è: quella è la musica che ascoltiamo. Abbiamo gusti diversi, ma tutti e tre ascoltiamo cose abbastanza non convenzionali. Se per tanti anni la tua passione è stata la musica allora vuol dire ne hai ascoltata tanta, e lo hai fatto perché hai sempre cercato qualcosa che ti portasse in un punto che non conoscevi ancora. Il discorso commerciale o no non mi tange per niente, se qualcuno facendo la musica che sente riesce pure a fare i grossi numeri, bella pè lui, come diciamo a Roma. Però ritengo di avere le antenne abbastanza allenate per saper distinguere un bisogno d'espressione sincero dal bisogno di piacere, di avere successo, di avere la gente sotto il palco che ti batte le mani. Secondo me l'intenzione con cui fai una cosa è importante. Mi piacciono anche le cose grosse, ma spesso le cose più nutrienti, le più creative, le trovi nelle periferie dei generi, se mi parli di punk trovo più interessanti i NoMeansNo che i Green Day. I veri fanno un proprio percorso, il più delle volte rimangono ai margini ma è un fatto, e non c'è neanche da preoccuparsene. Poi ci sono persone di grande talento che hanno pure successo, pensa che la prima cover che avevamo pensato di inserire nel disco era dei Pink Floyd, era un modo per veicolare lo stesso messaggio della cover dei Residents ma prendendolo da una prospettiva diversa.

(Gabe Serbian)

Uno degli altri messaggi alla base del nuovo disco è riassumere, ridurre all'osso musica e suono.
Volevamo dire in 12 minuti quello che siamo. Essere molto diretti, molto dritti, e dirlo in modo molto forte. Era giusto dire: siamo tornati e siamo questa cosa qui, questa è la nostra identità musicale.

Scegliere Gabe, che coi Locust fa dischi che non superano i 20 minuti, è perfetto.
Come per tutte le altre collaborazioni, c'è un fattore umano di fondo. Con Gabe avevamo condiviso l'ATP organizzato da Patton e Melvins, e poi avevamo fatto un concerto a Londra, Zu + Fantomas + Locust all'Astoria, oltretutto l'ultimo concerto in assoluto dell'Astoria. Ci siamo conosciuti, c'è stato fin da subito una bella intesa. Poi è iniziato questo periodo piuttosto negativo per noi Zu, eravamo stanchi, Jacopo hai poi deciso che voleva fare altro, insomma: abbiamo sentito che ci voleva un periodo di pausa. Quando io e Luca abbiamo poi deciso di ripartire, ero sull'Himalaya in quel momento, mi sono sentito con lui su Skype, abbiamo detto subito “Gabe”. Gli abbiamo scritto lo stesso giorno e lui ci ha risposto entusiasta. E poi è un mostro, non è un fattore secondario, ci serviva un batterista in grado di poter fare quello che lui riesce a fare.

Posso chiederti perché Jacopo se ne è andato?
(Lunga pausa, NdA) L'ultimo periodo è stato pesante, alcuni rapporti si erano abbastanza sfilacciati. Jacopo ha iniziato a suonare insieme a me nei Gronge che aveva 18 anni e io ne avevo 23. Siamo praticamente cresciuti insieme, facendo sempre le stesse cose. Poi ti trovi normalmente a cambiare, a volere cose diverse. E questo ha poi avuto un effetto molto forte, perchè nel tour di “Carboniferous” avevamo davvero moltissime richieste di concerti, e ad un certo punto eravamo anche molto stanchi. Si è creata una tensione interna piuttosto forte e inconciliabile, e a quel punto Jacopo ha deciso di andare a fare altre cose.

Poi cosa è successo?
Abbiamo deciso di fare un ultimo tour ed stato molto bello, molto nostro. Ma subito dopo mi sono sentito totalmente depresso. Lo sai, noi facciamo tutto da soli, non c'è mai una pausa, scendi dal palco e ti metti a scrivere mail, torni dal tour e passi le tue giornate a scrivere mail. Insomma, accumuli tanta fatica e poi arriva questa botta emozionale finale, questo ultimo tour così bello, mi ha buttato davvero giù. Ho messo in discussione tutto quello che avevo fatto, ho ripensato a cosa erano stati gli Zu fino a quel momento e avevo solo macerie fra le mani. Ho detto: ok mi sono raccontato una bugia per 10 anni. Quindi ho capito che la cosa migliore era prendere una pausa, partire, fare altre cose. Ho venduto la casa che stavo comprando a Roma, ho praticamente abbandonato i miei strumenti. Ero sinceramente convinto che non avrei più suonato. Ci sono voluti due anni in giro per ritrovare una voce e le giuste motivazioni per tornare a farlo, le motivazioni dell'inizio intendo, quelle che non hanno nulla a che fare col pubblicare dischi o fare tour, quelle che ti fanno prendere uno strumento in mano. A quel punto ho chiamato mio fratello Luca su Skype.

(Luca Mai)

Nella vostra carriera ci sono delle scelte che, a posteriori, hai considerato sbagliate?
Abbiamo sempre imparato tutto da soli: musicisti autodidatti, booking da autodidatti, è normale che fai tutta una serie di cazzatone. Ogni volta incassi il colpo e cerchi di non farle più, poi ti accorgi, però, che sono servite. Se avessi semplicemente continuato ad essere la macchina da guerra che macinava concerti, non mi sarei mai dato del tempo di fare le esperienze che sto facendo ora. Noi ci eravamo cascati in questo errore, e ammetto di essere stato io il primo ad aver spinto in tal senso, intendo questo mito un po' zorniano dell'eterna produttività, dell'essere prolifici, del fare tantissimi concerti e tanti dischi. Ma non puoi stare in quello stato per sempre, alla fine crolli. Tutto sommato il mio crollo si è rivelato positivo. Sono qui a grazie a quello.

Ma la cazzatona più eclatante che avete fatto in tour?
Ce ne sono tante. Ad esempio, arrivare ad una data in Olanda un mese prima. Era era il 30 giugno e invece siamo arrivati il 30 maggio. Per fortuna eravamo di passaggio, non siamo partiti direttamente da Roma, non era una di quelle traversate distruttive e gli altri due non mi hanno picchiato. Oppure in un tour Americano: arriviamo al check-in dell'aeroporto e ci dicono che il biglietto che abbiamo è per il giorno prima, avevo confuso il giorno di partenza con quello d'arrivo a Roma. A quel punto ci siamo buttati in ginocchio tipo Fantozzi davanti al megadirettore e ci hanno fatto partire lo stesso. Oppure, dimenticare il basso mille volte. Oppure, sempre in Olanda, Luca era nel periodo "mi prendo le mie responsabilità, porto io i cachet" e si dimentica questo marsupio pieno di soldi sulla sedia fuori di un bar. Quando eravamo in furgone ha sbiancato, per fortuna siamo riusciti a ritrovarlo (ride, NdA).

Hai un gruppo che ti ha influenzato più di tutti, tipo il tuo animale guida?
I Coil, non c'entrano niente esteticamente con noi ma sono stati un mio rifermento musicale imprescindibile. C'è tutto un mondo di rimandi nei testi, nei titoli delle canzoni, e se sei una persona curiosa trovi molti spunti per conoscere altre cose. Li ho conosciuti a 16 anni perché sul loro secondo disco hanno fatto un pezzo che si chiama “Ostia”. Ora, ad Ostia non c'è niente, l'unica cosa che c'è ad Ostia è che ci hanno ammazzato Pasolini, la loro canzone parla di quello. Figurati cosa voleva dire, per me e per quei pochi pischelli che ascoltavano un certo tipo di musica, sapere di un gruppo inglese che fa un pezzo sul posto dove vivi. Era una cosa incredibile.

La vostra “Ostia” - la prima taccia a cassa dritta nella storia degli Zu – invece di cosa parla?
È dedicata a dei nostri amici che vivono in uno squat, vicino ad Ostia, si chiama ZetaKappa. Uno di loro, il Sekketto, cura il merchandise ai nostri concerti. Quella canzone racconta di quanta energia e frustrazione accumuli crescendo in un posto dove non c' è nulla da fare. E di quanto ti devi organizzare da solo e raccogliere le tue energie, se vuoi far accadere qualcosa, che questa si chiami ZK, o Zu.

Dobbiamo concludere. Sarà un po' nerd come domanda, ma te la faccio ugualmente: perché mettere un pezzo di una prefica pugliese all'interno di un brano metal?
Prima di tutto, l'intero scopo dell'“operazione” Zu, è proprio quello di dire: è possibile rompere i confini, che comunque non esistono, e fare cose apparentemente assurde come mettere un canto pugliese nel metal. Poi, come ti dicevo, io e Luca abbiamo sempre avuto una forte attrazione per lo sciamanesimo e le culture ancestrali. Ci interessa la figura di queste donne che curavano con le erbe ed il canto, anche nella tradizione rurale italiana. Tutte cose che oggi passano solo per superstizioni, così se prendi una pianta per curare una persona ora ti diranno sempre che è suggestione, o effetto placebo. Invece sono cose comuni e non così distanti dalla realtà che conosciamo. Ad esempio, torni a casa e sei incazzato perché ti è andato tutto male, ti metti le cuffie e ascolti un brano, e quel brano muta la tua coscienza. Questa non è estetica, si crede che l'arte sia solo un operazione estetica, ma la possibilità che ha il suono di imprimere un cambiamento sulla tua coscienza è enorme. Tutti gli appassionati di musica fanno questa operazione su se stessi continuamente. Ed è quello che facevano queste antiche donne pugliesi. La musica non è sempre stata comprare il cd, scaricare l'mp3, andare al concerto, noi la abbiamo relegata ad "intrattenimento" ma esiste una lunga tradizione in cui veniva usata fondamentalmente in modo rituale e curativo. Ed è vero, perché hai delle giornate di merda, poi fai il concerto e ne esci pulito.
Ti racconto ancora una cosa. Durante il nostro primo tour in Bosnia, nel 2000, dopo un concerto a una ragazza viene da me e mi dice: sai, oggi è stata una giornata molto dura, soprattutto dopo il periodo che ho passato e le persone che ho perso, però stasera dopo il vostro concerto mi è tornata l'energia e voglio andare avanti. Io con quella frase ho capito che finalmente avevo fatto una cosa buona. Ti può capitare di fare concerti grossi, o di trovare un'etichetta importante che ti pubblica il disco, puoi schierarti o meno verso un certo tipo di musica, ma il motivo vero per cui suono io l' ho capito quella sera, e lo devo a questa persona. Lo dico molto sinceramente.

A donne come sei messo?
(ride forte, NdA) A donne sto messo malissimo Sandro, malissimo.

Passato questo periodo tornerai a Roma?
Mi sento molto a casa qui, è proprio un buon posto dove stare. Non mi mancano le città, ci ho già passato tanto tempo. Stare qui, stare nella natura, nel silenzio, con tanti animali, tanti uccelli, farfalle, insetti, mi riposa l'anima.

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L'articolo Zu - Storia personale di una band rumorosa di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-04-14 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • bisius 10 anni fa Rispondi

    Bell'intervista. Contento del break se ha portato a questi risultati. Un po' meno contento che i rapporti con Battaglia non siano granché buoni.

  • hellzapop 10 anni fa Rispondi

    Wow!
    Intensa l'intervista e molto intenso il percorso!