Con “White Sea” il progetto compie un passo ulteriore, intrecciando riferimenti letterari e filosofici che diventano parte integrante della narrazione musicale. Il titolo e l’immaginario del brano affondano le radici in Cecità di José Saramago, scrittore e saggista portoghese. In Cecità, Saramago immagina un’epidemia improvvisa che priva un’intera città della vista: la metafora del “mare bianco” diventa così un’immagine del disorientamento e dell’incapacità di riconoscere il dolore accanto a noi, come se la cecità fosse una condizione collettiva.
Accanto a Saramago, un’altra fonte essenziale è Il mito di Sisifo di Albert Camus, filosofo, scrittore e drammaturgo francese, figura centrale dell’esistenzialismo e del pensiero sull’assurdo. In questo saggio del 1942, Camus affronta il senso (o il non-senso) dell’esistenza attraverso la figura mitologica di Sisifo, costretto dagli dèi a spingere un masso su per una montagna per l’eternità. La sua riflessione sull’assurdo e sulla condizione umana ha spinto il duo a interrogarsi su impotenza e fragilità: alcuni passaggi sono entrati direttamente nel testo del brano, altri sono diventati parte integrante dell’introduzione ai concerti, come una soglia filosofica che prepara l’ascolto.
Musicalmente, “White Sea” si apre con un dub sospeso e malinconico, attraversato da glitch e voci in reverse che disorientano ma allo stesso tempo cullano. Un ritornello luminoso apre uno spiraglio di speranza, evocando i momenti in cui siamo riusciti ad andare avanti anche nel buio. Poi un temporale improvviso rompe l’equilibrio e ribalta tutto, lasciando spazio a un mantra di voci oniriche: un coro che sembra provenire da altrove e che guida l’ascoltatore in un viaggio emotivo e psichedelico.

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