Ottodix
Le notti di Oz 2009 - New-Wave, Electro

Le notti di Oz

Ottodix è il nome d'arte di Alessandro Zannier, artista figurativo e musicista trevigiano ben inserito in un certo giro milanese (Garbo, Delta V, Bluvertigo, Soerba) e torinese (Madaski, Subsonica). Honi soit qui mal y pense, sia chiaro: queste non sono altro che le sue coordinate geografico-musicali. Tanto più che il modo di cantare di Ottodix è chiaramente debitore proprio dello stile di Garbo e di G. Kalweit, qui anche ospite, gli arrangiamenti sono raffinati e potenti, e dio bono come pompano i bassi e funkeggiano glacialmente ed elettronicamente le batterie. A tratti il suono pare quello dei migliori Delta V. Ambiziosamente (e l'ambizione non è mai un peccato), "Le notti di Oz" è un vero e proprio concept, ispirato al film "Metropolis" di Fritz Lang (1927), apologo fantascientifico sulle ansie e gli entusiasmi dell'era industriale, che fu presenza importante negli anni '80 grazie alla riedizione colorata, musicata e voluta da Giorgio Moroder nel 1984 (anno simbolo), con ospiti come Freddie Mercury, Adam Ant, Pat Benatar, eccetera. "Le notti di Oz" vuole esserne la versione aggiornata al 2009, dedicata alle "ansie e gli entusiasmi dell'era elettronica", come recita il comunicato stampa. Ecco, proprio questo è il punto: se l'album è gradevole musicalmente, grazie anche ad arrangiamenti abili nel ricreare un'idea archetipica del suono elettronico anni 80, spaziando anche per nomi meno immediati ma non meno significativi come Gary Numan, Vangelis, Matia Bazar (esemplare "Effimera", quasi una nuova "Aristocratica"), dove casca è proprio sull'ideologia che lo nutre e vi sottende. Testi come quello di "I-man", brano scelto come primo singolo, o di "Nuovi Frankestein" sono emblematici: una serie di j'accuse al vuoto di personalità dell'uomo contemporaneo che passa attraverso versi come "hi-fi, I-pod, hi-tech, I-man", "prendi da Internet / le nuove cellule / dell'umanoide digitale-vegetale / collega gli atomi / e qualche muscolo / a pochi pezzi di cultura generale", che sembrano attribuire alle "novità" tecnologiche il degrado antropologico presente (?). Francamente, questo tipo di argomenti mi ricorda molto da vicino le preoccupazioni di metà '400 per l'invenzione della stampa o quelle di inizio '800 per la diffusione della ferrovia. C'è stato e c'è perfino chi (ha) giudica(to) negativa l'invenzione della scrittura. Tant'è: questa è una posizione passatista, contraria allo spirito futurista cui Ottodix dice di ispirarsi, che fa il paio con quanto dichiarato da Garbo tempo fa alla stampa ("non ascolto nulla di nuovo") e che pregiudica non poco la riuscita dell'album. Sarà un caso, ma i brani più riusciti sono i due strumentali, specie "Sogno di un Avatar" (già, perché, come in uno sceneggiato Rai anni 70, il protagonista scopre di essere un avatar e non una persona reale: mai visto e sentito prima), dove le suggestioni electro new wave si coniugano all'influenza di Debussy. Un'occasione perduta.

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