Nella ricurva logica dei corsi e ricorsi storici, ecco giungerci un disco dall'inconfondibile sapore post rock, già di per sè materia a cavallo tra un buon vino d'annata e nostalgiche derive anni 90.
Il primo episodio, poco più che un intro, fatto di manierismi tra flebili arpeggi e dissonanze, nondimeno efficace, cede il passo alle soluzioni piacevolmente math della seconda traccia - con un riff che viene dall'indie di frontiera degli ultimi Radiohead. "Diverse Nature Parte II" prende avvio su fiati eterei, potrebbe dispiegarsi sul proscenio di un club fumoso. Poi ad un tratto, il cantato, a scombussolare le premesse per sola strumentazione, ed è come se, mettiamo, Carmen Consoli cascasse dal cielo nel bel mezzo di una seduta slintiana (o almeno, una variante più esangue di quell'antica gloria); quantomeno, curioso.
Quindi si vira sul versante jazzy, una voce morbida che sussurra in italiano, tematiche decadenti e speranze devastate. L'indie più energico della quarta canzone occhieggia a certe italianità che a mio avviso c'entrano poco con la cifra fin qui esposta: all'interno di certa introversione con precisi riferimenti stilistici può risultare pericoloso - si sa - come ribaltare le regole di cui ci si è dotati, o barattare certo sperimentalismo con la musica leggera. "Ex Voto" si carica di ruggente materia indie, un breve interludio punkster, ed ecco di nuovo la tradizione italiana con innesto inatteso, come se Agnelli recitasse su un brano, uno a caso, dei Low piuttosto che dei Black Heart Procession.
Un disco suonato in modo acconcio, che pur ricalcando più o meno pedissequamente un cammino post rock ampiamente segnato, sarebbe risultato più carico se sfrondato da troppa trasversalità stilistica. Melodramma compreso.
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La recensione La sindrome di Cassandra di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-05-25 00:00:00
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