The Beirut In a place without name 2010 -

In a place without name precedente precedente

Certi dischi non dicono le cose in faccia, hanno bisogno di fiducia e attenzione, di tempo e pazienza. Eppure di cose da dire ne hano parecchie… serve solo il giusto calore per cavarle fuori, dopotutto, "introverso" non è necessariamente sinonimo di povertà d'animo.

Dopo qualche difficoltà e tanti ascolti, arriva dunque il momento in cui "In a place without a name" si sblocca, o meglio, ti sblocca; a quel punto un flusso compatto e coerente di puro indie-noise prende a scorrerti su tutto il corpo, disteso sul letto ad occhi chiusi, destinato ad un viaggio introspettivo di umori e sensazioni incise tra le dinamiche della musica. Oramai crollano le barriere, la fiumana fila via liscia e quasi ci si scorda che questi sono 4/4 e poco di più. A favorire la perfetta simbiosi delle parti l'evidente cura del suono, a partire da quel basso, quella chitarra e quella batteria che chiaramente già facevano brillare le orecchie prima delle necessarie peregrinazioni tra cavi, microfoni e macchine varie, fino al passaggio tra le mani di Sacha Tilotta (riprese e mix) e di Bob Weston (mastering), garanzia di massima qualità nel settore. E già… Chicago, un saltino nel North America questo disco ce lo doveva pur fare, d'altronde è proprio lì che questo suono così caratteristico si radica e si esporta, fugaziano ed anni 80-90 nell'anima.

Questo è un album maturo, tirato e suonato alla grande, che di certo non ambisce a farsi esponente di un qualcosa di nuovo, ma in compenso è suo modo personale e invoglia all'ascolto live. Alla ciliegina sulla torta provvedono infine quelli di Wild love records, giovane etichetta catanese rigorosamente dedita alla stampa su materiale vinilico; "musica per il cuore", per l'appunto.

---
La recensione In a place without name di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-05-21 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia