Plunk American Glories 2011 - Alternativo, Easy-listening, Pop rock

American Glories precedente precedente

Un concept su tutto ciò che la cultura yankee ha rappresentato musicalmente dal dopoguerra in poi

Lodevole il tentativo dei Plunk Extend (la cui ragione sociale entra di diritto tra i finalisti dell'ipotetico contest "Il nome più brutto da dare alla vostra band") di realizzare con "American glories" una (cito dalla cartella stampa) "opera kitsch, gonfia, scomoda nella sua comodità uditiva, "americana" in quanto finta, "gloriosa" in quanto, purtroppo, decisamente vera. Dieci tracce multiformi, divise in una "trilogia americana", tre coppie in antitesi e un finale-manifesto, per raccontare ironicamente il declino del reale, la fiducia cieca nella finzione e il trionfo finale dell'artificio: come artificiale è la musica stessa, l'arte, la letteratura, la cultura tutta!".

Insomma, nelle intenzioni del gruppo un vero e proprio concept su tutto ciò che la cultura yankee ha rappresentato dal dopoguerra in poi. Una bella sfida, senza dubbio, ma dopo diversi e approfonditi ascolti non riusciamo a comprenderne la portata. Se la band ritiene infatti di aver realizzato un disco che "musicalmente si presenta su più strati, variopinto e mutevole", il rischio è quello di sopravvalutarsi. Perché "American glories" ci appare, molto più semplicemente, una raccolta di canzoni che fa il verso a certo rock americano a metà strada tra Filter ("New Dehli"), gli Stone Temple Pilots ("Chilimangiaro") da una parte e gli eredi Velvet Revolver dall'altra ("Rock'n'roll killer").

Con "Dead man's hand" provano a rimescolare le carte giocando un po' col country, farcendolo con un pizzico di elettronica, senza però ottenere nulla di sensazionale. Per non parlare di "I love dugongs", un reggae sbiadito a tratti persino fastidioso. Insomma, tanta carne al fuoco ma nessuna traccia che riesca a lasciare il segno - e, trattandosi di un concept, l'obiettivo sarebbe stato quello di realizzare un disco bello nel suo complesso ma che, in realtà, ci sembra del tutto prescindibile.

---
La recensione American Glories di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-01-25 00:00:00

COMMENTI (4)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • utente50010 12 anni fa Rispondi

    Otto righe di recensione, sei di copia incolla. Non ci si è sprecati diciamo ad analizzarlo questo disco.
    Scusa Faustiko, ma concordo pienamente con Fabio. Che recensione è? Dove sono i Velver Revolver?! E poi, la cattiveria è di casa..."il nome più brutto da dare alla vostra band"?!?!. Credo che un lavoro,come il nome di un complesso, possa essere apprezzato o meno, MA MAI SMINUITO (a meno che tu sia un mostro sacro della musica o abbia comunque le credenziali per farlo), anche perchè da ciò che hai scritto, gli ascolti approfonditi che hai detto di aver fatto non credo ci siano stati. Qui ci sono due possibilità: o non hai mai ascoltato un disco dei Velvet Revolver, piuttosto che degli STP, oppure non hai mai ascoltato questo disco. Non dico che ti debba piacere a forza, ma, scusa se te lo dico, questa recensione sembra scritta da una persona che ha skippato le tracce a 30 secondi dal loro inizio e che non ha fatto il minimo sforzo di capire cosa sta sotto, il vero significato, il leggere tra le righe...ma soprattutto, IL LEGGERE I TESTI.
    Poi ci spiegherai anche come si fa a misurare il talento di un artista. Ripeto, il lavoro di una persona può essere apprezzato o meno...può anche fare schifo...ma non va mai sminuito come tu hai fatto.
    Grazie.

  • fab10 12 anni fa Rispondi

    hai ragione, chiaramente trovo che accostare il funky di Chilimangiaro a quello di Stone e Graham sia decisamente un'azzardo, ciò non toglie che gli STP non abbiano nulla in comune con un pezzo funky (seppur fatto male), tribale, che parla di feste estive sulla spiaggia, con una strofa hip hop e con il finale hardcore.
    per carità, il fatto che possa non piacere il disco è assolutamente legittimo così come lo è anche il giudizio finale sulla prescindibilità dell'album, ma l'eclettismo non può essere oggetto di discussione in un lavoro come questo: c'è, è qualcosa di ragionato e, che piaccia o no, è uno dei suoi elementi caratterizzanti.
    Hai parlato di talento, ma non è ben chiaro come questo si "misuri" secondo te...
    oltretutto, permettimi di dirti che quelli che sono davvero imprescindibili, se si vuole recensire un concept album del genere, sono i suoi testi (sui quali non è stata spesa una sola parola)
    per concludere, io penso che una recensione debba riassumere e rispecchiare il più possibile l'ascolto di un album nella sua interezza e qui, a mio avviso, non ci siamo proprio poichè è stata presentata solo una piccola e superficiale parte di questo.
    comunque questo spazio non credo sia stato pensando effettivamente per il giudizio del recensore quanto per dei giudizi sull'opera recensita, quindi mi scuso per aver divagato.

  • faustiko 12 anni fa Rispondi

    Caro Fabio... ci fossero sonorità funky in questo album! Suvvia: non basta far passare un disco come "eclettico" solo perché si prova a spaziare tra generi. Bisogna anche averne il talento per farlo... (e tutto ci ho sentito qua dentro tranne che echi di Sly & The Family Stone, per dirne uno...)

  • fab10 12 anni fa Rispondi

    perdonatemi, ma siamo sicuri che il recensore abbia ascoltato davvero i pezzi di cui ha scritto? Velvet revolver? Stone temple pilots accostati ad un pezzo dalle sonorità funky? personalmente mi sentirei di consigliargli un (ri)ascolto dell'album, sempre che le sue orecchie possano riuscire a sopportarlo... :P