Torquemada
Himalaya 2011 -

Himalaya

"Well, we knocked the bastard off!" disse Hillary arrivato alla fine della sua scalata. Chissà se lo stesso senso di sollievo e conquista ha preso i Torquemada una volta raggiunto il loro "Himalaya". Il senso della scalata, della sfida al mostro è una costante di questo disco, a partire dalla scelta della lingua italiana, un salto che preoccupa molte band nostrane, ma, diciamolo subito, mostro colpito, sconfitto e disintegrato dai Torquemada, che non perdono musicalità e lucidità nella parola.

Una linea immaginaria unisce i testi ancora a rappresentare la durezza dell'arrampicata: "Prima o poi avrò costanza", "…il mio corpo suda", "La strada è scoscesa, ma il coraggio non mi manca" e altre formule ricorrenti dal forte potere sinestetico; ci sono anche episodi meno convincenti come "De propaganda" e "Spot", brani che creano un microcosmo a parte rispetto al tema principale del disco, divagazioni con implicazioni più politiche e introspettive insieme, che esulano forse dal disegno generale ma singolarmente sono comunque degni di nota.

La sinestesia di cui si diceva prima è la caratteristica più marcata nei Torquemada, là dove si può individuare un chiaro disegno d'ambiente nella triade di apertura "Himalaya" (la preparazione), "K1" (le prime asprezze) e "Lo scatto" (le potenza inarrestabile di chi vuol riuscire a tutti i costi), ripreso in quella finale "Margaret", "K2" e "Ayalamih", che ripropone lo stesso schema di cavalcate epiche di chitarra, e le melodie spezzate affidate al violino. Nel mezzo, episodi meno collocabili, come "Il baricentro", un omaggio al folk rock e al rock'n'roll, che ricorda alcune intuizioni più melodiche degli ultimissimi Ardecore, o "La litania" una ballata incattivita, che gioca tra il minimalismo svuotato degli Shellac e l'abbondanza riempitiva dei Verdena.

Nel complesso, anche se è ancora forte l'attitudine melodica, siamo lontani dal modello che tante volte era stato citato a proposito di questa band, gli One dimensional man, ma più vicini al rumore, alla schiettezza, alle esplosioni sonore del Teatro degli orrori, spinta propulsiva rafforzata anche dalla scelta di registrare il disco in presa diretta, per riprendere l'impatto sonoro di un live in studio sfonda casse.

Il rovescio della medaglia è che a lungo andare "Himalaya" può dare l'impressione di essere eccessivamente monolitico nei suoni e nelle formule compositive, ma in questa visione di disegno complessivo che sembra emergere dalla totalità del disco, la compattezza non può che essere un pregio, a dimostrare anche che i Torquemada hanno già trovato il loro ambiente, il loro modus, i loro suoni e ora sono un gruppo maturo, forse molto vicino alla cima del monte.

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