Paolo Andreoni & Bussuku Bang! Un nome che sia vento 2011 - Cantautoriale, Strumentale

Un nome che sia vento precedente precedente

Un piccolo gioiello di autarchico cantautorato che trasuda corroborante malinconia, perché una vita tutta rose e fiori, alla fine dei conti, annoierebbe chiunque

Se il precedente “La caduta delle città del Nord” rappresentava per Andreoni una sorta di diploma di maturità cantautoriale, questo suo ultimo “Un nome che sia vento” può vantare a tutti gli effetti l’autorevolezza di un laurea specialistica. Nessuna lode o bacio accademico, ben inteso, visto che comunque durante il percorso il cantautore lombardo non si sottrae a confortevoli scappatoie liriche di facile presa, ciononostante rimane intatta, dopo l’ascolto delle undici tracce di questo piccolo gioiello autarchico, l’appagante sensazione di corroborante malinconia, perché una vita tutta rose e fiori, alla fine dei conti, annoierebbe chiunque.

Perciò, abbandonata la variabilità orchestrale dell’opera prima, Andreoni a questo giro inchioda tutte le sue disillusioni su architetture minimali di voce e chitarra, delegando a tastiere parsimoniose e intermezzi strumentali su 6 corde l’onere di tratteggiare visionari contorni. E’ un antagonismo placido il suo, quasi tibetano, fatto di rabbia soffocata e sognante solitudine – quest’ultima ben simboleggiata dal suo amore per l’Africa – poeticamente imparentata con il grande Bruno Lauzi o con l'ormai dimenticato Mario Castelnuovo, e con la bussola del cuore sempre orientata verso salvifici approdi deandreiani (“Un nome che sia vento”). E poi, come non crogiolarsi al sole della libertà ritrovata sul doloroso, quanto liberatorio, finale de “L’ultima parola”? (“Amor mio io me ne vado, non telefonarmi più”).

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La recensione Un nome che sia vento di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-04-26 00:00:00

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