“il disordine delle cose e i confini del tempo”, e altri spiccioli di fantascienza, confezionati dentro una blanda miscela di rock ed elettronica.
Forse partire dal dal titolo stesso di questo nuovo lavoro dei Lys Noirs può aiutarci a fare chiarezza. “Solaris” è il titolo del romanzo fantascientifico più famoso di Stanislaw Lem (lo trovate anche tra i classici Urania) dal quale poi sono stati tratti anche i rispettivi film di Tarkovskij e Soderbergh. Lungi dalle patinature blockbusteriane di “Star Trek” e “Guerre Stellari” qui siamo al cospetto della recondita e misteriosa dimensione filosofica della fantascienza, dinanzi alla metafisica materializzazione di pensieri e ricordi, il passato che rivive attraverso l’inconscio...Roba tosta insomma. Ecco, infilarsi dentro questo fascinoso ginepraio concettuale a colpi di sintetizzatori e patterns elettronici non era impresa facile, soprattutto perché già sviscerato anni addietro da mostri sacri come Tangerine Dream e Cluster - nella loro peculiare e onnicomprensiva sonorizzazione delle faccende siderali - o più recentemente dai ben più sinistri Young Gods (e, per i meno esterofili, anche dal Battiato più ispirato).
Nella quarta prova dei Lys Noirs tutto questo ben di Dio concettuale viene semplificato un po’ troppo sbrigativamente mediante formule liriche già consumate dal tempo e partiture orchestrali fin troppo schematiche, quasi del tutto deprivate delle suggestive implicazioni strumentali del cosmic-rock ma anche delle provvidenziali derive apocalittiche del caso. Qui tutte le cartucce del caricatore sembrano caricate a salve: rock, industrial, dark, dance ed elettroclash sono lì davanti a tutti ma privi di contorni visibili e perfino l’ibridazione sonora analogico/digitale risulta frustrata da una pessima registrazione.
Prevalgono alla fine, come collante scenografico per illustrare “il disordine delle cose e i confini del tempo”, i groovies retro-futuristici di stampo daft punk/moroderiano e le pulsazioni melodiche di scuola Subsonica (“Oltre i miei luoghi”, “Nulla è come prima”, “Eraserhead”). Troppo poco francamente. Un applauso alle intenzioni, comunque, e alla conclusiva “Urban Mantra” che ci regala persino un po’ di velato misticismo alla Dead Can Dance.
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La recensione Solaris di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-05-16 00:00:00
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