La Linea Del Pane Utopia di un'autopsia 2013 - Cantautoriale, Rock, Alternativo

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Quando la troppa ricercatezza diventa un punto a sfavore

Voglio mettere subito le mani avanti ed avvertire: "Utopia di un’Autopsia" è un disco difficile. Difficile da comprendere, difficile da analizzare, difficile da digerire. Il lavoro di La Linea del Pane si divide in quattro parti: preludio, tempo primo, tempo secondo e epilogo primo, proprio come fosse un racconto.

“Apologia della fine” è un brano malinconico, accordi semplici e un incedere lento, il basso pacato e le chitarre che iniziano a strisciare fino a salire d’intensità, per poi lasciare la fine a un bouzouki inaspettato. “Urlo di Ismaele”, pezzo che ricorda molto lo stile di Branduardi, ha un testo complesso, un racconto colmo di metafore e giochi di parole che si stendono su una struttura musicale pop rock. Con “Tempo da non perdere” si capisce che le liriche di tutti i pezzi sono studiate, ricercate, colte: “Per questo spazio e tempo io li invertirei e gli aprili ogni anno rubare senza dover come a scuola aspettare”, che somiglia ad una poesia. “Favola non violenta (indovinello n°1)” ha le sembianze di uno di quei racconti antichi che venivano recitati a corte, in tempi lontani, una favola che parla di un re innamorato di una donna ingrata, un tappeto di accordi leggeri e sommessi. Ogni brano è una storia a sé stante, come succede in “Ambrosia”, ballad morbida di violini accennati di tanto in tanto e sonorità che cullano mestamente; da questo momento si inizia però a risentire dell’estenuante ricercatezza delle liriche e l’attenzione cala inesorabilmente, come se si facesse fatica nel proseguire con l’ascolto. La struttura musicale è molto simile in quasi tutti i pezzi e si finisce col confondere alcuni brani fra di loro, come “Occhi di vetro” e “Gli alberi di Sophie”. “Favola non violenta (indovinello n°2)” è il reprise della traccia quattro, stesso giro di accordi ma acustici, stessi protagonisti; degno di nota “Nekròpolis” , violini acuti e nervosi iniziali, continui cambi ritmici che catturano l’attenzione precedentemente persa, tutto si fa più concitato e si sale d’intensità. “Solstizio d’inverno” chiude il capitolo, linguaggio meno forbito e quasi più “accessibile”, stessa atmosfera malinconica dell’intero disco.

La vera pecca è innanzitutto da attribuire alle liriche e alla loro estrema artificiosità che diventa spesso pesante; si ha l’impressione che tutto sia studiato eccessivamente a tavolino e che il focus sia prettamente sulla scelta di ogni singolo vocabolo e/o gioco di parole. Pare di avere a che fare con i trovatori del trobar leu o con i cantastorie del medioevo. Altra magagna: il cantato è piacevole e tecnicamente impeccabile, ma sacrificare un po’ di tecnica per qualche guizzo non sarebbe un’idea cosa malvagia; al contrario, restare sempre sulle stesse tonalità e non cambiare mai d’intensità risulta a tratti noioso. Grande dimestichezza con la musica e un disco (fin troppo) ricercato non sempre sono punti a favore. Forse La Linea del Pane ha esagerato un po’, aspetto perciò il prossimo lavoro sperando di trovare più passione e meno artifici, ché qui stancano troppo ed ammazzano la bellezza che la band vuole (e può) dimostrarci. Sono fiduciosa. 

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La recensione Utopia di un'autopsia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-02-24 00:00:00

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