Appino Il lavoro mobilita l'uomo (singolo) 2014 - Rock

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Come un consumato attore teatrale, gettati a terra gli abiti di scena e lavato a fatica il trucco, Andrea Appino lascia alle spalle il proprio testamento e rinuncia alle rumorose sovrastrutture con le quali si è esibito nel tour di quest'anno e che spingevano le storie di vita del suo primo album solista. Prima di ripartire con gli Zen Circus per altre migliaia di chilometri e ridipingersi la faccia col sorriso sardonico del menestrello punk cinico e sgangherato, lascia un epitaffio, un singolo momento di propria intima verità. Solo, con la chitarra acustica, nella tradizione del Woody Guthrie che con quello strumento nel '43 ci uccideva i fascisti, Appino ne canta una delle sue, coadiuvato in regia da Alessandro Ovi Sportelli della storica West Link.

Fingerpicking da manuale, musicalmente sembra ripercorrere il fil rouge che legò Fabrizio de Andrè a Francesco De Gregori e che culminò nel 1975 in "Volume 8" di Faber, album seminale per una qualsiasi discografia di cantautorato italiano che voglia definirsi tale. Senza dimenticare il mai troppo lodato Edoardo Bennato di quel periodo d'oro. In questo caso, l'ideale commistione tra "Le storie di ieri" e "La fata" si chiama "Il lavoro mobilita l'uomo" ed il tema trattato lo svela già il titolo. Lo sguardo è sempre quello, disincantato e disilluso, proprio dell'epoca sottilmente distopica che è l'oggi. Ma più che un discorso retorico sulla mancanza di lavoro, sui salari bassi e sui contratti a strozzo, la visione di Appino sembra rivolta a chi il lavoro se lo tiene stretto, nonostante tutto. "Lavoro che non hai pagato, in altra valuta è il salario, non sei certo tempo sprecato, ma troppo fiscale è l'orario. Devo darti ragione e brindo alla tua nobiltà è che ti han ridotto a prigione, contro la tua volontà." La malinconia s'impadronisce della seconda parte del testo, stringe lo stomaco ascoltare "I giorni in cui ero un vento d'estate son lontani ormai, oggi sono aria viziata da fumo e caffè. Penso e ripenso a quel che non ho fatto e perché mai, molto capisco e qualcosa mi sfugge lo sai. I conti li vedi da te, il tempo l'ho sempre ammazzato, a lavoro giusto quello che ho dato, l'amore non l'ho mai negato".

Il cantautore è nudo, si svela, porta alla ribalta gli eroi normali e sè stesso. Parla di vita. Parla d'amore, non parlandone. Soprattutto, scrive una bella canzone che fa il paio con "La Festa Della Liberazione" contenuta nell'album, come fossero entrambe un omaggio concettuale e formale ad una stagione di cantautorato probabilmente irripetibile.

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La recensione Il lavoro mobilita l'uomo (singolo) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-09-24 00:00:00

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