Un ambiziosetto, e parzialmente confuso, calderone elettronico dove la pancia prevarica la testa, ma non senza qualche colpo ad effetto.
Quanto a prolificità Lost In A Cup Of Coffee è, in Italia, secondo solo all'inarrestabile HAL; evidentemente l’elettronica domestica made in Italy non conosce momenti di stanchezza in quanto a stimoli e spunti creativi. Per lo “smanettone” pisano, infatti, si tratta della quinta registrazione licenziata in poco meno di un anno, tra singoli ed ep, ma la prima a poter vantare dignità di album con i suoi ben 14 brani in scaletta. “Electro Lux” – per quanto rappresenti solo una raccolta di composizioni registrate tra il 2011 e il 2013 – alza decisamente il tiro rispetto al precedente “Ambient Selection” non solo perché ne raddoppia la sostanza (quest’ultimo girava su 7 tracce) ma perché ne rinnega, in parte, l’ispirazione cosmica per aprirsi a una più panoramica varietà di stili che spaziano dall’ambient all’IDM, sfiorando con i polpastrelli cromature industriali, alterazioni breakbeat e persino derive post-romantiche.
Un calderone della strega che può intrigare e disturbare al contempo per quella sua mole di impulsi e frequenze assemblati via Logic/Ableton che tanto profumano di misurata schizofrenia: con la dovuta attenzione in questi 55 minuti abbondanti ci ritroverete un po’ di tutto, dai Chemical Brothers ai Moderat, dagli Air ai Radiohead più deliranti, e persino Philip Glass ed Aphex Twin come se cazzeggiassero dentro la stessa sala prove.
Talvolta al buon Michele Mallia sfugge il controllo della situazione, si sente, e spesso l’impressione generale è quella di un esuberante sperimentalismo di pancia che un po' soffoca i riconoscibili concettualismi di base; ciononostante saltellare dai nove minuti ossessivamente industrial di “No” alle leggerezze post-romantiche su piano di “Log into the dreams” non può che lasciare piacevolmente storditi.
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La recensione Electro Lux di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-04-08 00:00:00
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