Dal Tavoliere delle Puglie, slanciati da una rincorsa lunga dieci anni –tanto è durata la loro attività live prima di quest’esordio su disco- arrivano all’assalto, occhi di brace e coltello tra i denti, i Barsexuals.
In questo decennio di attività, nel quale la band ha sguazzato nelle più putride ed eccitanti paludi dell’underground, ha affinato una via personale al rock’n’roll che, in ambito italiano, non azzardo a dire sia inedita (perché effettivamente non lo è) ma, di certo, è poco battuta: ricollegandosi a quel rivolo del (proto- e post-) punk che si contaminava di tradizione blues, marciume, decadenza e malvagità, di cui massima espressione nostrana furono, trent'anni fa, i mai troppo osannati Not Moving, questo lavoro piomba nel 2016 come una bomba a mano a suo tempo innescata e lanciata ma mai ancora del tutto atterrata e deflagrata sul nostro suolo.
“Black Brown and White” è un disco che affonda, come accennato, le radici nel country blues e negli hollers delle piantagioni del Mississippi, svoltando, al crocicchio in cui Robert Johnson vendette l’anima a Lucifero, verso l’arroganza dello stile di Howlin’ Wolf o Professor Longhair, il voodoo parodiato da Screamin’ Jay Hawkins, e via via fino alla perdizione e la disperazione metropolitana di MC5, Cramps, Gun Club, Billy Childish, Jay Reatards e, l’ascendente più esplicito, Oblivians.
I quindici brani che lo compongono, registrati tutti in presa diretta e in orgogliosa bassa fedeltà, vanno a comporre un album compatto, ruvido e granitico, primitivo e martellante nella sezione ritmica di Igor Mortis, grezzo e nervoso nei riff della chitarra di Sabbathor e rauco nella voce dell’autonominatosi Reverendo Red Valentine.
Storie di sesso, di alcool, di notti buttate via, di redenzione rifiutata, di bassi istinti soddisfatti, di tombe profanate e del nulla che riempie le vite di periferia: per chi ama questo tipo di immaginario nella sua rappresentazione più estrema e lontana dai cliché ripuliti del mainstream, questo è un disco, letteralmente, esplosivo.
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