Tymbro Don't Panic, You can Dream 2017 - Psichedelia, Post-Rock, Ambient

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Il viaggio interstellare di Tymbro

È dagli allunaggi delle missioni aerospaziali raccontati dalle prime sperimentazioni psichedeliche, passando per le composizioni più recenti dello space rock, che dalla torre di controllo di Tymbro parte il countdown dell'album "Don't Panic, You can Dream". Un’eredità raccolta dal musicista romano, che si estende nell’open track di “Airport”, tra i pattern vintage dalle ritmiche anni ’80 e la suadenza degli eterei e morbidi vocalizzi, in perfetta sintonia con il bellissimo safari lunare targato Air.

L’album scritto in un arco di tempo molto lungo, è scandito da diversi momenti. “Dervish”, una piacevole e algida ninna nanna in crescendo, ritrova le influenze robotiche di Moby, su una base solida di archi e fraseggi capace di far scorrere il brano sulle armonie più intense di gruppi come Spiritualized e Sigur Rós.

Nella seconda tranche dell’lp, che va da “Newspaper Asteroid” al culmine di “Little Acid Love”, probabilmente il pezzo più bello del progetto, si concentra quell’onda di ritorno in formato rock che identifica ancor di più questo disco, dove le trame tessute dai Flaming Lips passano attraverso gli arrangiamenti gilmouriani nelle memorabili schitarrate soliste, accompagnate in modo analogo dall’eleganza del pianoforte. L’astrazione solo apparente di intermezzi strumentali, dinamiche più libere e arrangiamenti che vanno a disciogliersi nella struttura delle canzoni, spesso affine al mondo della musica classica, si materializza in “3:59” e “X”. Due esperimenti in grado di razionalizzare l'irrazionale, sfruttando nella prima l’omaggio alla celebre Strawberry Fields Forever, e nella seconda puntando lo sguardo verso l’asetticità onirica degli M83.

L’inquietudine finora abbastanza sopita nel disco, colpisce invece maggiormente la chiusura un po' più dream pop, dove l'equilibrio inossidabile di tecnica sonora costituita da shoegaze chitarristici in contrasto con l’avvolgenza dei riverberi sempre più persi e diradati nell’indefinito, fa da contraltare ad un ascolto meno agevole. Un saggio breve quello di "Don’t Panic, You Can Dream", che lascia un senso di enigmaticità espressiva interessante e ben realizzata.

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La recensione Don't Panic, You can Dream di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-01-17 00:00:00

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