Il terzo disco di Saymo prosegue il lavoro iniziato dal rapper ticinese nei suoi primi due album, pubblicati nel 2018 e 2019. Questo fa di lui un artista molto prolifico e coerente con le dichiarazioni d'intenti contenute dei primi due dischi “Odio su tela” e “Versi e lettere”.
Le basi di “Il mondo da un oblò” sono tutte campionamenti di strumentali e questo, insieme ad altri fattori, colloca il disco in una posizione di controtendenza rispetto alla scena rap attuale, sempre più ibridato con l'elettronica o il pop e sempre meno ispirato dai maestri della vecchia scuola e dal modo di scrivere degli anni '90. Così come nei due album precedenti è ampiamente utilizzata la tecnica, che qui diventa espediente, dello skit, che apre i brani di Saymo già dalla prima traccia.
L'ambientazione, l'abbiamo detto, è old school e l'album è lontano anni luce dai tentativi, visti e rivisti, di cavalcare la moda del momento o di imitare la trap o l'hip hop new school: questo è un merito che va riconosciuto a Saymo e alla sua crew. Purtroppo però non basta: eccezion fatta per qualche brano efficace, credibile e ben riuscito (uno su tutti “Radicato dentro all'anima”) il disco è piuttosto monotono e il flow del ticinese stenta a conquistare gli ascoltatori, anche i più vicini al rap delle origini. Si sente, ascoltando “Il mondo da un oblò” una grande preparazione e conoscenza dell'universo hip hop underground, soprattutto italiano, che viene citato direttamente e indirettamente: si segue il modus operandi dei rapper dello stivale ma il risultato non è convincente né di spessore.
Altra carenza è l'assenza pressoché totale dello scratch, la nobile arte che non poteva mancare nei dischi che hanno influenzato il lavoro di Saymo qui è praticamente del tutto assente. E non esiste disco rap (soprattutto se ispirato a quel tipo di rap underground di cui abbiamo parlato) senza una massiccia dose di scratch.
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