Amari
Scimmie d'amore 2007 - Pop, Hip-Hop, Elettronica

Scimmie d'amore

Se anche Paperino avesse iniziato a fare la musica in Italia oggi avrebbe un suo perché. E non era mica un buffone il nipotino di Zio Paperone, anzi. Lui avrebbe capito, come anche gli Amari, che il pop è sì la scuola delle irresponsabilità sociali e delle facilonerie musicali, ma è divertente. Quest’è in due righe il concept del nuovo disco dei colorati e poco-seri friulani. Cioè puoi pure dire che somigliano al rumore delle scarpe di Kanye West mentre corre Faster/Better la mattina al parco e scorreggia liberamente Harder/Stronger. E’ Pop sbagliato che rimanda al solluchero delle visioni sperimental-gastritiche della musica italiana.

Buona freschezza, facilità di risultare appetibili e quattro paroline che sembrano messe lì a caso. E infatti si. “D’un tratto suona un’orchestra di cerniere lampo, siamo arrivati”, “Viviamo vite dalla giacche stropicciate, se ancora non lo sai, nessuno di noi avrà più camice stirate” oppure “ho preso il cuore e l’ho nascosto sotto un mucchio di foglie” sono le storie che si snodano da questo disco di pop riotmakeriano. “Le belle parole non ci sono mai mancate, ma è anche vero che rispetto al passato in questo disco c'è tanto tanto più amore, continuiamo a ballare ma lo facciamo con più maturità e più cuore. Siamo tutti cresciuti” dice Enri Colibri all’intervista di Rockit.

Una generazione di scimmie che “schiva frecce di cupido a destra e a manca e forse è anche troppo stanca per una scimmia senza onore nè paura” e che nell’indecisione strimpella chitarre post-rock che per assurdo richiamano quella disco-funk con ritornellini all’italiana. Ci sono anche rime come quelle che fanno i veri rapper e synth sputtanabili benissimo. Per evitare equivoci: è un buon disco “Scimmie d’amore”. E stai attento alle parole vere. Zero trasgressione, ma molta facilità di linguaggio. Un bel progetto tranquillo. Stile ‘stendiamoci sul prato, stappa una bibita in lattina e godiamoci il rumore degli alberi’. E non ‘è una società del cazzo ora cago sul prato e vado a spaccare la faccia a quel nonnetto seduto sulla panchina’. Perciò non è un disco stupido. Anche se l’ironia è percepibile, ma non fisica. Il nuovo progetto degli Amari non è un disco per rubare i soldi alla gente. E’ clean-pop su beat electro, riferimenti ad El P tanto quanto Max Gazzè, Bersani o Dalla. Un disco breezy che spesso suona dancy. Per i più fanatici delle definizioni lo chiameremo italian-trash-punky. E sti cazz-y. Non è “Future Shock” di Herbie Hancock, ma “Planet Rock” di Africa Bambaataa resta sulla scia dei precedenti album (soprattutto “Grand Master Mogol”). Gli Amaretti sono consacrabili come una delle più importanti attrazioni quasi-circensi per i fanatici dell’easy-rock-pop in lingua italiana. Il motto sarebbe ‘Power to the pop’. La pazzia sembra essere stata regolata dai loro stessi genitori. Lontani dalla ‘figa bagnata’ ma vicini alla ‘patatina colorata’. Cioè quel tipo di filologia lì. Molto di moda nell’Italia leggermente radical-chic che non esagera con le droghe e passa il tempo nella lucidità dei prati verdi. Niente di male eh. Bastardi è troppo. Stronzi pure. Gente tranquilla è ok. Quella che poteva essere l’antitesi alla stasi è diventata una facile tesi statica. Ma divertente. “Ice Albergo” è il pezzo da ‘su le mani tutti’ o “Fiamme in un Bicchiere” suona le stranezze di un mondo irregolare. Il resto suona ‘intimo’. Forse il bello degli Amari era che non si capiva quasi nulla. Adesso capisci. Però non è brutto. Ha il suo bel perché. A proposito, non si riesce proprio a contattare Paperino?

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