Terminal

Terminal

submeet

2020 - Noise, Industrial, Shoegaze

Descrizione

“Il luogo a cui ci siamo ispirati è l’aeroporto. Non uno in particolare, ma l’immaginario di tutti gli elementi che compongono l’esperienza del viaggiare tramite il volo. L’aereo è il mezzo più veloce e comodo per muoversi, ma è anche quello in cui si è sottoposti a maggior controllo dell’identità“.

Nell’epoca frammentaria in cui viviamo c’è qualcosa che ci unisce, e a cui non possiamo sfuggire: il rumore. Non solo quello della strada o dei locali affollati, colonna sonora della nostra quotidianità, ma anche quel brusio costante di sottofondo che veicola notizie e idee fino a renderci omologati, tutti rivolti nella stessa direzione. È il suono meno riconoscibile tra tutti i bombardamenti cui siamo sottoposti. Per provare a captare i segnali di una società frenetica e senza via d’uscita, i submeet sono entrati in uno dei luoghi più rumorosi che esistano: il terminal di un aeroporto, con le voci e le urla dei passeggeri che si sovrappongono al frastuono degli aerei che atterrano o decollano. È in quel luogo di passaggio e scambio, in quella frontiera ultima o prima a seconda del punto di vista, che nasce Terminal, il primo album in uscita in vinile e digitale il 24 gennaio 2020 su Lady Sometimes Records del trio mantovano composto da Zannunzio (Andrea Zanini), Andrea Guardabascio e Jacopo Rossi, la cui unica precedente prova discografica è l’omonimo EP del 2017.

Da allora molte cose sono cambiate. Il sound, anzitutto: dallo shoegaze delle origini i submeet sono passati a un ibrido di post-punk e noise dai riferimenti ben precisi. Negli ultimi anni la band mantovana ha suonato tantissimo, in Italia e all’estero (ricordiamo il recente tour in Francia e Svizzera), grazie al passaparola di colleghi musicisti e addetti ai lavori. E così alle date di supporto a Be Forest, Cosmetic, Soviet Soviet, Havah, ecc., si è aggiunta l’apertura ai Preoccupations lo scorso inverno al Covo di Bologna: sono stati gli stessi canadesi a volere i submeet. “Condividere il palco con loro è stata ovviamente una grande emozione per noi, dato che sono uno dei nostri gruppi preferiti. Ma ancora meglio è stato ricevere il loro apprezzamento. Siamo in contatto da tempo e magari li rincontreremo presto…”.

In effetti, nella foga senza sconti di Terminal sono almeno due i punti di riferimento che possiamo citare: i Preoccupations, appunto, per il lato prettamente post-punk e il rumorismo sonico degli A Place To Bury Strangers. Ma lo stile dei submeet si spinge oltre: da clangori ieratici che esplodono in sfuriate fuori controllo – accade nella title track Terminal, scelta come singolo apripista fuori il 29 novembre 2019 con video realizzato da Zannunzio – agli approdi meno spigolosi di Nimby, sino ai bagliori frenetici di BGY, uno dei cavalli dei battaglia dal vivo. Senza rinunciare del tutto alla forma-canzone, il terzetto lombardo assembla brani spesso contraddistinti da subitanei cambi di tempo (Makkathronic e RA815 REV. 0 sono una grande prova di stile), schegge impazzite di noise-punk (Boelcke), latenti retaggi shoegaze (White Arms), cavalcate notturne in spazi urbani abbandonati (Capsule Hotel), incubi in stile Cronenberg di carne e metallo (la dilatata Audiodrome).

Pur non essendo un concept, Terminal è un album con delle coordinate nette anche a livello di testi: “I brani – spiegano i submeet – parlano del rifiuto della condizione alienante sottoposta da una società post-industriale in cui non ci riconosciamo, ma di cui parliamo lo stesso linguaggio fatto di rumori metallici, distorti e assordanti. Terminal come morte, in generale. Morte dell’uomo come morte di coscienza, intelletto, autenticità e libertà di pensiero. Terminal anche come ‘terminale’, ovvero schermo/monitor in cui la società moderna in cui viviamo oggi si riflette. L’accezione aeroportuale del termine, invece, volge a uno spiraglio di speranza; è una fine, sì, ma da cui si può ripartire e ricominciare”.

Importante per il sound di Terminal è stata la collaborazione in fase di produzione con Davide Chiari dei Tin Woodman (Centuries Reverb): “Aver registrato con lui, completamente in analogico, è stato un esperimento a tutti gli effetti. Davide è riuscito a entrare in empatia con noi e con quello che voleva essere questo album consigliandoci a partire dalla scelta della location delle incisioni – una camera di cemento situata in un parcheggio sotterraneo – fino a importanti accorgimenti nel mix che hanno caratterizzato le sonorità rendendole davvero originali“. Il master, infine, è stato affidato a Stefano Vanoni (Saturn Masters). Pronti all’imbarco.

Credits

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