Descrizione

«Gli unoauno sono tre studenti universitari poco più che ventenni. Invece di andare a figa e per aperitivi in centro, suonano post-punk seguendo interessanti traiettorie sonore. Dai che c’è ancora speranza in questo acciaccato paese».
Così Manuel Graziani (Rumore n°313) su Cronache carsiche, il primo disco degli unoauno, uscito a fine-2017 e accolto da ogni parte da giudizi esaltanti.
Ma Cronache carsiche non è stato solo un disco travolto da belle rece, bensì un’operazione verità, un vero e proprio atto di guerra al mainstream. Niente chitarre, il basso che fa di ogni, una batteria che trita terzine e sincopi, in parte elettronica in parte no, parole pesanti come pietre, qualche colpo di synth, suoni chirurgici e spigolosissimi… tutto sparato in faccia senza artifici di produzione. Che poi è lo specchio esatto dei loro live: megatoni, sincronismo, spontaneità. Cose che credevi estinte insieme agli anni ’90, ma aggiornate all’era di Spotify.
Quasi due anni dopo, gli unoauno rincarano la dose con Barafonda. Stesso organico, stessi strumenti, più o meno le stesse filiazioni sottotraccia – CSI, Massimo Volume, Shellac, Black Flag – ma la loro personalità deflagra ancora più impetuosa. Barafonda è una raffica di proiettili esplosivi: Panorama dura un minuto e mezzo, il singolo Nessuno 2:13, per un timing di appena 24’ in 9 pezzi. Un blitzkrieg in piena regola, dove nulla è prevedibile. Il filo conduttore dell’album è la noia, presa di mira insieme alla sua figlia naturale: la fissazione transgenerazionale per la novità. Quella che ci fa piacere tutto, accettare l’inaccettabile, sbronzare di un anticonformismo di facciata mentre lasciamo spegnersi l’unico slancio che ci renderebbe davvero liberi: la ricerca di una “normalità” tutta nostra, senza condizionamenti.
Con Barafonda gli unoauno rinsaldano il loro presidio in quell’area a rischio che è diventata l’underground italiano. Mantengono la posizione senza pararsi il culo con effetti nostalgia o altri espedienti modaioli. In ottobre salteranno da un palco all’altro, in Italia e all’estero, seminando un incontrollabile incendio cognitivo.

«Non c’è mai niente di nuovo sotto il sole.
E mai niente di nuovo ci sarà. Patti chiari, amicizia lunga.
La novità, questa corsa incessante della specie – perpetuata dall’individuo ogni santo giorno, negli spazi urbani, nelle aspirazioni modeste, nelle intimità terremotate – è solo il grande alibi, la grande fantasmagoria della volontà annoiata, della noia di una vita ripiegata su se stessa.
Senza obiettivi non si va avanti – non si va da nessuna parte, questo è chiaro; è la prima regola di ogni grande guru-motivatore. Ma bisogna andare avanti, bisogna pur combinare qualcosa nella vita: si dovrà pur ammazzare il tempo in qualche modo, o no? Ed ecco che, per tirare a campare, si tira fuori dal cilindro questo livellatore seriale delle esperienze, la novità, appunto. Tutto è stato nuovo – almeno una volta – e tutto ricade uguale, dimenticato dopo il precipitoso passaggio del consumatore.
La normalità diventa il male. L’unico vero male. L’unico che vale la pena combattere rimettendoci il culo davvero. Tutto, basta che non sia banale. Musica cosmetica, musica dalla battutina pronta, musica fintamente ingenua, che puzza di morto decomposto dimenticato sul balcone, ma che si veste a festa celebrando la noia della sua mediocrità, della sua spontanea semplicità – paradosso dei paradossi – come se fosse originale, alternativo: nuovo, sempre nuovo.
In questo cortocircuito la noia è talmente annoiata – è così difficile e così facile trovare sempre qualcosa di nuovo – che non si annoia più, annoiandosi. Onanismo datato 2019.
E quindi? Meglio il sottosuolo. Meglio percorrere il lento e faticoso cammino degli affluenti, e poi godere del mare. Così spaventoso, così maestoso. Cercare solo perché è bello cercare. Giocare solo per giocare. Partecipare con tutta la responsabilità che comporta, quando tocca a te parlare. Quando è il tuo turno, non cercare di dire la cosa giusta, perché nessuno dice la cosa giusta. È sempre e solo lui che la dice.
Pesa le parole, ma parla. Non è facile. Bisogna calarsi negli elementi e scomparire. Affondare per poter rinascere. Allargare il fondo – sfondare.
“Fino a qualche mese fa non era nessuno, doveva pagare per suonare in posti inculati dal mondo. Poi ha sfondato, all’improvviso. Assurdo.”»

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