Francesco Bosa Il Castello 2020 - Strumentale, Sperimentale, Noise

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Musica elettroacustica e noise per sole chitarre in un concept ispirato a Kafka

‘Il Castello’ di Francesco Bosa si apre con una doppietta ingannevole, l’intro recitato di Quale strada e il post-punk industriale quasi alla CCCP di Toccata. Poi, abbastanza di improvviso, con Forme I si precipita all’improvviso in una dimensione astratta, criptica e anche un po’ angociosa. Del resto per un album che ha ‘Il castello’ di Kafka e Lewis Carroll come riferimenti letterari ce lo potevamo aspettare. Da quel momento in poi, le successive tracce sono più in linea con la discografia di Bosa, che da anni si muove intorno ad un certo tipo di elettronica, alla musica concreta e all’acusmatica, alle sonorizzazioni. ‘Il castello’ si muove su queste stesse coordinate, fra il noise e l’industrial, la musica elettroacustica, l’ambient cinematografica più oscura, forme di elettronica libera e astratta che per comodità solitamente si definiscono sperimentali. La particolarità di questo lavoro è che l’armamentario non è quello solito di oscillatori, registratori e macchine, ma si riduce a chitarra ed effettistica. Ogni gesto sonoro, ogni tappeto, ogni rumore, sfrigolio e percussione vengono solo da una sapiente manipolazione delle vecchie care chitarre elettriche e dei loro suoni. Lungi dal dire che il lavoro abbia un approccio “rock”, c’è però da dire che la musicalità della chitarra facilita il recupero le radici post punk e industrial di questa ricerca sonora; arrivano così alcuni elementi melodici,fraseggi sommessi e vagamente esotici, arpeggi (Wunderkammerland, Ricercare), ma anche percussioni e momenti più o meno ritmati (la title-track). Nonostante la relativa eterogeneità dei suoni, il lavoro nel complesso appare organico, organizzato come una composizione classica (il lessico dei titoli e il posizionamento di alcuni brani) o come una colonna sonora, con passaggi fortemente cinematografici (Labirinto notturno, i richiami melodici di Il castello) e un’alternanza equilibrata di silenzi, violenza sonora, melodie e pause riflessive. Così, grazie anche alla presenza strategica di momenti più musicali, si riesce a passare indenni e senza cali importanti di attenzione anche attraverso i brani più destrutturati e puramente sonori, come il rumorismo dei due Forme… e l’ambient estremamente rarefatta di Labirinto all’alba. Si tratta di un lavoro che risulterà naturalmente ostico a chi è totalmente estraneo a questo tipo di linguaggio, ma abbastanza fruibile anche per il pubblico meno radicale.

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La recensione Il Castello di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-11-06 00:00:00

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