Bad Black Sheep Non nel mio mare 2020 - Rock, Pop punk, Punk rock

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Secondo album per la band, che dal grunge in chiave punk si spinge fino a varcare la soglia dell’indie rock

Varcato l’ingresso nell’autostrada dell’industria discografica dell’ultimo ventennio – notoriamente uno dei tratti autostradali più movimentati e rivoluzionari della storia – i Bad Black Sheep sbandavano inizialmente tra la voglia di seguire gli insegnamenti “old school” dei loro maestri – quelli che incendiavano i palchi negli anni 90 (non per altro il primo album della band si intitola proprio “1991”, anno dell’uscita di “Nevermind” dei Nirvana, “Ten” dei Pearl Jam, “Badmotorfinger” dei Soundgarden e il disco eponimo dei Pennywise giusto per nominare alcuni capolavori grunge e punk rock, generi dichiaratamente di riferimento dei nostri), oppure accostarsi ai modus operandi a loro contemporanei. Per questo, pur cominciando sin dal 2006, anno della loro formazione, a produrre pezzi propri, hanno fatto una seria gavetta senza puntare immediatamente all’incisione di EP o addirittura LP (cosa che di questi tempi sembra invece avere la priorità) bensì registrando al massimo brevi demo e singoli utili a presentarsi ai locali o ai concorsi in cui farsi le ossa. Nei primi anni hanno quindi calcato diversi palchi per comprendere quanto di buono stavano facendo e cosa invece andava perfezionato e hanno anche rivisto più volte la formazione fino a giungere a quella che troviamo in questo disco, intitolato “Non nel mio mare”, con Filippo Altafini (membro fondatore) alla voce e al basso, Francesco Ceola alle sei corde e Gregory Saccozza dietro le pelli. Il risultato di questi anni di riflessione sulla propria musica li ha condotti quindi a maturare un sound debitore del passato ma anche carico di suggestioni più personali.

Se “1991”, pubblicato nel 2013, spingeva soprattutto sul pedale dell’alternative rock, sempre masticando grunge arricchito da spezie punk, in questo nuovo lavoro su lunga distanza le chitarre distorte aprono i loro orizzonti e si spingono oltre, fino a toccare languide gradazioni indie decisamente mature e attuali. Così questo LP suona come una fusione tra i Ministri (per i quali negli anni passati i nostri hanno aperto anche alcuni concerti) e i Kings Of Leon in salsa indie rock, e vede la band di Divi, Dragogna ed Esposito farla da padrona prevalentemente nella prima parte del disco (con “Esodo” che eccelle su tutte) e i secondi soprattutto verso la fine dell’album, palesandosi con decisione proprio nel brano conclusivo, “Tutto sarà diverso”. Nel mezzo ovviamente si susseguono ispirazioni variegate che mostrano un background policromo ma sempre fedele alle radici dei generi succitati, sprigionato in modi diversi attraverso brani originali, ricchi di ottime melodie e straordinariamente curati negli arrangiamenti.

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La recensione Non nel mio mare di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-10-08 10:35:00

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