Pitchtorch I Can See The Light From Here 2023 - Rock, Psichedelia, Folk

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Se la luce potesse parlare, chiederebbe ai Pitchtorch di tradurre. E avrebbe un accento decisamente folk.

“Una lanterna che illumina la via da prendere”, questa la definizione che i Pitchtorch danno del loro sound nella bio di Spotify. E all’altezza del secondo album in studio, I can see the light from here, la strada è più luminosa che mai. La trinità Evangelista-Gallo-Biagiotti fa un taglia e cuci delle influenze e delle sonorità passate e ricama una tela delle nuove voglie alternative-folk in un progetto che mischia sperimentalismo e confort.

Una panoramica della scaletta? Subito.
Sometimes è il battesimo dell’album, un po’ Pearl Jam e un po’ Biffy Clyro (degli esordi, quando ancora si tenevano alla larga dal pop), subito seguita da Jack of All Trades a mettere in chiaro le cose: l’ascendente americano si sente, e non nascondo di aver sentito una connessione astrale con Let’s hurt tonight degli Onerepublic. Certo, meno pop e meno dolceamara della hit di Ryan Tedder e compagni, ma la melodia che titilla l’orecchio è quella.
A dare il giro di vite country-folk ci pensa però Flying Ants, una spazzolata che risveglia il John Mayer dentro ognuno di noi, e che tramonta su una carezza dei fiati di Francesco Bigoni.
Che però dura il tempo di passare alla traccia successiva, perché Time (Devil’s Best Delight, da buon figliol prodigo, ritorna sui passi rock-folk di inizio album, preparando il terreno alla scampagnata nel regno blues di That’s Our Blues. “Our”, “nostro”, perché il cordone ombelicale con le sonorità dei The Gutbuckets, in cui militava il chitarrista Mario Evangelista, è ancora lì da tagliare: date un ascolto a Weed Smoker’s Dream e lo scoprirete.

Siamo alla metà simmetrica: non possiamo che scollinare al ritmo di Downtown Livorno, libidine strumentale dedicata all’amor patriae toscano, alla volta di Ask the Dust, il singolo rilasciato il 20 gennaio come boccone di degustazione
Sulla scia di questa ballata tutta spazzole e acustica troviamo la triade di chiusura: Mother è un pezzo lunare, una liturgia dell’assenza che si affida ai piatti e a qualche goccia d’elettrica, e non è un caso (ma questo me lo racconto io) che proprio la luna sia la protagonista della canzone successiva, Blame It On The Moon”. La title track viene invece lasciata in coda, quasi a dire che “I can see the light from here” acquisti ancor più intensità se vissuta sul fondo, a sipario mezzo calato.

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La recensione I Can See The Light From Here di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-02-07 13:20:00

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