Come fare amicizia con Ennio Morricone (e scrivere la storia della sua vita)

La storia di Alessandro de Rosa è pazzesca e perfetta come in un romanzo: inizia con lui a 18 anni che insegue Morricone, e finisce con la pubblicazione a quattro mani della sua prima biografia ufficiale.

Avete presente quelle scene da film nelle quali il musicista emergente rincorre ovunque la leggenda vivente per consegnargli il suo demo? Non sempre va a finire bene, nemmeno nei film. Eppure la storia di Alessandro de Rosa è pazzesca e perfetta come in un romanzo: un diciottenne decide di forzare il muro della security durante un evento, si avvicina a Morricone e in pochi secondi lo convince a portarsi a casa quel cd masterizzato per dare un ascolto ai suoi pezzi (“in particolare la traccia 11”, così c’era scritto nel bigliettino che accompagnava il demo). E il giorno dopo, ovviamente, Morricone gli lascia un messaggio in segreteria: i suoi pezzi non sono male, ma il consiglio è quello di mettersi a studiare seriamente composizione.

Così inizia la storia dell’amicizia tra Ennio Morricone e un giovane compositore che più di 10 anni dopo fiorisce in un libro, una biografia per la precisione, che lo stesso Morricone definisce “senza dubbio il miglior libro che mi riguarda, il più autentico, il più dettagliato e curato. Il più vero”.

“Inseguendo quel suono” è uscito lo scorso maggio per Mondadori, e per noi è stato uno dei libri migliori del 2016. Sicuramente un libro da leggere per i fan di Morricone, ma anche per chi non ne è mai stato particolarmente attratto: la carriera e il metodo compositivo del Maestro, infatti, trascendono i gusti personali o l'esperienza di ognuno con la scrittura musicale. Piuttosto, tracciano una storia della musica italiana che è impossibile ignorare. Ne abbiamo parlato con lo stesso Alessandro De Rosa.

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Ciao Alessandro. L’idea di una biografia di Morricone scritta a quattro mani è venuta a te o lui?
Nel 2005 ho chiesto a Morricone di essere il mio insegnante di composizione, ma mi disse di no perché non aveva tempo. Negli anni però ho cercato di coltivare una relazione con lui, ovviamente sempre da maestro ad allievo. Ogni tanto gli portavo dei miei dischi da valutare, gli lasciavo delle lettere, lui poi mi richiamava e mi diceva cosa ne pensava.
Nel 2011, in una delle mie lettere gli scrissi che stavo lasciando Roma alla volta dell’Olanda. Lui mi richiamò chiedendomi di passare a casa sua appena sarei tornato, perché doveva farmi leggere uno scritto. Era un testo che parlava della sua esperienza di compositore, poche pagine che leggeva come canovaccio durante le conferenze alle quali veniva invitato a parlare. Io ho studiato storia della musica e ovviamente conoscevo la carriera di Morricone; leggendo quelle righe capì che c’erano delle cose che lui non diceva, ma che erano molto interessanti. E quindi gli dissi che valeva la pena approfondire. Lui mi rispose che non aveva molto tempo ma che avrebbe cercato di trovarlo. Così iniziammo.

Quindi tu, praticamente, ogni tanto andavi a casa di Morricone per chiacchierare.
Esatto. Ogni mese, o un paio di volte al mese. Facevo la spola dall’Olanda.

Iniziavate a parlare a ruota libera, oppure avevi una tua lista di argomenti da trattare?
Quando Morricone mi anticipò che era disponibile ad incontrarmi per approfondire certi argomenti, cominciai a documentarmi e studiare e riflettere, anche perché dalla proposta al primo incontro passarono sei mesi. Ovviamente volevo partire dal testo che mi aveva dato, però avevo tantissime altre cose da chiedere, argomenti da approfondire. Ad esempio la sua infanzia. Anche perché molte delle caratteristiche del pensiero di Morricone nascono attraverso il contesto che lui ha vissuto, com’è normale che sia.
Quindi ho iniziato a leggere dei testi, a vedere dei film, a fare delle ricerche, ho costruito una timeline della sua vita personale e artistica, ho raccolto delle testimonianze di altri suoi colleghi e amici, ho iniziato ad ascoltare anche delle sue cose che non conoscevo e a farmi un’idea. C’erano dei punti che volevo chiarificare, per esempio il suo rapporto con Pasolini, con Petrassi.
Mi ero reso conto che era davvero bizzarro che non ci fosse ancora una biografia di Morricone in commercio, ma conoscendolo (è una persona molto schiva) ho capito il perché. Tuttora questa cosa del libro Morricone non la vive con entusiasmo, perché lui pensa sempre al futuro e l’idea di una biografia lo fa sentire morto, dentro un museo. Ne ha quasi un rigetto.
In ogni caso, durante i nostri incontri andavamo piuttosto a braccio.

Ci sono delle cose su Morricone che, quando hai iniziato a lavorare con lui alla biografia, non avresti mai pensato?
Di Morricone conoscevo solo i brani più famosi che compose per il cinema. Sapevo che aveva una vita parallela di sperimentazione musicale, però non l’avevo mai esplorata. Analizzare tutta questa parte è stato fondamentale per capire meglio il suo pensiero. Mano a mano che scavavo più a fondo mi rendevo conto di come Morricone sia davvero un grande personaggio dei nostri tempi, e della storia della musica internazionale. È riuscito ad arrivare dove molti altri non sono riusciti ad arrivare, aggiungendo una sua sintesi personale che è quello che fa la differenza tra la sua musica e tutto il resto.

Forse non lo immaginerai, ma il contenuto più letto di sempre su Rockit riguarda proprio Morricone. Questo testimonia che l’attenzione e la stima verso il Maestro è trasversale, e non relegata agli appassionati di un certo genere musicale. Mi chiedo, al contrario, se Morricone abbia coscienza del rock o del pop di oggi
Morricone magari non conoscerà le ultime uscite discografiche, ma ha molto rispetto del mondo del rock e del pop. I Dire Straits lo hanno invitato a pranzo e lui ci è andato; ha incontrato Springsteen a Roma, è a conoscenza del fatto che molti gruppi (come ad esempio i Muse) aprono i concerti con delle sue musiche. Ha grande rispetto per tutti i generi musicali, ricerca l’autenticità, quella della musica fuori dalle logiche commerciali, la musica che ha qualcosa da dire. Questo tipo di musica la ascolta, anzi se ne sente vicino.
Qualche anno fa scrisse la prefazione de “Come un killer sotto il sole”, un’antologia dei testi di Springsteen a firma Leonardo Colombati. Ebbene nel testo, oltre a raccontare il suo amore per Springsteen, ha scritto di come si senta molto vicino all’intenzione di Springsteen pur avendo un modo molto diverso di svilupparla. Addirittura dice che la scrittura di Springsteen è cinematografica, e che ne apprezza il senso di pietas nella rappresentazione dell’uomo, ci trova un grande rispetto nei confronti della sofferenza umana. Ne apprezza anche la capacità di esprimere in maniera semplice delle idee complesse, che poi è quello che fa anche Morricone nel suo lavoro.

Prima parlavi di autenticità della musica. Una delle cose pazzesche di Morricone, uno dei messaggi importanti che ha dato alla cultura italiana, è che è possibile conciliare la musica come lavoro (anche quella su commissione) a uno slancio creativo personale che non deve per forza piegarsi a logiche commerciali. Anzi, in questa cornice Morricone è anche riuscito a sperimentare sempre di più. Oggi invece sembra che la scelta per un musicista sia tra il produrre musica commerciale, e il produrre musica di qualità che però non avrà successo.
Sono d’accordo. Ennio Morricone parla sempre di questo argomento, ne ha parlato anche nel suo discorso alla Walk of Fame. Lui è stato sempre “costretto” ad arrivare al pubblico di massa (quello del cinema) recuperando però sempre qualcosa che lo facesse sentire a posto con se stesso, ovvero un musicista che veniva da un percorso serio e “impegnato”. Restituire delle cose ma sempre rimanendo nella comunicabilità. Petrassi, il suo maestro, parlava di “servi di più padroni”. Ma in fondo nell’atto stesso di scrivere musica si è servi: dell’orizzontalità della melodia, dell’armonia, di un linguaggio. Devi rispettare delle regole di pratica musicale.
Una delle parole chiave di Morricone, che lui ripete in continuazione, è la parola “riscatto”. Il riscatto di sé stesso verso l’opera cinematografica, verso il mestiere, che non deve diventare mai passivo o stupido. A volte quel che rende fantastico il lavoro di Morricone non è nemmeno l’idea musicale, ma l’approccio che ha all’immagine. C’è questa scena bellissima di “Metti una sera a cena” in cui un uomo spoglia una donna. Morricone si è inventato una passacaglia che si chiama “Croce d’amore” che si regge su tre note, do, re e mi bemolle. Su questa piccola cellula se ne stratificano altre, come se fosse lui che sta “scolpendo” la donna mentre l’altro la spoglia. Quando vedi il film non ci pensi, ma è così.

Quello che mi ha colpito di questo libro è che spiega nel dettaglio tutti i retroscena della composizione delle varie colonne sonore. Temi che magari abbiamo ascoltato decine di volte, ma che non immaginiamo potessero avere dei concetti così complessi dietro, delle storie così appassionanti. Insomma le musiche di Morricone sono perfette, ma spesso non sai perché
Quello che volevamo fare con questo libro era proprio fornire tutti i perché, sempre lasciando spazio al mistero. Durante i nostri discorsi parlavamo spesso di questo delicato equilibrio comunicativo, per cui il pubblico sente qualcosa che già conosce, ma anche qualcosa che non sa, per cui è agganciato. Lui ha arrangiato un album di Chico Buarque, “Per un pugno di samba”, che è interessantissimo. Ad esempio il testo di “Lei no, lei sta ballando” parla di una donna che impazzisce durante un carnevale. Ennio lì ha utilizzato una serie di otto suoni e l’ha fatta cantare a Edda dell’Orso a mo’ di introduzione, come se fosse la voce di questa donna impazzita. Una voce che, anche se bassa, accompagna tutta la canzone e ti restituisce l’esatta sensazione della storia raccontata.

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Una cosa che mi ha colpito leggendo il libro è che Morricone ha lavorato per i più grandi registi così come per i debuttanti. Capolavori e pellicole di serie b, senza distinzione. C’è mai stato un film che Morricone si è rifiutato di musicare, perché non gli piaceva?
L’idea che lo guidava era la sperimentazione, non quella della carriera tradizionalmente intesa. Sicuramente aveva voglia (e in alcuni casi anche il bisogno) di guadagnare, però si trovò a rinunciare anche a delle offerte molto vantaggiose e prestigiose. Ad esempio quando iniziò ad essere conosciuto per i western, cominciarono ad arrivare un sacco di richieste dalle grandi produzioni americane. Ma per paura di rimanere per sempre intrappolato in quel genere, cominciò invece a lavorare con i giovani: Bellocchio, Silvano Agosti, che all’epoca erano quasi debuttanti che non conosceva nessuno, perché aveva voglia di sperimentare. Che io sappia, Morricone non ha mai rifiutato un film perché gli sembrava brutto; magari ha rifiutato perché la produzione non aveva soldi per pagarlo, o magari perché c’era un attrito con il regista. L’unica cosa di cui si è pentito, a volte, è di aver accettato film che non gli piacevano magari con la presunzione di “riscattarli” con la colonna sonora. Alcune volte ci è riuscito e le sue musiche sono rimaste nella storia, a differenza della pellicola.
Ad esempio in “Gli occhi freddi della paura” si porta dietro il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, e riesce a sperimentare e portare un’esperienza in un contesto nuovo. Lavorare con loro aveva un’altra valenza per lui, era un ritorno alla musica di sperimentazione, si sentiva finalmente accettato dai compositori della sua scuola, ma allo stesso tempo si divertiva. Riuscì a trasformare tutto in una grande occasione, con dei risultati di successo.

C’è qualcosa in particolare che senti di aver imparato da questi tre anni di discorsi con Morricone?
A livello musicale molto, ad esempio il fatto di ragionare per intervalli. E poi molte sue idee io le ho applicate nella mia musica, anzi, mi devo un po’ disintossicare perché spesso sono troppo legato alla sua visione. Fare un lavoro del genere ha significato interiorizzare il pensiero dell’altro, e ricostruirlo. 

Nel libro, tra tutte le persone che hanno incrociato la vita di Ennio, ci sono pochissime donne. A parte la sua storica cantante Edda dell’Orso, e sua moglie Maria (che invero ha avuto e ha tuttora un ruolo importante nel suo lavoro), non c’è nessun’altra. Colleghe, compagne di studi, amiche. 
Quella italiana era ed è (anche se oggi in misura minore) una società maschilista, e su questo non c’è dubbio. Però ad esempio la moglie di Leone è stata fondamentale nella loro collaborazione, perché il rapporto professionale tra il regista e il compositore a volte non era fluido; sua moglie però era la persona che riusciva a collegare il mondo professionale del marito con quello dell’amicizia; e poi quando le chiedevano cosa ne pensasse, lei dava la sua opinione con grande imparzialità e apriva dei mondi che per loro era importante esplorare.
C’è un film che per Ennio è stato importante e che tratta il tema della condizone della donna, che è “Malena”. Per lui è stato emozionante musicare la storia di una donna che veniva giudicata male. Lavorare a questo film per lui ha significato lavorare al riscatto della condizione femminile. Anche con il tema dell’omosessualità ha avuto un approccio simile: arriva a Pasolini con un pregiudizio dovuto al fatto che lui aveva letto i giornali come tutti, e all’epoca i giornali ci andavano giù pesanti con queste storie. Poi però dopo averlo conosciuto capisce di avere di fronte una persona rispettabilissima, cambia idea immediatamente e capisce la grande ingiustizia che aveva subito Pasolini nel racconto dell’opinione pubblica del tempo. Morricone per certi versi è un conservatore, così come lo è chiunque sia cresciuto durante il fascismo. Però quando poi si avvicina a certi temi non lo è, o meglio scopre da solo di non esserlo.

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Il rapporto con sua moglie, invece? Spesso ha dichiarato che ogni volta che compone qualcosa lo fa sentire a lei per l'approvazione finale.
È vero. Per ogni film che fa propone 6-7 temi da far scegliere al regista. Nel corso degli anni, però, si è reso conto che spesso i temi che i registi sceglievano erano quelli che a lui piacevano di meno, allora ha pensato di farli ascoltare a Maria. Se lei dava il suo ok, il tema arrivava al regista, altrimenti no. In questo modo, anche se il regista avesse scelto quello che per lui era il tema peggiore, comunque era un tema passato dal vaglio di Maria, per cui ci era già un po’ più affezionato. Maria ha un forte potere su di lui. Per la collaborazione con Tarantino, ad esempio, anche Maria ha letto il copione. La sua opinione è fondamentale, anche perché è una donna molto intelligente e curiosa.

Se non sbaglio i due non si sono mai allontanati da Roma, nonostante la brillante carriera. Prima Trastevere, dove sono cresciuti, poi a Mentana, nelle campagne romane, poi Piazza Venezia e ora l’Eur.
Sì, assolutamente. Pensa che De Laurentiis a un certo punto si offrì di regalargli una villa con piscina a Los Angeles per farlo andare a lavorare lì. Lui rifiutò.

Nel libro c’è una bellissima poesia scritta da lui e dedicata a sua moglie, dalla quale avete preso spunto per il titolo del libro.
L'editore inizialmente voleva chiamare il libro "Parola alla musica", ma a Morricone non piaceva, e neanche a me. Poi abbiamo scoperto quella poesia; Ennio ha sempre detto che è l'unica che abbia mai scritto, ma non ci credo. Il suono di cui parla in quel testo ovviamente non è solo (e letteralmente) un suono. È un sogno, una presenza, è una continua ricerca di se stesso. Gli piaceva l'idea dell'inseguire qualcosa che diviene in contrapposizione all'essere, il suono, che però cambia sempre perché nel momento in cui l'hai raggiunto è già oltre. È una contraddizione che mi sembra centrale, è l'immobilità dinamica di cui parla sempre Ennio.  

  

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L'articolo Come fare amicizia con Ennio Morricone (e scrivere la storia della sua vita) di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2019-11-10 09:00:00

COMMENTI (1)

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  • faustiko 7 anni fa Rispondi

    Intervista interessantissima a dir poco.