The Shalalalas, canta che ti passa

Tra un’apparizione al Primavera e una colonna sonora per una fiction Rai, il duo romano (che si chiama come una canzone degli Arctic Monkeys) ha pubblicato il suo ultimo EP: un piacevole miscuglio di dream pop dal sapore tropicale. Musica leggera e spensierata che fa bene al cuore

The Shalalalas - foto di Agnese Carnici
The Shalalalas - foto di Agnese Carnici

Il duo romano The Shalalalas nasce dall’incontro tra la chitarra di Alex e la voce di Sara. Nel 2013 il loro primo EP, The Fucking Shalalalas e, nell’aprile 2015, l’LP There are 3 las in Shalalalas, che segna l'inizio di un lungo tour in Francia, Spagna, Svizzera e in Romania. E che porta i due fin sopra al palco del Primavera Sound Festival di Barcellona.

Silly Vain Details, il loro quarto lavoro in studio, riprende il discorso iniziato con il precedente Boom, con cui il duo si è avvicinato a sonorità più indie pop, rispetto al dream folk dei primi due album. Tropical, il primo pezzo dell’EP, prende forma da un’improvvisazione durante un soundcheck. Da quell’intuizione gli Shalalalas sono partiti per la scrittura dei cinque pezzi raccolti nell'EP, che sintetizzano perfettamente le varie influenze a cui si ispira il duo romano e che alternano ballad romantiche da cui farsi cullare a pezzi pop su cui ballare, animati da un sapore agrodolce e un’estetica curata che rimanda ai film di Wes Anderson. Ma sempre con un pizzico di Shalalalas.

Quando avete formato The Shalalalas?

Alex: Io e Sara ci siamo conosciuti ai tempi dell’università tramite amici in comune. Musicalmente, conoscevo Sara solo come violinista classica, poi un giorno a una jam session l’ho sentita cantare e mi si è aperto un mondo. Avevo qualche canzone scritta anni prima che secondo me si sarebbe adattata perfettamente alla sua voce. Così le ho proposto di vederci. E da lì abbiamo iniziato a suonare insieme e sono nati subito i primi pezzi scritti a quattro mani.

Perché avete scelto una frase di una canzone degli Arctic Monekeys per il vostro nome?

Alex: Perché quel verso di The hellcat spangled shalalala che diceva "What you waiting for? / Sing another fucking shalalala" secondo noi rappresentava benissimo il mantra che avevamo in mente per la band: "Canta che ti passa". Volevamo scrivere canzoni che portassero leggerezza e spensieratezza nelle nostre giornate. Il primo nome che ci demmo fu proprio "The Fucking Shalalalas". Poi ci rendemmo conto dei problemi che ci avrebbe creato quel "fucking" e lo togliemmo, ma ne è rimasta traccia nel nome del nostro primo ep, The Fucking Shalalalas EP, per l’appunto.

Quando vi ho ascoltati la prima volta, ho pensato: "Questi sono perfetti per creare le colonne sonore di Una mamma per amica".

Alex: Questa cosa me la dice sempre mia moglie, che si sta rivedendo tutta la serie per l’ottantacinquesima volta...

Sara: Complimento incredibile, grazie! È una delle mie serie preferite di sempre.

E invece avete prestato le vostre colonne sonore per una serie televisiva Rai, L’allieva. Come è andata la vicenda?

Alex: È stato tutto inaspettato. Ci contattò il regista della prima stagione, Luca Ribuoli, sulla nostra pagina Facebook, dicendo che era un nostro fan e che stava lavorando a una nuova serie. Ci lasciò il numero di telefono e nel giro di una settimana ci trovammo sul set a fare un cameo. Eravamo consapevoli della "predisposizione" alle colonne sonore della nostra musica, ma non pensavamo che si sarebbe adattata così bene a immagini già esistenti. Le canzoni sembravano scritte apposta per la sceneggiatura della serie.

Alex e Sara fotografati da Agnese Carnici
Alex e Sara fotografati da Agnese Carnici

Avete debuttato anche al Primavera. Vi renderete conto di essere una mosca bianca all’interno della scena nazionale: come ve la vivete?

Alex: Quando abbiamo iniziato non era così strano cantare in inglese. Tanti nostri amici lo facevano con un discreto successo, come Joe Victor, Boxerin Club, The Jacqueries, Departure Ave e Electric Superfuzz. Poi, improvvisamente, ci siamo trovati da soli. Sappiamo che cantare in inglese in Italia può essere visto come un limite, ma noi continuiamo semplicemente a fare quello che ci piace. È la prima e unica regola che ci siamo dati.

Il vostro pubblico è splittato tra estero e Italia?

Alex: Con i tour all'estero che abbiamo fatto, qualche fan in giro per l'Europa l'abbiamo conquistato, ma sicuramente la maggior parte del nostro pubblico è in Italia. Alle volte ci è capitato, però, di svegliarci e trovare i nostri dischi in classifica in Norvegia, in Russia o in Sudafrica. Non sappiamo come succede, ma ogni volta ci rende felici.

Tra i tetti di Roma Ph: Agnese Carnici
Tra i tetti di Roma Ph: Agnese Carnici

Com’è avvenuto il passaggio stilistico dai primi due album agli ultimi due?

Alex: Avevamo voglia di suonare con una band. Soprattutto dopo l’esperienza al Primavera (dove ci ha accompagnato al basso Federico Camici, il bassista di Motta), ci siamo resi conto che iniziando a suonare su palchi più grossi, avremmo perso quell’intimità che siamo abituati a creare quando suoniamo in due in locali più piccoli. Così, abbiamo arrangiato i pezzi di Boom in sala prove con Federico e Cesare Petulicchio (Bud Spencer Blues Explosions, Motta) e sono nate canzoni molto più vicine all’indie rock che al dream folk dei primi due album. Diciamo che il nostro modo di scrivere è rimasto sempre lo stesso, ma sono cambiate l’interpretazione e l’arrangiamento.

Avete mai pensato di scrivere in italiano?

Alex: Ci abbiamo provato con Mese e mezzo. È stato un esperimento – secondo noi riuscito bene –, ma ci ha anche fatto capire che non basta prendere le canzoni che scriviamo e cantarle in italiano. Con un'altra lingua cambia un po’ tutto, dal sound sino a perdere quelle libertà melodiche che ti concede l’inglese. Per noi la ricerca della melodia viene prima di tutto, anche del testo. Le parole sono a disposizione della musica e non il contrario, mentre con l’italiano molto spesso cambia questo rapporto. Non escludiamo che in futuro ci possano essere altri esperimenti di questo tipo, ma per il momento è con l’inglese che riusciamo a esprimerci al meglio.

Scrivere colonne sonore quanto influisce sulla scrittura delle vostre canzoni?

Sara: Il nostro approccio alla scrittura è rimasto lo stesso che avevamo da prima che la nostra musica venisse associata alla TV. Fino ad oggi l’unico caso di canzone scritta appositamente per la colonna sonora de L’Allieva è stata Tropical: gli autori ci avevano esplicitamente richiesto un pezzo dalle "sonorità brasiliane". Per quanto riguarda gli altri pezzi, forse l’unico elemento a cui facciamo attenzione è quello di cercare di selezionare pezzi che esprimano al meglio ogni tipo mood, in modo da garantire una scelta più ampia ai montatori.

Alex alla chitarra e Sara al violino
Alex alla chitarra e Sara al violino

Com'è stato scrivere per una colonna sonora?

Sara: Sicuramente siamo rimasti sorpresi dalla facilità con cui abbiamo scritto Tropical. Ci siamo divertiti molto a sperimentare un sound diverso rendendolo comunque nostro. Da questo punto di vista, uno dei sogni di Alex è quello di diventare gli Oliver Onions dei nostri giorni, ovvero poter scrivere delle vere e proprie canzoni e non solo degli strumentali per film e serie tv.

Perché avete scelto proprio questo titolo dal sapore quasi crepuscolare, Silly Vain Details?

Sara: È uno dei versi di Balance, il pezzo che chiude l’EP. Parla della continua ricerca di un equilibrio nelle nostre vite, nel rapporto tra l’uomo e la natura, ma anche tra un musicista e la sua musica. Troppo spesso, cercando questo equilibrio, ci perdiamo nei dettagli e ci dimentichiamo delle cose che contano di più. Ma alle volte sono proprio quei piccoli e stupidi dettagli che fanno la differenza. In generale, in un anno tosto come quello appena passato, ci siamo più volte interrogati se avesse senso fare uscire musica nuova, se non si trattasse solo di un inutile dettaglio. E tutto l’EP risente un po’ di questo dilemma un po’ crepuscolare, come hai detto tu. Ma alla fine ne siamo usciti dicendoci che crediamo nel potere taumaturgico della musica e che soprattutto nei periodi più bui delle nostre vite è stata la musica che ci ha aiutato ad affrontarli.

Sara al violino - The Shalalalas
Sara al violino - The Shalalalas

Come scrivete le canzoni, qual è il vostro processo creativo?

Sara: Non abbiamo un unico processo creativo. Alle volte uno dei due arriva con una bozza su cui lavorare, altre volte (e forse sono quelle che preferiamo) i pezzi nascono da improvvisazioni durante le nostre prove. Quando abbiamo abbastanza idee su cui lavorare ce ne andiamo in montagna in una casetta, al confine tra Umbria e Marche, e magicamente dopo qualche giorno passato a suonare tra un bicchiere di vino e un b-movie sulla vecchia TV, torniamo a casa con delle vere e proprie canzoni.

E allora cosa c’è di tropicale nella vostra musica se scrivete quasi sempre in montagna?

Alex: Tropical è proprio l’eccezione che conferma la regola, non a caso il brano è nato come un gioco. Poi, grande sogno nel cassetto da sempre? Un tour in Brasile...

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L'articolo The Shalalalas, canta che ti passa di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2021-01-15 16:45:00

Tag: album

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