Pino D'Angiò, l'innovatore oscuro della musica italiana

Forse vi ricorderete della hit "Ma quale idea", ma l'eredità di Pino D'Angiò si è proiettata molto oltre quel tormentone

Il nome potrebbe essere sconosciuto ai più giovani, o suonare come quello del solito artista degli anni '80 capace di produrre un solo singolo di successo prima di sparire in attesa, come molti dei suo coetanei, del Festival di Sanremo per un goffo rilancio.
In realtà Pino D'Angiò vanta nella sua bacheca numerosi riconoscimenti internazionali: è l'unico artista italiano presente nel DVD World Tribute to the Funk ovvero l'enciclopedia completa del funk selezionata da Sony Music, è stato produttore di "Age of Love", brano considerato fondamentale per lo sviluppo della trance music, è stato l'unico artista italiano premiato con il Rhythm & Soul Music Award e il primo artista a fare rap in Europa con il pezzo "Ma quale idea", la seconda canzone in italiano ("Nel blu dipinto di blu" di Modugno) ad entrare stabilmente in una classifica inglese.Mica male.

Non a caso, il successo internazionale di D'Angiò è legato proprio al singolo "Ma quale idea" capace nel 1980 di vendere due milioni e mezzo di dischi in oltre 22 paesi e restare in vetta alle classifiche per diverse settimane, aggiudicandosi nello stesso anno il titolo di miglior paroliere italiano e miglior artista straniero in Spagna.

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D'Angiò descrive il testo del suo più grande successo come "la storia di uno sbruffone da discoteca, che racconta di una presunta conquista. Un eroe perdente". Il singolo verrà inserito successivamente nel suo primo album "Balla!" (di cui parleremo più avanti).

Nonostante i premi e i milioni dischi venduti, all'inizio della sua carriera Pino d'Angiò non se la passava benissimo: quando era ancora uno studente di medicina iniziò esibendosi in alcuni piccoli club senesi con spettacoli di musica e cabaret, finché nel 1979 convinto dal produttore Ezio Leoni, decise di incidere il suo primo 45 giri dal titolo "È libero scusi?". Il disco però si dimostrerà un flop con circa 3000 copie vendute, forse perché il pubblico italiano non era ancora pronto per i suoi testi intrisi di tagliente ironia.

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"È libero scusi?" è un vero e proprio dialogo tra i due lati della personalità umana, una conversazione affilata tra il Dr. Jekyll ed il Mr. Hyde presente in ognuno di noi, enfatizzati dall'utilizzo di due intonazioni diverse per intepretare le due personalità che si scontrano in un contorto ragionamento rastrellato dai dubbi, un confronto tra le due facce della medaglia.

L'album "Balla!" del 1981 invece è il primo vero disco prodotto dopo i primi singoli; tutti i brani, di una strafottenza raffinata, si costruiscono su doppi sensi e cinismoattorno ai più vari argomenti, dall'amore alla musica. Uno dei pezzi più rappresentativi in questo senso è "Concerto da Strapazzo (Scusate sono impazzito)" con il quale parteciperà al Festivalbar dello stesso anno. Il titolo rende bene l'idea del concerto iperbolico che immagina D'Angiò, che cita molti degli artisti che in quegli anni avevano successo in Italia e nel mondo e si mostra anche ironicamente spocchioso nello scegliere chi dovrà partecipare "I Bee Gees? No. No, i Bee Gees non li mettiamo. Sono bravi, lo so, ma i Bee Gees no". 

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"Me ne frego di te" è un altro di quei brani in cui il cantautore si diverte nel dare voce (letteralmente) a diversi protagonisti alle prese con la fine di un amore. Non c'è però alcuna ombra di disperazione, solo il suo solito cinismo.

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Il fil rouge di quest'album (inzuppato di groove e di funk, grazie anche alla collaborazione con il jazzista Enrico Intra) è la figura di un uomo sicuro di sé, lontano anni luce dalla visione mesta e malinconica del cuore-amore che da sempre ha infestato la musica italiana; quello di D'Angiò è un uomo pronto ad affrontare ogni circostanza con spiccato ottimismo, ironia e nessuna paura delle conseguenze. A metà tra la baldanza di un Fred Buscaglione e il fascino umbratile di un James Dean.

Fuori dai testi delle canzoni però, le cose erano un po' diverse: un esempio èla storia del celebre "fino svenimento" in diretta tv durante il Sanremo del 1989. La scelta di partecipare a quell'edizione del Festival fu spinta e condizionata dal produttore dell'epoca, poiché al primo invito di Aragozzini (patron del Festival dall'89 al '91) rispose con un secco no. Convinto dal suo entourage decide di accettare l'invito, a due ore dalla sua esibizione prova il dietrofront minacciando il ritiro, dubitando del positivo ritorno di immagine che avrebbe potuto dargli una competizione da cui molto difficilmente sarebbe uscito vincitore.

La produzione gli impedisce di ritirarsi, così Pino D'Angiò ne inventa una delle sue e mosso dalla sua insolente creatività finge un malore per lasciare il palco nel bel mezzo dell'esibizione, lasciando tutti di sasso. Prima però una telefonata: "Mamma, qualsiasi cosa vedrai in tv ricordati che non è vera”. Salgo sul palco, aspetto che il coro finisca e pum, fingo uno svenimento buttandomi in avanti e spostando con la mano il microfono per non farmi male". Perché lui lì, su quel palco fiorito, non voleva esserci, figuriamoci cantare.  

Sul palco ci saliva con una sigaretta e quell'aria volutamente svogliata, anche perché non avrebbe mai voluto fare il cantante di professione come ha dichiarato in una recente intervista: "Mi sono sempre vergognato di essere un cantante, è un mestiere senza dignità che può fare chiunque. Basta comprare un karaoke e allenarsi. Io parlo quattro lingue, sono laureato in medicina, scrivo bene: non sono un cantante!".

Ed infatti Pino D'Angiò non è solo un cantante, ma un artista a tutto tondo che contribuì a portare in Italia il funk e il rap. Mogol in quegli anni dichiarerà pubblicamente sul cantautore napoletano: "D’Angiò è un artista libero e indomato che si mantiene aereo, follia e genialità emergono da un solido fondo di consistenza umana per la gioia di chi ha il piacere di conoscerlo e capirlo".

Non potrebbe esserci una definizione più azzeccata per descrivere la genialità ironica e folle di D'Angiò, rispettato da chi ha visto in lui lapaternità artistica del rap in Europanonostante lui non sia completamente d'accordo: "In realtà il primo Rap della storia, addirittura molto prima degli americani, lo ha effettivamente fatto, senza neanche saperlo, Adriano Celentano, ma non lo sapeva… lo dissi io a sua figlia Rosita e lei glielo riferì. Dopo altri quindici anni, poi, è nato il rap americano. Ma il primo rap "ufficiale" europeo forse è stato davvero il mio".

Innovatore e pioniere di nuovi generi musicali quindi, anche se per caso, come accadde per il brano "The Age of Love" prodotto insieme a Bruno Sanchioni e pubblicato da DiKi Records, che sarà definito da Billboard la chiave per lo sviluppo della trance music negli anni '90, poi incluso in oltre 400 compilation e altrettanti remix.

Quest'intuizione avvenne praticamente per caso, come lui stesso racconta"Ero in Belgio a casa di un mio amico, un grande editore Franco-Belga (Philippe De Koukeleire) e lui mi disse: “Dai vieni in studio, ho una base musicale e vorrei che tu la sentissi, magari se ne fa qualcosa...“ Era davvero oscena, insopportabile, orrenda… una batteria tutta di piatti e bordo rullante, senza corpo, un basso senza capo ne coda, una tastiera che gemeva in sottofondo come una gallina muta con le coliche. Un vero incidente musicale! Non sapevo che fare. Suonai una sequenza ripetuta all’infinito, cambiai tutti i pad e mi inventai un testo a vanvera, in inglese, lì in piedi di fronte al microfono e davvero tanto per fare qualcosa. Poi uscii dallo studio e dissi al mio amico: “Fanne quello che vuoi, ma non metterci il mio nome sopra, abbi pietà! Mi raccomando." Dopo sei mesi era il primo successo mondiale di un nuovo genere musicale, ma nonostante io risulti come autore… ancora mi gratto la testa e non capisco. Non so cosa fosse. Si racconta che Fleming scoprì la penicillina più o meno nello stesso modo… Da morire dal ridere".

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Definirlo solo un cantante sarebbe riduttivo, soprattutto considerando tutti i progetti non propriamente musicali ai quali ha preso parte nel corso degli ultimi 25 anni. Pubblicherà complessivamente 13 album, compreso il suo ultimo lavoro "Dagli italiani a Beethoven", uscito quest'anno dopo sei operazioni alla gola ed alle corde vocali successive alla diagnosi di un cancro che l'hanno costretto al silenzio per più di cinque anni.

È stato autore di diversi brani per altri artisti come nel caso di "Ma chi è quello lì" scritto per Mina, ma anche di numerose trasmissioni TV e radiofoniche; è stato autore per il teatro, ha avuto un passato anche da attore, interpretando uno dei fratelli Bardellino ne "Il Camorrista" di Giuseppe Tornatore e doppiato vari film di Woody Allen, tra cui "La rosa purpurea del Cairo", "Broadway Danny Rose" e "Tutti dicono I Love You". Nel 1981 insieme a Morandi, Ramazzotti, Mogol e altri fonderà e giocherà da terzino per la Nazionale Italiana Cantanti, che ancora oggi raccoglie fondi a scopo benefico.

È impossibile tracciare con precisione i confini dell'eredità artistica di D'Angiò, ma una cosa è certa: il suo mix di funk, rap, spoken word e demenziale (senza contare la sua avventura nella trance music) ha aperto la strada per moltissimi artisti, da Jovanotti agli Skiantos, segnando in maniera indelebile la storia della musica italiana.

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L'articolo Pino D'Angiò, l'innovatore oscuro della musica italiana di Claudio Pomarico è apparso su Rockit.it il 2016-08-26 12:00:00

COMMENTI (5)

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  • vito.vita6 anni faRispondi

    Eccola qua: youtube.com/watch?v=khckZpi…

  • vito.vita6 anni faRispondi

    Proprio in questi giorni è uscito il nuovo disco dei Powerillusi dove Pino D'Angiò canta "Disco Mixion"

  • alecsandro8 anni faRispondi

    Di Pino ricordo uno svenimento in diretta tv, rivelatosi poi falso. Comunque è sempre stato un tipo libero, diverso dagli altri in quel periodo in cui tutti erano già diversi tra loro. Cantava spesso con la sigaretta accesa e fumava tra una strofa ed un'altra. In ogni caso, come sveniva lui, non sveniva nessuno.

  • incursore8 anni faRispondi

    Bel pezzo complimenti!

  • anna.pasculli8 anni faRispondi

    I Grandi Geni sono difficili dall'essere riconosciuti dai più. E' il destino di chi sa arrivare per primo là dove tutti arriveranno dopo molto, molto tempo. Pino è un Grande dalla Genialità unica nel suo genere, uno "di nicchia", lontano, molto lontano dalla "rapida popolarità scenica" alla quale si è tristemente abituati in questi ultimi anni.
    In lui c'è tutto ciò che manca oggi, per essere degli Artisti a tutto tondo.
    Fortunata ed orgogliosa di appartenere a quella "nicchia"!