Nessuno ti fa stare male come Massimo Pericolo, nessuno ti fa stare bene come Massimo Pericolo

Con il suo terzo disco Vane torna al "no future" e alla poetica dei vinti di provincia che aveva schiaffeggiato tutti nel 2019. Ma, a differenza di altri, qua non c'è alcuna mossa di marketing, quanto piuttosto il tentativo di non farsi travolgere dalla tempesta. "Le cose cambiano" è un grande disco

Massimo Pericolo, foto di Anna Adamo
Massimo Pericolo, foto di Anna Adamo

Massimo Pericolo non è come vorresti.

Inizia con queste parole Le cose cambiano, il terzo disco di Massimo Pericolo, rapper che assieme a pochi altri continua a darmi fiducia in questa disciplina con cui sono cresciuto. È la traccia numero uno, che si chiama come lui, Massimo Pericolo: una dopo l'altra Alessandro Vanetti da Brebbia dice tutte le cose che non è. E così Massimo Pericolo – che nella bio di Instagram scrive "Non based in Milan" e che in effetti a differenza di quasi tutti i colleghi è rimasto a vivere tra le disarmonie della sponda magra del suo Lago Maggiore – "non è una fashion bitch", "Massimo Pericolo non odia le donne, Massimo Pericolo le ama ste troie". Sotto la sua voce monta una base partita epica che diventa via via sempre più progressive, o almeno così piace definirla a me che sono nato in una provincia non distante dalla sua e che con lui condivido quella condanna a morte che sono gli anni '90. 

È questo il biglietto da visita del nuovo disco di Vane, che esce il 1 dicembre, il giorno dopo il compimento dei 32 anni. La sua carriera ha seguito traiettorie insolite, che vi abbiamo raccontato qua. Si è fatto conoscere nel 2019, quando aveva già 27 anni, ha fatto un disco come Scialla Semper in cui ha buttato dentro il precedente quarto di secolo abbondante di rabbia e rifiuti. Da quel momento è diventato un nome grosso, anzi enorme – come dimostra il Forum sold out il prossimo 13 gennaio – attraverso vari momenti, tra cui spicca il suo secondo disco, Solo tutto, uscito nel 2021.

Foto di Anna Adamo
Foto di Anna Adamo

Non c'è stato quel da 0 a 1000 che è toccato a molti suoi colleghi e più o meno coetanei – la cosiddetta generazione 2015-2016, dagli anni dei loro esordi – che si sono ritrovati superstar da ragazzini, e che ora appena passati i 30 sono già al disco del "ritorno alle origini", talmente padroni del proprio futuro da doversi rifugiare in un passato che è letteralmente ieri l'altro.  

Anche Massimo Pericolo ora torna alle origini, ma non lo fa per trovare una dimensione credibe o fare del fan service. Lo fa per restare a galla, per gridare ancora più forte di no, come fa nella traccia iniziale, a tutte quelle cose che l'hanno voluto far diventare, oltre che a quelle cui era destinato a essere, e che è riuscito a evitare con talento fuori dal comune e dedizione alla causa. 

La poetica de Le cose cambiano torna quella di Scialla Semper e delle prime cose di MP, per dare voce a quella provincia che solo lui (forse dopo gli 883, da un altro punto di vista) ha saputo e sa cantare così bene. Non che Solo tutto pretendesse di essere altro, ma per un periodo è stato diverso il suo approccio alla musica, come ha lasciato intendere Vane nella promozione di questa sua terza "fatica". Qua tutta la merda ti viene sbattuta in faccia senza alcun filtraggio, dal mal di vivere è probabile che non ci si riesca a risollevare, le mediazioni non esistono. "Se ti offende questa roba, puoi ascoltare qualcos'altro". 

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Tra le tracce spuntano così – non siete d'accordo? ci sta – la "nuova Polo Nord" (Moneylove?) e persino una nuova possibile 7 Miliardi, la traccia finale Non parlarmi, di cui è uscito nelle scorse ore un magistrale video diretto da Daniele Vicari, che del brano originale non conserva rabbia e iconicità, ma che ha la stessa ambizione da inno "no future". L'unico pezzo su cui non c'è dubbio alcuno di una filiazione diretta è Totoro 2, che sin dal nome omaggia uno dei brani più emozionanti e amati dai fan di MP. Tra richiami ai "boschi incantati dentro ai supermercati" e quotes come "zero bottiglia di Belvedere, dentro al mio Eastpack c'e una Ceres" e "tra voglia di farcela e voglia di farmi", il brano è un nuovo anthem di tutte le persone nate "dimenticate" nella grande provincia italiana, che poi sono coloro che meglio possono sentirsi rappresentati dalle rime di Vane e coloro cui il disco è dedicato.

Quelli che conoscono tutte le tratte dei regionali, quelli svezzati a "limoncello e lemon haze". Se Massimo Pericolo è diventato un grande artista – e per quanto mi riguarda il rapper italiano più significativo assieme a Marra – è grazie a pezzi e atmosfere come quella di questo brano, con un beat che sa di nebbia e statali. Queste tematiche e queste diapositive tornano in tutto il disco (soprattutto nella prima parte), come Vane aveva promesso, e ne rappresentano la parte più a fuoco, magari non quella destinata a macinare stream, ma di certo quella destinata a rimanere nei cuori. Altrettanto validi i passaggi sul "perbenismo" e le accuse di sessismo al rap, che Vane rimanda al mittente con un sonoro fanculo e ha ragione da sbadilare.

Foto di Roberto Graziano Moro
Foto di Roberto Graziano Moro

Fanno parte della schiera Diluvio, un pezzone firmato assieme all'amico e conterraneo Fight Pausa, uno che con il rap da classifica c'entra molto poco. È un brano emo con cantato in inglese, raffinatissimo musicalmente, ma capace di cit. come "Io non sono diverso ma è cambiato il contesto" o "Sto seguendo il successo mentre aspetto la morte". Allo stesso modo brillano Moneygang, con Emis Killa, che analizza (finalmente qualcuno lo fa!!!!! grazie!) l'insensatezza di accumulare e ostentare ricchezza ("Mi hanno spostato alla business class ma quest'aereo sta precipitando"), e il pezzo con Tedua, Straniero. Ma anche Povero stronzo ci tiene in questo mood di urgenza assoluta.

Uno dei cartelli spuntati in giro per le mille province italiane
Uno dei cartelli spuntati in giro per le mille province italiane

C'è poi il "pezzo" meno radiofonico e a mio avviso più potente tra le 16 tracce (tante, e mediamente lunghe) dell'album. 17 anni, una skit parlata di sei minuti, in cui la classica voce impastata di Vane ci porta nel suo modo tutt'altro che luccicante, fatto di treni che passano e se ne vanno, pomeriggi in casa a fumare mentre fuori nevica, latte, biscotti e amici arrestati. Tutto molto poetico con una sorta di ambient di sottofondo che amplifica i ricordi e le emozioni. Che si stia riscoprendo l'arte dello skit (es. penso a quella di Paky nel suo disco) mi pare una cosa bellissima.  

Ci sono altri momenti rilevanti nel disco, che varia molto a livello di suoni grazie anche al folto numero di produttori – Shune, 2nd Roof, Greg Willen, Crookers (in un solo brano) più tanti altri nomi, molti dei quali giovani e molto interessanti – rispetto alle abitudini di Vane. La "lettera in carcere" al "fratello" Niko Pandetta potrà far incazzare – piacere a tutti, d'altra parte, non è mai stata l'ambizione dell'artista – ma vola molto alta, un altro passaggio di poesia di strada che tiene altissimo il livello.

Fils de Pute con Speranza – mostruoso sulla traccia come sempre – e Rafilù inaugura una serie di snodi nell'album, ciascuno con il suo cambio di stile e intenzioni: pezzi "spacchiusi" (mi è tornata di recente voglia di riusare questa parola) come quello con i due soci del tour "Criminali" – in cui la punchline "Venderò di nuovo hashish prima di vendere il culo" ricorda una celebre quote di Sabbie d'oro – o quello con Guè. Sul brano con Baby Gang mi riservo un riascolto.

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I due pezzi più "larghi" e pop arrivano uno dopo l'altro, nel corpo centrale del disco. Come aria è una hit totale, con top line di livello e un testo densissimo e un suono avvolgente che si chiude addirittura con un assolo di sax. Molto luminosa, ma ai primi ascolti un po' meno riuscita la title track, che è comunque destinata a girare parecchio.

Il disco, come detto, si chiude con il super anthem, il cui video in stile "7 miliardi e qualche anno di più" è una dichiarazione d'intenti per tutto l'album. Una chiusura senza grandi speranze – "Sto provando a star meglio ma proprio non ci riesco. Mi sembra tutto brutto quando entro in quel loop"; "Non saremo mai uguali se non sei mai stato male per 30 anni" – perché passati i 30 anni il tempo di prendersi per il culo è davvero finito. 

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L'articolo Nessuno ti fa stare male come Massimo Pericolo, nessuno ti fa stare bene come Massimo Pericolo di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-11-30 23:59:00

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