Fantozzi, Febbre da cavallo, Lucio Fulci e mio fratello Fabrizio: Fabio Frizzi si racconta

È uno dei compositori più prolifici e originali del nostro cinema, capace di passare dalle commedie di culto al re dell'horror Fulci (di cui ancora porta in giro per il mondo le musiche). A tu per tu con un grande artista, nel cinquantesimo del suo "esordio" col botto in Fantozzi

Qua con Vincenzo Mollica - tutte le foto per gentile concessione di Fabio Frizzi
Qua con Vincenzo Mollica - tutte le foto per gentile concessione di Fabio Frizzi

Fabio Frizzi è un uomo molto impegnato. Nonostante una cordialità e disponibilità infinita, non è semplice organizzare questa conversazione. "Parto a breve, starò un mese su e giù per gli Stati Uniti, siamo in giro con il furgone e tutto il resto", racconta, sorridendo. A quasi 74 anni non ne vuole sapere della pensione: continua a produrre musiche da film e ad andare in tour con il progetto su cui si è maggiormente concentrato negli ultimi anni: F2F ossia Frizzi2Fulci, il live di tributo al maestro Lucio Fulci, di cui Frizzi ha curato pressoché tutte le colonne sonore, una figura che dall'altra parte dell'oceano, ma anche in Uk, è forse ancora più di culto che in patria.

Fabio Frizzi, fratello del compianto presentatore tv (e appassionatissimo di musica) Fabrizio, è uno dei più grandi ed eclettici autori di colonne sonore in Italia. A soli 24 anni ha composto le musiche (di culto) di uno dei più grandi culti del cinema italiano: Fantozzi, di cui negli scorsi giorni sono stati festeggiati i 50 anni. Il sodalizio con Villaggio è stato intenso: Frizzi è stato il maestro che ha firmato più pellicole della serie, da solo o con il trio composto da lui, Franco Bixio e Vince Tempera.

E poi Febbre da cavallo e quel motivetto mitologico che è stato uno dei segreti del successo del film con Gigi Proietti, e il tributo alla sua musica che Quentin Tarantino ha voluto fare in Kill Bill Vol. 1. Insomma, un grandissimo. Che, appena sbarcato dagli Stati Uniti, riusciamo a "bloccare" per questa chiacchierata.  

Dove vivi oggi? 

Anche se sono bolognese, vivo a Roma da quando ho quattro anni. E come sempre scrivo musica per film e cortometraggi, oltre a occuparmi di formazione. E giro parecchio per suonare. 

Su cosa stai lavorando in questo momento?

Ho da poco finito le musiche di una pellicola americana. Adesso sto lavorando a tre cortometraggi italiani di alto profilo, e poi vado in giro a suonare la mia musica in varie situazioni. Lo spettacolo dedicato a Lucio Fulci – F2F - Frizzi to Fulci – è nato 12 anni fa ed è molto amato soprattutto in Nord Europa e Stati Uniti, infatti sono appena tornato da un mese di spettacoli in giro per gli States. 

Stiamo celebrando i 50 anni di Fantozzi. Ti ricordi quando ti hanno chiesto per la prima volta di occuparti della musica del film? 

Conoscevo Fantozzi come personaggio e Paolo Villaggio come uomo della tv. Partecipava a un programma con Arbore e interpretava un professore pazzo tedesco che parlava dei cammelli di peluche e cercava di spaventare il pubblico scendendo velocemente dalle scale e dicendo delle frasi sconnesse. Era divertente, fuori gamma. Avevo letto il libro di Fantozzi, che mi aveva divertito moltissimo. Quando il mio editore mi contattò, sapevo già cosa mi aspettava. Almeno in parte. 

Chi era il tuo editore?

Si chiamava Carlo Bixio, era giovane e belligerante, in futuro avrebbe inventato i Goblin, poi divenne anche produttore televisivo ed è stato un grande organizzatore, un manager eccezionale. Mi parlò di un film realizzato da outsider, fuori dai canoni dell’epoca, una scommessa. Mi disse: “Guarda vai a parlare con questa persona, Paolo Villaggio, e cerchiamo di capire se puoi fare la colonna sonora”.

Cosa accadde allora?

Andai. Paolo fu estremamente carino, gentile, parlammo di tante cose. Io non sapevo ancora che era amico e collaboratore di De André, che era uno dei miei punti di riferimento quando ero ragazzo. Inoltre durante la conversazione saltò fuori la sua passione per Cat Stevens e affini: era il mio mondo, mi sentii accolto. Tornai a casa, presi la mia 12 corde e creai praticamente immediatamente la Ballata di Fantozzi. Tutto il resto è venuto dopo.

Come funzionava il sodalizio con Bixio e Tempera? 

Il sodalizio con Franco Bixio, fratello di Carlo, e Tempera è nato dopo il primo Fantozzi. Nel primo Fantozzi loro figurano come collaboratori, ma avevano avuto dei ruoli più specifici. Tempera fece gli arrangiamenti, Franco Bixio, fratello di Carlo, fu il coordinatore per quanto riguardava la produzione e il montaggio. Io ero molto giovane, loro erano delle specie di garanti. Tempera era una figura di musicista consolidato, nonostante fosse di poco più vecchio di me, e Bixio era un bravissimo orchestratore, era smaliziato e perfetto per il ruolo di “controllore”. Le cose funzionavano alla grande tra noi, per cui si decise di rendere stabile la collaborazione con il secondo Fantozzi. Come Bixio-Frizzi-Tempera abbiamo avuto cinque anni di matrimonio artistico.

Cosa volevate “aggiungere” al film con quelle musiche? 

Io lavoro da sempre attraverso l’immersione. L’obiettivo finale del processo è quello di diventare un pezzo del film. Non è vero che al cinema se è bella la musica va sempre bene, la musica deve essere giusta per quello che vai a commentare. In questi giorni ho rivisto il primo Fantozzi. Sono tuttora soddisfatto di quel lavoro perché la colonna sonora è essenziale: a cinquant'anni da allora mi pare ancora molto centrata, per questo “mi faccio un po' i complimenti”. Penso di aver trovato una bellissima simbiosi fra il commento musicale e la storia del nostro amico ragioniere.

Prima parlavi della Ballata di Fantozzi. Come l'hai concepita?

Ha una struttura semplice, possiede quel velo di malinconia di cui tutto il film è pieno e che oggi, a distanza di tanto tempo, si legge in una maniera diversa. Allora sembrava una provocazione, ora sono in tanti a usare quel tipo di linguaggio. L’idea iniziale fu quella di utilizzare il fagotto, che è lo strumento principale, quello che fa la melodia durante i vari temi del film. Perché il fagotto è uno strumento divertente, grottesco, ma con una vera di melanconia molto forte.

Quali altri strumenti hai utilizzato?

In alcuni brani del film ho utilizzato il clarinetto al posto del fagotto, perché è uno strumento abbastanza vicino a quel tipo di sonorità e devo dire che anch’esso ha svolto la sua funzione. 

Quali erano i temi principali del film?

Oltre alla Ballata, il tema principale è quello della signorina Silvani, che scrissi pensando all’amore disperato del nostro impiegato per la sua collega. Questo tema ritorna anche nella parte in cui vanno a sciare, quella resa famosa dalla battuta “sono stato azzurro di sci”. C’è poi il “tema mistico” di Fantozzi e delle sue apparizioni, cui sono affezionato.

Avevi solo 24 anni, come hai fatto a ottenere un incarico così prestigioso? 

Ci vogliono fortuna, intuito e tutto il resto. Avevo sempre fatto musica da quando avevo 14 anni, la mia era una famiglia che lavorava nel mondo del cinema, anche se in realtà papà voleva che facessi l’avvocato e non che rimanessi in quell’ambiente. La persona decisiva fu Carlo Bixio, era molto determinato e mi aiutò a credere in me. Due anni prima di Fantozzi mi aveva fatto debuttare con Amore Libero - Free Love, poi arrivò la grande occasione e io la colsi. 

Hai lavorato a tante pellicole iconiche: quali quelle cui sei più legato? 

Ho avuto la fortuna di frequentare molto il mondo della commedia, soprattutto quelle che andavano negli anni ’80. Di Fantozzi ho fatto il primo da solo e il secondo con Bixio e Tempera. Quando Paolo arrivò al decimo episodio, che era Fantozzi 2000 - La clonazione mi chiamò e mi rivolle con sé. Ho lavorato con Banfi, musicando uno dei suoi film più amati come Vieni avanti cretino, sempre con Salce alla regia. E poi non posso non citare Febbre da Cavallo, che feci con Bixio e Tempera. ll film era di Steno, un grande patchwork di racconto della vita romana capace di diventare un culto con il passare degli anni.

Il tema di Febbre da cavallo come nasce?

È un pezzo pianistico, davvero divertente. Vince Tempera ebbe un grande spazio, ma anche io e Franco portammo il nostro contributo nel processo creativo. C’è questo episodio diventato poi celebre, che sembra inventato ed invece è vero. Uno dei coristi durante una pausa caffè cominciò per ridere a imitare con la voce la ritmica del brano. Ci siamo guardati e ci siamo detti: “Ma se la registrassimo così?!”. Sarebbe diventato il marchio di fabbrica della colonna sonora. Ogni volta che incontravo Gigi Proietti me la canticchiava.

Chi sono i tuoi maestri?

Nino Rota mi ha sempre ispirato, per il suo lavoro con Fellini e non solo. E poi chiaramente Morricone, che è stato uno dei più geniali costruttori di melodie di tutti i tempi. Amo citare anche un artista che ho avuto il piacere di conoscere e frequentate assiduamente quando era molto anziano: Carlo Rustichelli. Mi innamorai della sua colonna sonora de Il ferroviere, un film con Pietro Germi. E poi Ortolani, che amavo follemente già quando avevo 15 o 16 anni, Trovajoli, Piero Piccioni. L'amore per le musiche di questi signori è stata una delle spinte decisive per tentare questa carriera e non smettere mai di seguire il sogno di fare questo lavoro.

E poi c’è l’horror…

L’altro genere per cui mi sono messo in luce. Ho avuto un sodalizio lungo e fortunato con Lucio Fulci: le musiche de L’Aldilà sono tra quelle di cui vado più fiero in assoluto.

L’incontro con Fulci quando avviene?

Fu in un anno magico, il 1975. Il solito editore ci mandò a fare il solito incontro. Non ero solo, ma con Bixio e Tempera, perché in quel periodo facevamo tutto assieme. L’ingaggio era per I quattro dell'Apocalisse, un film western molto bello. L'idea dei produttori e di Lucio era di fare una corona sonora con le canzoni, un po' come era stato Bob Dylan in Pat Garrett e Billy the Kid. Un’idea intrigante, ma indubbiamente era una cosa strana: in Italia nessuno aveva mai fatto nulla di simile.

Chi era Fulci allora?

Era già Fulci, aveva fatto un monte di roba. Eravamo orgogliosi di lavorare con lui, e lui fu soddisfatto dell’opera che gli consegnammo. Quando si sciolse il trio, nel 1978, Lucio mi chiamò per il suo primo horror, che era Zombi 2, e lì è cominciata un'altra pagina importante della mia vita. Lucio non era una persona facilissima, anche se bisognava prendergli le misure, diciamo così. Conosceva meravigliosamente il sistema cinema, la tecnica. Era un’epoca storica in cui era tutto quanto fatto a mano, in cui capivi se una scena che avevi girato andava bene a 3 o 4 giorni di distanza, perché non c’era modo di visionare le immagini prima. Era un mondo completamente diverso, ma Lucio sapeva perfettamente quello che voleva. Sin dall’inizio riusciva a comunicarti le sensazioni che dovevamo dare al pubblico: era una guida preziosissima, credo che sia la persona da cui ho imparato di più. Ho avuto tanti maestri, ma Lucio è una stella che brilla sulla mia vita.

Quali sono i suoi titoli che significano di più per te?

I già citati Zombi 2, il suo primo horror, che trovo straordinario sia come film sia come colonna è L’aldilà ossia ...e tu vivrai nel terrore!. E poi Paura nella città dei morti viventi, un film amatissimo in America, dove mi chiedono continuamente di portarlo sul palco. Tra i miei preferiti inoltre c’è Luca e il contrabbandiere: non è un horror, ma per certi versi è più forte di alcuni film horror. E poi Un gatto nel cervello, l’ultimo film che abbiamo fatto assieme, che è interpretato da Lucio stesso.

Conosci i Fulci, la band che omaggia il maestro e si è esibita pochi giorni fa al MI AMI?

Certo, la conosco molto bene. Siamo stati recentemente ospite a Milano di una loro manifestazione, che hanno intitolato proprio a a Lucio Fulci. Loro non suonano le musiche che ho scritto io per Lucio, ma tutta la loro ispirazione deriva da questo geniaccio incredibile della cinematografia. Fanno un metal molto raffinato, seppur aggressivo. So che apprezzano i vari esperimenti live che ho fatto negli anni sulla musica dei film di Fulci. Qualche tempo fa il management che li gestisce mi ha contattato, e siamo diventati compagni di agenzia negli Stati Uniti. Trovo che sia una cosa fantastica. 

Come sono percepiti negli Stati Uniti?

Hanno un seguito veramente importante, spesso dove vado a suonare mi raccontano che sono stati lì e hanno riempito il posto. Sono amatissimi e sono felice per loro: sono degli amici, anche se siamo su “barricate diverse”.

Come funziona il tuo spettacolo su Fulci?

Lucio Fulci è una specie di passaporto artistico. La mia idea di dedicargli uno spettacolo era nata nel 2013, quando idee quello che sarebbe poi diventato Frizzi to Fulci (o Frizzi due Fulci), una dichiarazione di affetto e di tributo a un amico. La mia fortuna nella vita è sempre stata quella di riuscire a scegliere musicisti di grande qualità, che sono la cosa più importante per un compositore. Misi su un’ottima band e mi proposero andare a fare una data a Londra, ovviamente per Halloween. Andammo a suonare alla Union Chapel, dove c’erano molte più persone delle 800 consentite. Fu una grande festa fulciana: la gente era travestita e truccata come nei film di Lucio. Fu un successo spaventoso. Da lì abbiamo cominciato a creare progetti sempre nuovi, forti del fatto che Lucio, e quindi ormai un po’ anche io, ha fan un po' dappertutto. Anche su un paesino sperduto nell'Himalaya è capace che una decina di fulciani finisci per trovarli. 

Chi sono i fulciani oggi?

Anzitutto, come detto, sono ovunque, ma Nord Europa e UK e soprattutto Stati Uniti sono i veri epicentri della passione e dell’affetto per quest’uomo. In America ho fatto 8 tournée, giriamo città dopo città con il nostro pullman e gli strumenti, si scende e si suona. Il pubblico è vario, capita anche di trovare giovanissime generazioni. Una modalità molto apprezzata ultimamente è quella del “cineconcerto”, suonando live mentre scorrono le immagini del film. Lo abbiamo fatto per Zombi 2 e per L’Aldilà

Che ricordo è di tuo fratello Fabrizio?

È stato un pezzo centrale della mia vita. Siamo sempre stati una famiglia molto unita, la sua scomparsa sette anni fa mi ha dato un dolore inimmaginabile. Mi porto dietro quotidianamente la sua presenza.

Musicalmente vi siete influenzati a vicenda?

Abbiamo sempre ascoltata tanta musica, in famiglia era oggetto di discussione costante. Anche mio padre, mia madre, mia zia, mia nonna, erano tutti quanti persone che amavano molto la musica. Fabrizio era pianista, io più chitarrista, ma ci scambiavamo spesso gli strumenti. Lui ha amato molto il prog inglese, io ero un po' più restio perché venivo da una formazione più classica, dalla classica, piuttosto che dal country e rock tradizionale americano. Ma devo dire che a un certo punto con le sue passioni ha fatto breccia nella mia sensibilità.

Cosa ti ha fatto ascoltare?

Genesis, Jethro Tull, Emerson, Lake and Palmer: tutti quei gruppi che sono stati iconici in un certo periodo. 

Che ne pensava del tuo lavoro?

Era un mio tifoso, come io ero un tifoso suo. Uno dei momenti più belli e più strani della nostra vita è stato nel 2014, quando ripetemmo il concerto dell’Union Chapell al Barbican, un teatro londinese quasi inavvicinabile, uno dei templi più belli della musica in Europa. Lui veniva da Roma, era in ritardo, ma io non volevo cominciare senza che lui fosse in sala. Andai dal direttore di palco, una bellissima ragazza, e le chiesi di ritardare un pochino l’inizio. Lei mi guardò con questi occhi molto belli e mi disse: “Five minutes”. Fortunatamente quei cinque minuti sono stati sufficienti: Fabrizio è arrivato, ci siamo abbracciati e poi si è andato a sedere in platea per assistere al concerto.

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L'articolo Fantozzi, Febbre da cavallo, Lucio Fulci e mio fratello Fabrizio: Fabio Frizzi si racconta di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2025-05-30 11:44:00

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