“Grande angolo, sogni stelle”: storia del concerto più assurdo mai visto su un palco italiano

Il 28 dicembre 1967, al Piper di Roma, nacque la musica alternativa: andò in scena lo spettacolo “Grande angolo, sogni, stelle” ad opera di Mario Schifano

- Immagine via Archivio Mario Schifano
21/09/2016 - 13:51 Scritto da Letizia Bognanni

Secondo alcuni critici, la musica italiana per così dire alternativa è nata una sera ben precisa: il 28 dicembre 1967, al Piper di Roma durante lo spettacolo “Grande angolo, sogni, stelle”.

Nel 1967 la musica stava attraversando qualcosa di più complesso di una fisiologica evoluzione. In un crescente incontrarsi e intersecarsi di arti, artisti, coscienze espanse, ambiva a diventare “grande”: non più (solo) canzonette, melodie accattivanti, buoni sentimenti, idoli “per voi giovani”, ribellione all'acqua di rose. Nel 1967 arriva “Sgt Pepper's” a dire al mondo che i Beatles non erano più quelli dei caschetti lucidi. Nel 1967 esce il primo album dei Doors e il primo album dei Pink Floyd. Nel 1967 esce "Surrealistic Pillow" dei Jefferson Airplane, ma soprattutto viene pubblicato “The Velvet Underground & Nico”.

Nel 1967 i concerti non sono solo concerti. Fedeli alla filosofia sinestetica della psichedelia, gli spettacoli di molte band diventano degli happening, delle esperienze multisensoriali dove la musica e i musicisti sono parte di mescolanze di luci, proiezioni, performance e visioni.

“Mentre la musica scorre”, scrive Lillian Roxon nella sua “Rock Encyclopedia”, “lo stesso fanno la luce e il colore, di solito su un largo schermo sopra e dietro i musicisti, spesso sugli stessi musicisti, e sul pubblico e le pareti e il soffitto, abbattendo un'ulteriore barriera tra spettacolo e spettatori […] I light show usavano meccanismi di ogni genere – film, diapositive, luci stroboscopiche, faretti, vernici a olio che vorticavano dentro piatti pieni d'acqua – in ogni sorta di combinazioni che commentavano il contenuto e anche i testi delle canzoni, e battevano e pulsavano a tempo come ogni altro strumento. Hanno fatto a livello visivo quello che l'acid rock ha fatto a livello musicale: espandere la coscienza e riprodurre meccanicamente e in modo più innocuo ciò che l'LSD, la mescalina e altri allucinogeni facevano chimicamente”.

Di luci, film e molto altro era fatto il più importante e celebre fra questi show espansi portati in giro da band come Pink Floyd e Jefferson Airplane: l'Exploding Plastic Inevitable dei Velvet Underground. 
A rendere ancora più straniante la musica dei Velvet, “suonata a un volume così alto che non potevo neanche provare a indovinare il livello dei decibel”, racconta Andy Warhol, mente e protagonista, “filtri di gelatina di differenti colori sopra le lenti per far diventare tutti colorati film quali Harlot, The Shoplifter, Couch, Banana, Blow Job, Sleep, Empire, Kiss, Whips, Face, Camp e Heat”, e poi la danza sui generis (“stavamo sul palco con fruste, enormi torce elettriche, siringhe ipodermiche, bilancieri, grosse croci di legno...”) di Mary Woronov, Ingrid Superstar, Ronnie Cutrone, Gerard Malanga.

schifano e warhol
schifano e warhol

(Mario Schifano e Andy Warhol)

Fra gli amici di quest'ultimo, nel giro della Factory, c'era un italiano, l'unico probabilmente che nel 1967 in Italia avrebbe potuto concepire e realizzare un'operazione affine a quella di Warhol e dei Velvet Underground: Mario Schifano, non a caso l'artista con la visione, e lo stile di vita, più warholiani del tempo.
Artista pop nel senso più pieno del termine, immerso nella vita culturale e sociale capitolina, sperimentatore di droghe, amante di Anita Pallenberg, fra le sue opere contava anche la produzione di una band: Le Stelle di Mario Schifano. Con all'attivo un unico leggendario album, “Dedicato a”, e un dimenticabile 45 giri (“E il mondo va/Su una strada”), il gruppo formato da Nello Marini, Urbano Orlandi, Giandomenico Crescentini e Sergio Cerra, veniva considerato da Schifano (e lo era, in effetti) una sua creatura (e dell'amico Ettore Rosboch, che l'aveva aiutato a trovarne i membri), la messa in musica della sua arte.
Per completare un'opera fatta di visioni lisergiche, lunghe suite psichedeliche (il primo brano si intitola “Le ultime parole di Brandimante, dall'Orlando Furioso, ospite Peter Hartman e fine (da ascoltarsi con tv accesa, senza volume)” e occupa l'intero lato A), improvvisazioni e sperimentazioni, doveva essere allestito un live show all'altezza di quelli che si vedevano a Londra o New York. E così fu, anche se solo per una sera. 

(Tom Mix e un vietcong)

La performance, dopo un paio di concerti di rodaggio, fu un unicum rimasto nella leggenda, e non è un modo di dire: video e documenti d'epoca sono introvabili, e per capire quello che fu “Grande angolo, sogni, stelle” ci si può affidare solo ai racconti di chi c'era e all'immaginazione.
Immaginiamo allora il Piper, che in quegli anni era il posto dove succedevano le cose, dove si sentiva (e vedeva) la musica cambiare, dove si incontravano le persone giuste. Per esempio, quella notte del 28 dicembre 1967, avresti potuto incontrarci Alberto Moravia. Amico di Schifano, assistette allo spettacolo e scrisse un articolo per L'Espresso, intitolato “Al nightclub con i Vietcong”, dove si parla di “aggressione musicale”, “immagini sfocate e irreali”, “Luci accecanti e frenetiche”, “effetti imponenti di dilatazione e amplificazione di specie stroboscopica”.
Immaginiamo una performance lunga più di cinque ore, che coinvolge musicisti, artisti visuali, ballerini, poeti, quattro schermi su cui si alternavano spezzoni di film, video, immagini e colori. Per la prima volta a Roma, si fuma marijuana in pubblico.

video frame placeholder

Al centro di tutto, le Stelle: quelle della band, quelle disegnate da Schifano, quelle arrivate da altri mondi, come appunto Gerard Malanga, che così parla di quella lunga serata: “Oltre alla band originaria di quattro elementi, suonava il sitar il folk-rocker americano Shawn Phillips; Peter Hartman era al pianoforte e flauto; Neil Phillips, che si era appena fatto due anni in un carcere greco per possesso di droga, suonava la tabla. Mario aveva progettato le diapositive e le proiettò su quattro schermi panoramici, alternate a filmati di guerriglieri vietnamiti, spezzoni di film di Tom Mix e i suoi personali sulla ragazza, Anna Carini […] Mario raggiunse il suo obiettivo: lo spettacolare son et lumière aggiunse un'altra dimensione ai suoi dipinti a più livelli e i suoi film divennero parte integrante dello spettacolo di luci nel suo insieme. Da quel momento in avanti, la sua attività di pittore assunse una ulteriore qualità multidimensionale”.

(Un concerto de Le Stelle di Mario Schifano, forse proprio al Piper durante "Grande angolo, sogni, stelle")

Se a questo punto viene da pensare che il tutto non fosse altro che una replica all'italiana dell'Exploding Plastic Inevitable, sono ancora le parole di Malanga a smentire: “A torto si è lasciato intendere che Mario provasse a emulare il successo di Andy con i Velvet e il loro spettacolo Exploding Plastic Inevitable. Ma come avrebbe potuto? Non aveva mai visto le esibizioni dei Velvet dal vivo”.
Allora forse quello che è giusto pensare è che le vibrazioni di tutto quello che stava cambiando, nella musica, nel modo di fare arte e spettacolo, si erano propagate fino a qui senza perdere energia, e anche se per poco avevano brillato di luce non riflessa.

 

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L'articolo “Grande angolo, sogni stelle”: storia del concerto più assurdo mai visto su un palco italiano di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2016-09-21 13:51:00

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