Tutte le volte che il playback ha fatto discutere nella musica italiana

Passata la polemica sul live di Travis Scott a Roma, rimane la domanda: quando il playback è lecito, e quando no? Da noi sono stati in tanti a sfruttarlo, a subirlo e anche a sputtanarlo, compresi ospiti internazionali come Queen e Muse: ecco i casi più eclatanti

È successo tutto abbastanza rapidamente, nel solco di un'estate che annulla tutto, meno che la voglia di polemizzare. Dopo i dissing Salmo/Luché e la sua versione discount J-Ax/Paolo Meneguzzi, dopo la critica di Samuele Bersani all'autotune saltato a Sfera (e la sua conseguente risposta riassumibile in: "rosicone"), è stato l'epocale live di Travis Scott al Circo Massimo a scuotere un po' gli animi. Il motivo? Il fatto che il rapper americano si sia esibito per buona parte del concerto in playback, cosa che pare non sia importata granché ai fan, entusiasti di assistere a un evento di questa portata. D'altronde il suo nuovo disco, Utopia, è da due settimane al numero 1 in classifica in Italia, cosa che non succedeva dal 2019 per un artista straniero.

A lanciare la discussione in particolare è stato un post "apologetico" di Esse Magazine dello scorso 10 agosto – quindi più o meno un paio di ere geologiche fa secondo i ritmi di internet –, in cui viene spiegato che "ne fanno uso tutti", passaggio che ha portato rapper nostrani come Salmo, Gemitaiz e Marracash a intervenire sulla questione. "Dire lo fanno tutti è semplicemente una bugia e svaluta invece chi cerca di fare una esibizione live che sia davvero live", si può leggere nel commento di Marra. Perché sì, nel rap è una pratica più sdoganata e capita di assistere a dei live in cui c'è la traccia vocale in base, ma ciò non significa che sia la regola, anzi.

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Al di là della polemica di per sé che ormai è bella che sepolta, è interessante notare come la prospettiva sul playback sembri essere cambiata nel corso degli anni, con tanti artisti che hanno dovuto subirlo contro la loro volontà – senza mancare di farlo presente in qualche modo – o che si sono trovati costretti a utilizzarlo per evitare figuracce. Soprattutto per quanto riguarda la televisione, dove non è raro vedere esibizioni di questo tipo. Il punto di partenza, in questo senso, non può che essere uno e uno solo: Sanremo.

Il festival ha una lunga e infelice storia con il playback, pratica che negli ultimi anni sembra essere completamente scomparsa proprio per premiare l'aspetto tecnico dell'esibizione. La prima volta che il playback venne utilizzato sul palco dell'Ariston fu nel 1964, quando un appena 18enne Bobby Solo dovette fingere di cantare la sua Una lacrima sul viso a causa di un'improvvisa raucedine, presentandola fuori concorso vista l'impossibilità di esibirsi.

Negli anni '80, poi, la rivoluzione: prima l'edizione del 1980 in cui al posto dell'orchestra c'era la base preregistrata, poi anche la voce viene tolta dall'equazione, lasciando i cantanti in gara e gli ospiti a muovere la bocca senza emettere suoni. Almeno, così è per i molti che accettavano di farlo, mentre c'è chi ha deciso di smascherare il trucco, in maniera più o meno palese: come Vasco Rossi nel 1983, che lasciò il palco prima che la sua Vita spericolata finisse, o i Queen, super ospiti dell'anno successivo, con Freddie Mercury che teneva il microfono visibilmente lontano dalla bocca. Non voluta, invece, la caduta del microfono dalle mani di Simon Le Bon nel 1985 durante Wild Boys, rivelando così platealmente il playback, senza però interrompere lo show.

Facciamo un balzo in avanti di una decina d'anni e ci spostiamo al Festivalbar, trasmissione ben nota per l'utilizzo del playback. Prima fu Grignani nel 1995, come ha raccontato lui stesso nella sua biografia: "Dovevo cantare in playback, ma quella era una delle tipiche cose che non mi andavano giù. Per cui, dopo qualche parola cantata a tempo con la base, ho messo in tasca il microfono e ho cominciato a cantare volutamente fuori tempo, smettendo anche di muovere le labbra in certi momenti mentre la canzone andava avanti". Poi, qualche anno dopo, Elio e Le Storie Tese furono irremovibili nell'esprimere la loro contrarietà al playback. Letteralmente: rimasero immobili in pose plastiche proprio nel mezzo del brano sparato dall'impianto, Disco music, salvo qualche occasionale cambio di posizione e con Mangoni unico rimasto a ballare liberamente.

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Negli anni più recenti, il caso più eclatante per l'assurdità di come si sviluppò fu quello dei Muse ospiti di Simona Ventura a Quelli che il calcio nel 2009, in un momento televisivo diventato ormai leggendario: i tre membri del gruppo si scambiarono di ruolo, ma la conduttrice non se ne accorse, facendo una discreta figuraccia mentre si rivolgeva al batterista Dominic Howard convinta che fosse il cantante Matthew Bellamy. I tre riuscirono a rimanere nel personaggio senza rivelare la gag per una manciata di minuti di puro surrealismo. Così come non furono risparmiate le critiche a Fabio Rovazzi e Gianni Morandi durante i Tim Music Awards del 2017, inquadrati più volte fuori sincro con la loro Volare, a dimostrare che si trattasse di una traccia registrata. Gianni, la prossima volta sai come fare: chiedi a Travis se è libero.

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L'articolo Tutte le volte che il playback ha fatto discutere nella musica italiana di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-08-24 11:48:00

Tag: tv

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