"Una relazione": storia di una generazione diventata vecchia senza accorgersene

"Una relazione" è tutto: un film (con l'ultima apparizione di Libero De Rienzo), un libro, una canzone e il vero rapporto d'amore finito tra i due creatori, Valentina Gaia e Stefano Sardo. Racconta la difficoltà delle relazioni e lo smarrimento dei ragazzi cresciuti a pane e musica nella Torino '90

Elena Radonicich e Guido Caprino in una ccena di "Una relazione", foto di M. Graia
Elena Radonicich e Guido Caprino in una ccena di "Una relazione", foto di M. Graia

Una relazione è un lavoro complesso che dura da anni e mette in scena le dinamiche di una coppia che si separa, in un modo (prendendo in prestito le parole del grande Stannis La Rochelle di Boris) molto poco italiano. Nella pratica è un film che trovate su Prime Video, scritto da Valentina Gaia e Stefano Sardo e diretto da quest'ultimo, che ha per protagonisti Guido Caprino ed Elena Radonicich e che vede nel cast anche Thony e l'ultima apparizione sullo schermo di Libero Di Rienzo nei panni di un personaggio che sembra il Bart di Santa Maradona venti anni dopo.

Basterebbe questo a stuzzicare la vostra voglia di guardarlo, ma Una relazione è anche un libro scritto a quattro mani da Valentina e Stefano. Il motivo per cui ne parliamo qui è semplice: Valentina Gaia è una brava cantautrice (qui la recensione del suo primo album Picnic To Club)e Stefano Sardo è il cantante della storica band piemontese Mambassa (qui la recensione del loro ultimo album Non avere paura), che ha passato quasi indenne il periodo d'oro della scena torinese anni '90/primi 2000

Non solo: le canzoni all'interno del film sono importantissime, perché il protagonista interpretato da Caprino, Tommaso, è un cantante e il suo progetto dal nome Scorza ha visto giorni migliori, anche se continua a tenere botta.  Nel film, Guido Caprino canta davvero le canzoni dei Mambassa (tra cui Una relazione, che dà il titolo a tutto e ha un ruolo fondamentale nella storia), con una voce davvero bella. 

Come avrete capito, Una relazione è un lavoro che ha tantissimi livelli di lettura, al quale ne aggiungiamo un altro del tutto biografico: Valentina e Stefano stavano insieme e si sono separati durante la lavorazione del progetto, in cui sono finite inesorabilmente emozioni reali, non costruite a tavolino. Di questo e di tanto altro parliamo con Stefano Sardo nella chiacchierata che potete leggere qui sotto. 

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Quanto c'è di tuo nella storia di Una relazione?

La storia è stata immaginata 10 anni fa, non c'erano incastri biografici al tempo. Quando è diventata un'opportunità lavorativa sia per la sceneggiatura che per il romanzo, io e Valentina ci eravamo appena lasciati. Avevo sviluppato questo progetto con lei, che era la mia fidanzata. La storia finale l'abbiamo scritta mentre affrontavamo la nostra separazione e ci sono finite dentro un sacco di emozioni vere. Non tanto la costruzione della vicenda, ma la dinamica emotiva ci è finita dentro di brutto.

Com'è stato lavorare con Valentina in quel periodo?

All'inizio molto delicata come cosa, io portavo lo stigma di avere rotto la storia quindi mi sentivo di camminare sulle uova qualunque cosa le potessi chiedere. Sulle prime è stato un lavoro a distanza, quando lei mi ha detto di essere intenzionata a farlo lo stesso, ci siamo organizzati per interferire il meno possibile a vicenda, almeno per la prima fase. Lei ha lavorato alla prima stesura del film da sola, poi ho inserito il punto di vista maschile e da lì è iniziato il ping pong di scritture, poi abbiamo iniziato a scrivere il romanzo che c'ha dato un sacco di idee per il film, sono diventati due vasi comunicanti. Per le riprese del film abbiamo lavorato fianco a fianco, lei stava sul set come delegata di produzione, ha lavorato alle musiche. Nel corso di quattro anni le linee hanno ripreso a convergere e, in un tempo molto più lento di quello che ipotizzano i protagonisti del libro, siamo riusciti a fare che la nostra relazione sia diventata qualcos'altro senza allontanarci.

Metacinema e metamusica: entrambi musicisti, entrambi avete messo la vostra musica nel film e alla fine, le canzoni Una relazione dei Mambassa e Pazzi di Valentina Gaia sono concatenate fra di loro...

Una relazione ha proprio un ruolo nel film, porta a compimento un pezzo di storia del protagonista, mentre Pazzi arriva sui titoli di coda. Negli anni ho pensato a questo film quasi fosse un musical alla Once, poi Valentina ha lavorato negli stessi anni al suo primo disco e ci siamo resi conto che entrambi cantavamo la nostra parte di storia, quindi è stato interessante mettere i pezzi. È come se tu avessi costantemente i due punti di vista con tutte le differenze del caso: le canzoni di Valentina sono più positive e romantiche, quelle che scrivo io più nevrotiche, da analisi della crisi, alla fine sono diventate entrambe un altro livello del discorso, nonostante non siano state scritte per il film. Sono state scritte durante la nostra vita e anche loro ci hanno portato al film.

Stefano Sardo e Valentina Gaia sul set, foto di Cristiano Gerbino
Stefano Sardo e Valentina Gaia sul set, foto di Cristiano Gerbino

Una critica al film letta da qualche parte dice: "Per i protagonisti avrebbero potuto scegliere mestieri più normali invece che musicista e attrice". Ancora una volta, i mestieri dell'arte non sono percepiti come tali in Italia? Nella fascia medio bassa, dove non passano tanti soldi, sono lavori assolutamente normali...

Certo, la verità è che abbiamo cercato di raccontare con onestà, terra terra anche, le cose che conosciamo. Ora sono tanti anni che non faccio il musicista come prima opzione ma  se avessi continuato a farlo avrei fatto una fatica incredibile oggi a sbarcare il lunario e Valentina faceva attrice in Valentina faceva l’attrice in pubblicità e teatro prima di diventare un’autrice, persone così esistono e mi son detto: perché dover raccontare una realtà lavorativa che conosco di meno e non questa? Poi, il fatto che le canzoni parlino del rapporto le fa diventare parte integrante del film era un'opportunità artistica molto bella.

C'entra il periodo storico in cui vi siete formati?

È difficile in Italia avere successo in ambito artistico ed era giusto raccontare una generazione che era cresciuta negli anni '80 con l'idea che bisognasse seguire i propri sogni, col bombardamento del cinema americano reaganiano e spielberghiano che diceva "credici e potrai avere tutto", con l'Italia che aveva un'economia pazzesca, poi quando è arrivato il momento di riscuotere qualcuna di queste cambiali e diventare adulti, improvvisamente il Paese era un cumulo di macerie e occasioni non c'erano. Siamo cresciuti senza anticorpi per affrontare le difficoltà, quando ci siamo formati come giovani individui queste difficoltà non si vedevano all'orizzonte quindi non siamo stati temprati. Ci siamo trovati in un mondo in cui seguire le nostre aspirazioni era complicatissimo, richiedeva il coltello fra i denti ogni giorno.

C'è un momento del film in cui un personaggio dice: "Un tempo i giovani ascoltavano il rock, ora la trap, siamo passati da giovani a vecchi in un secondo". Di questi tempi molti film parlano dei nativi digitali e delle loro storie, molto pochi raccontano i "giovani vecchi", la generazione cresciuta negli anni '80 o '90, affezionata alla musica di quell'era, Questo film lo fa benissimo...

Volevo fare un film non solo d'amore, che fosse anche generazionale. In questa separazione c'è anche un racconto di formazione, loro separandosi trovano finalmente una chiave per aggiustare delle cose della loro vita. Io amo i film di questo tipo, Reality Bites, Alta fedeltà, ho una certa passione per i film che parlano dei gruppi di amici e la mia vita ha sempre somigliato a quei film lì, quindi mi sono sentito di fare un omaggio a quella generazione. Volevo dare a tutta una fascia di persone un film in cui potersi ritrovare.

Sul set, foto di Cristiano Gerbino
Sul set, foto di Cristiano Gerbino

Quali sono le differenze sostanziali tra il lavoro del regista e quello del musicista?

Io sono sempre stato un musicista poco musicista: non so scrivere la musica sugli spartiti, non ho mai avuto una tecnica vocale particolarmente solida, ho vissuto quell'esperienza come la possibilità di avere una voce e stare sul palco, quel rapporto carnale col pubblico quando ce l'hai - non è che ce l'avessimo sempre numeroso - e mi piaceva trovare le parole giuste per le canzoni, è una sfida complicata scrivere canzoni rock in italiano, la metrica ti obbliga a delle scelte difficili. Quella roba mi ha insegnato l'economia delle parole, mi è stata d'aiuto per diventare sceneggiatore in qualche modo. In un film devi economizzare tantissimo, non puoi fare digressioni. La regia è come se fossi il produttore di un disco: non sei veramente l'artista che è più l'attore, sei quello che orienta le scelte artistiche, fa sì che tutte le collaborazioni si armonizzino su un'idea coerente. Avevo scritto il copione quindi è come se la canzone l'avessi scritta io, ma poi ognuno suona il suo strumento e devi fare in modo che l'insieme delle cose faccia scopa con l'idea che avevi all'inizio. Poi molti apportano più cose di quelle che avessi pensato, ma devi fare in modo che non vadano in direzioni diverse l'una dall'altra. È stato un mestiere abbastanza naturale, mentre scrivere è una fatica immane, sempre, perché non passa mai, dirigere mi è sembrato divertente: tu lavori per mettere insieme una cosa che hai già pensato. Fai delle scelte consultandoti con persone di talento ma trovi facilmente la strada se quella cosa l'hai pensata tu. Ho questa condanna che devo fare le cose che scrivo, non sono mai stato uno che suona cose di altri, un batterista o un chitarrista: anche se non cantavo particolarmente bene dovevo stare a cantare.

Parlando della tua ex band, i Mambassa... ex? Mica vi siete mai sciolti?

Ci siamo disciolti (ride), a un certo punto non avevamo più concretamene la possibilità di fare musica, poi io vivo a Roma, sono molto impegnato nelle cose che faccio, il nostro pubblico era un po' invecchiato, non abbiamo avuto abbastanza segnali di incoraggiamento al punto di dire "continuiamo a fare questa cosa a dispetto delle difficoltà logistiche etc., quindi abbiamo smesso di farla". Magari ci capiterà di fare qualcosa per divertimento più avanti, siamo amici, non c'è problema, però nessuno ci sta più pensando. Il film è un po' una fiammata postuma al momento, poi vediamo.

I Mambassa al Monk
I Mambassa al Monk

La scena torinese degli anni '90 se la ricordano tutti, com'era vista dal dentro?

Posto che qualunque generazione invecchiando dice "ai tempi era una figata", una cosa un po' patetica in cui incappano tutti, fatta questa premessa devo ammettere che la Torino degli anni '90 inizio 2000 era una città veramente molto vivace, c'era una febbre anche musicale evidente a tutta Italia e non solo, una città con una vita notturna abbastanza sfrenata e c'erano tante realtà musicale. Noi siamo cresciuti a Casasonica dove c'erano i Subsonica, di fatto il nostro primo demo l'ha prodotto Max Casacci con le cassettine. Ricordo 4 pezzi inediti registrati lì e la copia in bella era questa cassettina da 45 minuti, due lati con cui iniziammo a fare le prime cose in giro. I Subsonica li ho visti formarsi mentre bazzicavamo in quello studio, ma poi c'erano Mao e la Rivoluzione che sfornava cose pop anche avanti per il periodo. Io vengo da Bra, lì c'era Le Macabre, un rock club dove giravano tutti i concerti di tutte le maggiori band italiane. A Bra sono nati i Marlene Kuntz, che erano di Cuneo Fossano, meno torinesi. A Torino c'erano i Fratelli di Soledad, i Linea 77, i Mau Mau, gli Africa Unite, i Motel Connection. Era un posto in cui uscivi la sera, ti facevi quattro locali e tornavi alle sei del mattino, era abbastanza normale per tantissima gente fare così. Sono stati anni faticosissimi dal punto di vista della salute. Dopo anni di asservimento all'industria, alla FIAT e a questo senso di città operaia e intellettuale, aveva avuto una botta di autostima e di goduria da città europea, c'erano i festival in cui venivano a suonare i Daft Punk. Il mio amico Marco Ponti faceva Santa Maradona. Forse quella Torino non ha saputo passare il testimone alla generazione successiva. Oggi se togli Willie Peyote, Cosmo che però è di Ivrea, è come se fosse caduto tutto e abbiano dovuto ricostruire, non c'è stata una continuità.

Negli anni 10 bazzicavo Torino, ma non era più il periodo d'oro e la gente che ho conosciuto era molto autoreferenziale e nostalgica...

È vero, un po' c'è quella sensazione quando ti allontani da Torino. Io non ero di lì ma per me era la città della musica negli anni in cui facevo il musicista. Allontanandomi ho un po' la sensazione che a Torino si parli un po' troppo di Torino, come se ci fosse sempre il problema di dimostrare di essere più fighi di quello che si è, invece di fare cose che ti rendono effettivamente più figo. Ci sono sempre cose autorevoli, si lavora bene, ci sono persone in gamba, ma è come se quella trasformazione non si fosse mai compiuta e ancora oggi è una città che non riesce a essere totalmente indipendente da Milano. Ho come l'impressione che l'alta velocità abbia risucchiato un po' di risorse da Torino e le abbia spostate verso Milano che invece è più dinamica, ha più capitali, è più europea, più città.

Tornando alla colonna sonora del film, a parte ho goduto quando partono i Casino Royale...

È il primo film girato a Roma in cui esistono i Casino Royale!

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Poi ci sono oltre ai Mambassa e a Valentina Gaia, MGMT, Shins, Alt-J, Thony come attrice. Ma parliamo di quanto è stato bravo Guido Caprino a cantare!

Beh sì, io quando gli ho proposto il ruolo di protagonista gli ho chiesto più volte se sapesse cantare e lui "Sì sì", ma non mi faceva sentire nessuna prova. Avvicinandomi ai giorni delle riprese iniziavo un po' a cagarmi sotto perché aveva cantato una volta sul set di 1994, ma era una specie di goliardata, quindi non era facilissimo capire se poteva cantare queste cose. Dap (Andrea D'Apolito) un musicista molto bravo di Roma ha fatto da vocal coach a Caprino, Guido ha una voce molto intonata, molto bella quindi alla fine siamo riusciti a portare in fondo questa performance, è uscito anche il video di Una Relazione cantata da lui e su Spotify ci sarà la colonna sonora. Ho sempre avuto una grande passione per la musica per i film, quando facevano la serie 1992, 1993, 1994, non accreditato sceglievo tutte le canzoni della serie, ero consulente musicale, ho messo i C.S.I. etc., quindi mi sono tolto degli sfizi nel film. La mia serata da dj negli anni Novanta si chiamava Anno Zero, quindi ho messo i Casino Royale quella canzone. In quella scena della festa ad esempio ho pre acquistato i diritti delle canzoni per metterle mentre giravamo e far ballare davvero gli attori su quei pezzi.

Valentina Gaia sul set, foto di Cristiano Gerbino
Valentina Gaia sul set, foto di Cristiano Gerbino

Mentre lo guardavo ho proprio avuto questa sensazione, spesso te ne accorgi quando nei film ballano fuori tempo rispetto alla musica...

Soffro questa scena delle feste finte, spesso nei film italiani va così, io invece volevo che ci fosse quella sensazione di vera festa, che poi le canzoni, se spari Kids ad alto volume la reazione che hai non è la stessa di un altro brano con gli stessi bpm, le canzoni hanno un'energia diversa e se hai fatto il dj lo sai, se metti una canzone o un'altra cambia la serata. Quella scena funziona bene perché sono tutti presi bene, poi giravamo in piena pandemia, a ottobre, nessuno faceva una festa da un anno quindi c'era un fomento incredibile.

Libero Di Rienzo in una scena del film
Libero Di Rienzo in una scena del film

Nel film c'è l'ultima apparizione di Libero Di Rienzo, di Picchio. Mi piacerebbe sentire il tuo pensiero su questo grande attore scomparso da poco, che nel tuo film sembra Bart di Santa Maradona 20 anni dopo..

Non è che ci frequentassimo molto, ma lo conoscevo da un sacco di anni, dal 2002, una cosa così. Lui bazzicava sempre la prima casa che ho abitato a Roma, era molto amico del mio padrone di casa. Io essendo molto amico di Marco Ponti, ai tempi di Santa Maradona ero rimasto folgorato dalla capacità che aveva Picchio di fare quelle battute, sparare quelle sentenze senza perdere amabilità e credibilità. Lui stesso non è che avesse avuto tante occasioni per rifare quella cosa in stile Bart che sapeva fare così bene. Quando ho scritto questo ruolo ho immaginato lui, quel personaggio lì venti anni dopo, un po' meno nichilista ed escluso dalla vita ma sempre cacacazzo, battutaro. Non avevo il coraggio di chiederglielo perché mi sembrava di non avere abbastanza pose da offrirgli, poi alla fine ho visto i provini e continuavo a pensare che lui l'avrebbe fatta più come ce l'avevo in testa, gliel'ho proposto e lui è stato molto carino. Gli ho raccontato questa cosa di Bart vent'anni dopo e lui ha detto che l'idea gli piaceva molto: "Ti dico subito di sì poi leggo il copione domani e ti do conferma, ma tanto non li leggo mai i copioni quindi ti dico sì". Sul set è stato bravissimo, è l'unico attore con cui ho improvvisato un po'. Aveva questa cosa incredibilmente sua, di dire le battute rimanendo serio. Sembra banale ma è una delle grandi chiavi di chi ha i tempi comici, non fare il verso al genere che stai interpretando ma lasciare che il genere esca da quello che fai, non sottolineandolo. Devo dirti che ha dato al film una chiave divertente che bilancia le parti più "magonose", più malinconiche. Si crea quella specie di commistione tra commedia e dramma che io cercavo: anche quando sei un cazzone, esci con gli amici, prendi gli aperitivi, alla fine soffri tantissimo se ti lasci. Non vuol dire che la vita diventa drammatica e smetti di dire cazzate, ma dentro quelle cazzate ci può essere un dolore immane. In questo mix Picchio ha fatto qualcosa di molto speciale. È una grandissima perdita umana e artistica, un gran peccato. A volte le persone si perdono per strada e ti colgono di sorpresa, è andata così.

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L'articolo "Una relazione": storia di una generazione diventata vecchia senza accorgersene di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-09-29 09:51:00

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